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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I forestieri a San Salvo

di Fernando Sparvieri


Un po' di storia locale raccontando personaggi












Capitolo VI

Vincenzo Larcinese
(Mugnaio)

Giunse invece a San Salvo negli anni '30, tornando dall'America, un altro famoso frastire, che sarà precursore dell'industria moderna molitoria del grano nel nostro paese.

Il suo nome era Vincenzo Larcinese (1873-1940), nativo di Fresagrandinaria (fresciáne).

Vincenzo Larcinese
Vincenzo, che era stato in America ed un po' come tutti gli americani d'Italia, aveva visto il progresso tecnologico negli Stati Uniti, tornò a Fresagrandinaria con le idee ben chiare in mente: aprire un mulino elettrico.

Sino ad allora i mulini erano ubicati tutti in prossimità di un fiume, in modo da sfruttare l'acqua per far girare le pale e conseguentemente le macine.

Il nostro amico Vincenzo ebbe l'intuito, avendolo visto in America, che con l'arrivo della corrente elettrica nei piccoli paesi d'Abruzzo, il mulino lo si poteva ubicare ovunque, anche in pieno centro abitato, dove sarebbe stato facilmente raggiungibile da tutti, perfino da anziani, donne e bambini, con utenza più vasta e conseguente maggiore introito economico.

L'occasione propizia gli si presentò nel 1932, allorquando Michelangelo Ferragonio (Farrahaune), di origini pugliesi, dopo aver portato la prima linea di corrente elettrica a San Salvo, sfruttando anch'egli le pale dell'antico mulino comunale Pantanella giù alla stazione, realizzò il primo mulino elettrico sansalvese in Via Roma, a due passi da lu Calevarie (dal Calvario), all'epoca pieno centro abitato e nel contempo quasi periferia del paese, precisamente nella casa che fu di Pasquale Nicola Cilli (Nicole Turluttaune), di professione sarto, marito dell'osterica Leontina Zamponi, nativa dell'alta Italia.

Via Roma - Il mulino di Vincenzo Larcinese era ubicato subito dopo l'ultima casa visibile sulla sinistra. 


Nonostante qualche difficoltà iniziale avuta con Ferragonio sul prezzo inizialmente pattuito, Vincenzo non si fece sfuggire l'occasione e lo comprò, accingendosi a scrivere un'altra pagina indelebile della storia de le mulinére (dei mugnai) a San Salvo.

Il mulino restò in quella casa per sei anni. Era il 1938, infatti, quando Vincenzo, dopo aver acquistato nu lóche (un terreno edificabile) in Via Traversa Interna (ex Via Cincovallazione ed attuale Viale Duca degli Abruzzi), all'epoca estrema periferia del paese, trafficata per andare a Vasto dai cittadini dei paesi dell'entroterra, vi edificò il suo mulino.

Purtroppo la sorte non fu benevola con lui: due anni dopo, nel 1940, Vincenzo passò a miglior vita, lasciando la moglie Giuliàtte la fresciáne (Giulia Monaco da Fresagrandinaria) ed i suoi due piccoli figli, Carlo e Luigi, di 12 e 9 anni, concepiti durante i suoi rimpatri in Italia dall'America.

Giulia MonacoToccò a mamma Giulia rimboccarsi le maniche e mandare avanti il mulino.

Giuliàtte la mulináre
(Giulietta la mugnaia), così iniziarono a chiamarla i sansalvesi, si rivelò da subito una donna energica e mamma esemplare, un vero esempio di antica e rara imprenditorialità femminile.

A darle una grossa mano nella conduzione del mulino ci pensò Gióse (Giuseppe D'Addario), persona ricordata con molto affetto tuttoggi dalla famiglia Larcinese e da molti anziani sansalvesi, per la sua generosità e laboriosità, emigrato successivamente in Canada, insieme alla moglie Giuseppina Di Ludovico.

Anche il mulino Larcinese, da cui in lontananza si scorgeva il cimitero, ha molte storie da raccontarci in merito al pranzo delle "Sagne al Mulino", che si svolgeva il giorno delle "Some di San Vitale", all'incirca una decina di giorni prima della festa del Santo Patrono.

La storia delle "sagne" al mulino Larcinese inizia dopo la seconda guerra mondiale.

Prima di allora, ad averne l'esclusiva, era stato Giovanni Bassi, mugnaio del mulino comunale Pantanella, giù in C.da Stazione.  Successe che con il mulino comunale Pantanella, distrutto durante la guerra dai bombardamenti, e dopo qualche anno in cui le sagne si mangiarono ad un mulinetto sul greto del fiume Treste, di proprietà del Comune di Lentella, sempre gestito da Giovanni Bassi, le "some di San Vitale", approdarono per la prima volta a San Salvo paese.

Ve n'erano due di mulini, entrambi elettrici, in quel periodo a San Salvo: vi era quello antico della famiglia Larcinese, impiantato nel '32, che sino ad allora non aveva mai ospitato la manifestazione a causa di una tacita esclusiva che aveva sempre avuto Giovanni Bassi, essendo il gestore di un mulino comunale, ed un altro in Via della Mirandola, nuovo di zecca, costruito dallo stesso Giovanni Bassi, dopo che non era riuscito a riottenere dal Comune una nuova concessione giù a Pantanella, nel nuovo stabile ricostruito sulle rovine dell'antico mulino distrutto dalla guerra, destinato ad altri usi, tra cui sede, per un periodo nei successivi anni '60-'70, con l'incremento demografico, anche di scuola materna in C.da Stazione.

I deputati della festa, a questo punto, non esistendo più un vincolante mulino comunale, si sentirono liberi di scegliere dove andare a macinare il grano di San Vitale, iniziando a recarsi una volta ad uno ed un'altra all'altro, a seconda di dove ritenevano fosse più conveniente.

E fu in quel periodo che la manifestazione, svolgendosi in paese, assunse per la prima volta nella sua storia, carattere di vera festa popolare.

Tutti, o meglio quasi tutti, iniziarono a recarsi al mulino.

Tutti, all'infuori delle donne.

Infatti, sebbene andare a mangiare le sagne non fosse vietato a nessuno, regnava all'epoca ancora un tacito ed atavico divieto per le donne a parteciparvi.

A farne le spese erano sopratutto le ragazze.

La mentalità paesana imponeva loro di restare a casa a fa' la cazzàtte (a fare la calza e svolgere faccende domestiche), e vi era il divieto assoluto, per le ragazze, non solo di andare a mangiare le sagne al mulino, ma di partecipare a qualsiasi manifestazione popolare in cui vi fossero i maschi.

Ne andava di mezzo la loro onorabilità.

La gelosia dei padri e dei fratelli era talmente asfissiante che costringeva le ragazze a vivere in una specie di clausura domestica, uscendo di casa solo insieme ai genitori o ad amiche fidate.

Tale mentalità era imperante e per molte di loro, ancora negli anni '60, dopo la licenza elementare, era precluso persino andare alla scuola media a Vasto, in quanto vi era il serio rischio che parlassero con i maschi. Era meglio mandarle a la mástre (alla maestra di cucito), dove avrebbero imparato a fa' le sarténe (fare le sarte).

Naturalmente non è che non vi fosse nemmeno una rappresentante del gentil sesso, al mulino. A parte le mogli dei deputati, delegate alla cottura delle sagne, vi era, tra gli astanti, qualche ómmene màscule o masculaùne, ragazza che non aveva remore di stare in mezzo ai giovanotti. Era come 'na màscua bianghe (una mosca bianca), guardata sopr'ucchie (con occhio sospettoso, in malo modo) sopratutto dagli anziani, che la consideravano una poco di buono.

Verso mezzogiorno, poi, arrivava qualche nonna, la cui veneranda età le escludeva da critiche e dicerie, che insieme a figlie e nipoti, senza mischiarsi con la folla, aspettavano che cacciassere le sagne (scolassero la pasta), che ancora fumanti, riportavano a casa dentro a tijélle (tegami) o spasàtte (insalatiere in porcellana), per mangiarle in famiglia.

La festa era quindi unicamente maschile.

Il pranzo si svolgeva in modo differente tra il popolo e le autorità del paese. Come ai tempi del mulino Pantanella, fuori mangiava il popolo, mentre dentro pranzavano i deputati e le autorità del paese, invitati a presenziare, a cui era riservato un tavolo speciale.

La vera festa, però, era fuori.

La gente, sparsa qua e là, in gruppi e gruppetti nei pressi del mulino, si portava da casa piatti, tijélle e tijllìcce (tegami) che riempivano di sagne. Era uno spettacolo vederla mangiare. C'era chi le mangiava a la rétte (in piedi), chi assettate o accucculéte 'ntérre (chi seduto o accovacciato per terra), chi sotto un albero: insomma ogni posto, possibilmente all'ombra, era buono pe' sgangàrejè' (per mangiare) e attúbbuánáreze gne' péche (mangiare a crepapelle, gonfiarsi lo stomaco come piche).

Spesso capitava che qualche amico e sopratutto qualche forestiero, capitato lì per caso, non avesse le posate. Non era un problema e scattava la solidarietà. Tra la folla, c'era sempre qualcuno che prendeva una canna, a portata di mano nei numerosi canneti intorno al mulino, ne tagliava un pezzettino ad una estremità e dopo aver praticato su di essa, ad un lato, un taglio a forma di "V" con un temperino, realizzava 'na freccenélle (un'antica forchetta contadina), invitandolo ad abberreté' (avvolgere) le sagne, mangiandole insieme nello stesso piatto. I piatti e le posate di plastica e chi te le dáve (non erano ancora state inventate).

Foto di Umberto Fabrizio - Anni '50 - Sagne al mulino Larcinese in Via Traversa Interna. Da sin. Rocchino Boschetti, che si accinge a mangiare le sagne, seguono Matteo Lozzi, carabiniere, con la camicia bianca Nino De Francesco, macellaio detto Nine de Remmechele, Mario Di Memmo, fotografo vastese, segue persona non identificata. Con gli occhiali scuri è il compianto Antonino Fabrizio, padre di Vitale, Marco e Daniele, e zio, per via della mamma di Umberto Di Biase. Notare le biciclette, ancora mezzo di locomozione molto diffuso ed il bambino con la scodella che si era portata da casa.


Com'era inevitabile non mancavano le mbriachìune (i soliti beoni del paese).

Si prendevano cirte pechere! (sonore sbornie).

Erano un divertimento osservarli. C'era chi, ormai brillo, predecave (faceva prediche senza alcun senso), chi camminava 'nturtullìune 'nturtullìune (traballante), e chi alla sera, casche e ne casche (in precario equilibrio), n'arfeléve la ve' de la case (non trovava più la via di casa), facendo apparentemente arneha' (bestemmiare) la moglie al suo ritorno, che a le péchere (alle sbornie) del marito ciavé fitte l'osse (era abituata).

Dentro al mulino invece, come già detto, mangiavano le personalità del paese, che z'attárallejévene atturne a 'na tavelate (si sedevano intorno ad un bel tavolo imbandito), e nu nu (tra di  loro), tra un ragionamento importante e brindisi, z'attufuévene gne' péche (si gonfiavano, e non solo lo stomaco, come piche).

Erano sempre gli stessi: il Sindaco, lu maresciálle (il maresciallo dei carabinieri), Don Cirille (il prete), lu mèdeche condótte (il medico condotto), il capostazione, lu ddaziaróle (il daziere), ed altre signìure (gente importante) del paese.

A loro erano riservate sagne condite con il ragù di carne, mentre al popolo solo sugo di pomodoro, alla faccia dell'uguaglianza sociale.

Disuguaglianze di trattamento e menù a parte, a cui nessuno faceva caso, perché la gente era abituata alle disparità sociali, la giornata delle "Sagne al mulino" era un appuntamento imperdibile per tutti, grandi e piccini, che si svolgeva in un clima di grande gioia e di fraternità.

Sin dal mattino si respirava nell'aria un'atmosfera particolare.

Buum!!!

Iniziava con una bomba che sparava a la spruvvuéste (all'improvviso, senza aspettarselo), che faceva scappà li cillette (fuggire gli uccelli) e itticà (sobbalzare) qualcuno per lo spavento.

Era il segnale che la festa stava per iniziare.

Subito dopo, i cavalli, ornati a festa, con la criniera e la coda addobbati da nastrini variopinti, al guinzaglio dei padroni in abiti folcloristici, dal punto di ritrovo, partivano in corteo per le vie del paese, con in groppa le sàmue (i sacchi di grano).

La prima tappa era in Piazza Municipio (oggi piazza San Vitale), dinanzi alla Chiesa, dove ad attenderli, tra ali di folla, vi era il prete che benediceva le sàmue (le salme di grano) in groppa ai cavalli. Subito dopo vi era la partenza verso il mulino, sfilando per le vie principali del paese, come a voler ripercorrere, allegoricamente, la via Vecchia del Mulino, che un tempo conduceva i nostri avi al mulino Pantanella.

Sflilata delle some in Piazza Municipio, ora Piazza San Vitale


Che spettacolo, a ripensarci oggi, quei cavalli. Il calpestio degli zoccoli sui selciati, infrangeva la quiete di un paese ancora immerso in un silenzio bucolico. Il primo cavallo della sfilata, portava sulla fronte un quadretto con l'effige di San Vitale Martire, onore riservato a chi aveva offerto il maggiore quantitativo di grano o di denaro. Ogni tanto, qualche cavallo un po' nervoso, infastidito da questo insolito clima di festa, z'arnabbelejéve (si imbazzarriva), facendo fare largo tutto intorno. Stesso largo avveniva quando qualcuno di essi ammullave 'na mmellárde (faceva i suoi bisogni fisiologici) per strada, tra le risate e le battute della gente.

Verso mezzogiorno, nuovi fuochi d'artificio, che al primo sparo facevano riscappare li cillétte e ittica' qualcuno che non se l'aspettava, annunciavano al popolo che il corteo era arrivato finalmente al mulino e che tra un po' avrebbero caccìti (servite) le sagne.

La festa, a questo punto, raggiungeva il suo apice: tutti al mulino sino al termine del pranzo.

Via Circonvallazione, ora Viale Duca degliAbruzzi - Luigi Larcinese con il primo cavallo del corteo, riconoscibile dal quadro di San Vitale sulla fronte. Infatti il primo posto nella sfilata spettava al cavallo il cui padrone aveva offerto la maggiore quantità di grano o somma di denaro. Sullo sfondo il cimitero.


Ma la giornata de le sùmue non era ancora terminata.

A ventenàure (alla ventunesima ora della giornata contadina, tre ore prima del tramonto precedente), i cavalli, con in groppa i sacchi di farina, sui quali spiccava una scritta rossa S.V.M. (San Vitale Martire), ripartivano dal mulino, sfilando nuovamente per le vie del paese, come a voler ricordare il ritorno in paese, a sera, degli antichi progenitori che tornavano dal mulino Pantanella.

Si era giunti all'epilogo della giornata. L'antipasto della festa era stato servito, ed un clima di imminente festa di San Vitale si impossessava del paese.

Il 25 Aprile c'era la fire (la fiera), che si svolgeva giù a la Madónne (nei pressi della chiesetta della Madonna delle Grazie), all'epoca periferia, oppure abbálle pe la fànte (lungo la discesa di via Fontana), e poi finalmente il 27 ed il 28 Aprile l'apoteosi finale: la veggélie e la feste de Sante Vetale (la vigilia e la festa di San Vitale).

E' un vero peccato che dal 1993 le sagne non si mangino più ad un mulino, luogo in cui ebbe origine la tradizione.

L'usanza di andare a mangiare "Le sagne al mulino" calò definitivamente il sipario nell'opificio in zona insustriale denominato Industria Molitoria Larcinese di Vincenzo e Carla, titolari di terza generazione, nipoti del pioniere Vincenzo e figli di Luigi, che lo realizzò nel 1986. Gli antichi mulini in paese già non c'erano più.

Anno 1986 - Don Cirillo Piovesan inaugura l'Industria Molitoria di Larcinese Vincenzo e Carla. Gli tiene il secchiello 'Ntunine Cirascille (Antonio Cirese), alla cui sinistra vi sono il Cav. Leone Balduzzi e Giuseppe Di Stefano (Peppine la uardie, comandante dei Vigili Urbani). Il secondo da destra è Luigi Larcinese , secondogenito di Vincenzo, il pioniere che mise il primo mulino elettrico a San Salvo.


Con la crescita demografica del paese, era ormai impresa ardua ospitare tutti i partecipanti.

Da quel giorno la tradizione voltò l'ultima pagina, somigliando sempre più ad una sagra paesana, con le sagne che iniziarono a mangiarsi nelle piazze del paese.

Il tempo passa ed il progresso muta e stravolge ogni cosa.

L'antico paese oggi si chiama città ed il mulino industria molitoria.

I nitriti, gli scalpitii degli zoccoli e le mmellárde dei cavalli sui selciati sono stati sostituiti da trattori rombanti, che strombazzano con i clacson ed inquinano l'aria.

Tutto è mutato. Anche il nome della manifestazione: non si chiama più le "Le sagne al mulino", ma "Le sagne di San Vitale".

Una sola abitudine sembra essere rimasta uguale a ieri.

A sgabbejé' (a bere il vino).

C'è sempre qualcuno che, oggi come ieri, si prende 'na bella péchere (una bella sbronza) e fa la pecora nera, moderna, come si usa oggi, scambiando le sagne con il profano.

La signora Giulia Monaco dinanzi al mulino di Via Traversa Interna, con il nipotino Vincenzo Larcinese nel passeggino. .


Anni '50 - Nella foto un'antica pepezzere che era un dono del mugnaio a San Vitale. Sulla sinistra, in primo piano, è ritratta la signora Lina Taraborrelli, moglie di Luigi. Sullo sfondo l'immancabile banda musicale che accompagnava la pipizzera sino alla casa del vincitore dopo l'estrazione nella giornata dell'ottava di S.Vitale. .


Anni '60 - Sagne al mulino Larcinese in Via della Circonvallazione (ex Via Traversa Interna) ora Viale Duca degli Abruzzi. In primo piano appoggiati a la lape (all' Ape Piaggio), Rino di Cola con gli occhiali ed alla sua destra Nicola Iannace. Alla destra è riconoscibile Umberto Di Biase.


Anni '60 - Sagne al mulino Larcinese in Via della Circonvallazione (ex Via Traversa Interna) ora Viale Duca degli Abruzzi. In primo piano i giovanissimi Lino Checchia a sin. e Franco Di Nardo.



P.S. A proposito di sansalvesi che prima della guerra emigrarono negli Stati Uniti, in cui conobbero per la prima volta la tecnologia avanzata dell'industria statunitense, si racconta che ad uno di questi, di ritorno dall'America, gli chiesero come fosse il lavoro oltreoceano. E questi rispose un po' in dialetto ed  un po' in italiano, dicendo "A l'Americhe premi un boton e parte il moton" (In America premi un bottone e parte un motore).

 

pag.6
dietro/avanti


Un libro sul web

MA CHI SAREBBERO

LI SALVANESE

I forestieri a San Salvo

INDICE


Capitolo I
Introduzione
I maestri di scuola



Capitolo II
I carabinieri
e Nonsaccie




Capitolo III
da Gerardo D'Aloisio
a Luegge Capaùne




Capitolo IV
Lu camie de Masciulle
(Il camion di Masciulli)




Capitolo V
Giovanni Bassi
e Valentini Bassi Venturini




Capitolo VI
Vincenzo Larcinese




Capitolo VII
Ninuccie
lu panattire




Capitolo VIII
Lu macillare
de Lentelle




Capitolo IX
Nine
lu napuletane




Capitolo X
Franche lu 'nfurmire




Capitolo XI
Quei matrimoni d'altri tempi -
La bella farmacista ed Erpinio Labrozzi




Capitolo XII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIV
Erpinio Labrozzi e Maria Iole Di Nardo




Capitolo XV
(Fine prima Parte)


Capitolo XVI
Lu 'ngiugnìre
Tommaso Papi



Capitolo XVII
La famiglia Ricca




Capitolo XVIII
la crisi degli artigiani




Capitolo XIX
Lu motore
de le casuléne




Capitolo XX
Di Virgilio Nicola
la léma sàrde




Capitolo XXI
Lu camie
de Tinarìlle




Capitolo XXII
Angelo Di Biase
(Biascille)


Capitolo XXIII
Li carrettire
diventano camionis




Capitolo XXIV
Lu Jumme
ed il pastificio de mastre Camélle e Marchàtte




Capitolo XXV
Adelme, Gelarde e Micchéle Cillène




Capitolo XXVI
Li trajene
e la nazionale





Capitolo XXVII
La nazionale
ed il dialetto




Capitolo XXVIII
Li frastire
ed i venditori ambulanti




Capitolo XXIX
Quando la gente
parlava con gli animali




Capitolo XXX
Lu sciopere
de lu bosche
e le cantine sociali




Capitolo XXXI
La scoperta
del metano




Capitolo XXXII
La Brede (la SIV)





Capitolo XXXIII
La nascita
della Villa Comunale




Capitolo XXXIV
LA SIV
L'accensione
del 1° forno




Capitolo XXXV
Giorgio la Rocca
(lu rumuane)




Capitolo XXXVI
L'on. Aldo Moro
a San Salvo




Capitolo XXXVII
La fabbreche de le tavelàlle




Capitolo XXXVIII
Il profumo
del progresso




Capitolo XXXIX
La sirena
e le frasterézze




Capitolo XL
Il trofeo
San Rocco




Capitolo XLI
Pasquale Spinelli



Capitolo XLII
Umberto Agnelli
a SanSalvo




Capitolo XLIII
Scandalo al sole




Capitolo XLIV
Ma chi sarebbero
li salvanése