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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I forestieri a San Salvo

di Fernando Sparvieri

Un po' di storia locale raccontando personaggi







Capitolo XXXIV

LA SIV
L'accensione del primo forno



I lavori di costruzione della S.I.V. procedevano a ritmo incessante. I capannoni crescevano a vista d'occhio. Tre ciminiere imponenti si stagliavano nel cielo, al cui confronto quello storto della vecchia distilleria, giù vicino al passaggio a livello, faceva oramai la figura di un comignolo.

E poi le palazzine uffici, tre grandissimi serbatoi dell'acqua, colorati d'azzurro, gli immensi parcheggi.

Era grandissima la SIV, un colosso. Ottanta ettari di terreno agricolo trasformati ad industria, nel bel mezzo della campagna ed a due passi dal mare.

I lavori di costruzione terminarono verso la fine del 1964 e la SIV dopo qualche mese entrò in funzione.

Era infatti il mese di Febbraio del 1965 quando accesero il primo forno, chiamato Lane vetro-fibre. Ad accenderlo arrivò da Livorno il super tecnico specializzato Mario Marti, considerato all'epoca il n.1 nel settore in Italia e non solo, con esperienze anche oltreoceano con la Ford.

Ma prima di lui ne erano arrivati tantissimi altri di tecnici ed operai. Occorreva mano d’opera specializzata e qui in zona non ve n'era.

La SIV, per sopperirne alla carenza, li aveva cercati in industrie vetrarie già affermate in Italia, come la Saint Gobain di Pisa e di Salerno.

Dalla Saint Gobain di Pisa arrivarono Eliano Ciampi, Oriano Saviozzi, Pierino Ficini, Atico Cioni, Plinio Golfarini, Mario Rovini, mentre da quella di Salerno Luigi Di Lorenzo, Antonio Capitelli, Benito Trizio, Ingenito Aniello.

Non trascorse tempo che ne arrivarono ancora altri, provenienti dalla VETRO CORE di Mestre (VE), i cui nomi erano Romeo Pesce, da Scorzè, Luigi Battaglia, Siro Lodoli, Golfarini D’Agoberto.

Si assistette nel corso di un anno ad un flusso continuo di forestieri, provenienti in gran parte dalla Toscana.

Tra i toscani vi erano Marino Montauti, un omone magro, alto e robusto, originario di San Piero dell’Isola d’Elba, Giancarlo Landi, capo reparto vetro tirato, Francesco Vischiano, capo turno, Giancarlo Berti.

Ma anche le napuleténe (i napoletani) non scherzavano mica! Nonostante venissero tra le più svariate province della Campania, erano chiamati tutti napoletani.

Tra di loro spiccavano i nomi di Meola Giovanni da Ariano Irpino (AV), Cioffi Vincenzo da San Felice a Cancello (CE), Salvatore Piacente da Pozzuoli (NA), Papa Clemente, Marrone Domenico, provienienti sempre dal casertano.

Papa Clemente e Salvatore Piacente si integrarono subito a tal punto che vennero eletti nel '70 in Consiglio Comunale: Papa Clemente rivestì la carica di assessore con la D.C., e Salvatore Piacente quella di consigliere di minoranza, essendo stato eletto tra le fila del partito comunista, l'unico partito d'opposizione dell'epoca.

Fu quello il primo vero grande impatto del popolo sansalvese con persone che venivano da fuori, insieme alle loro famiglie.

Infatti se nel corso degli anni precedenti, molti forestieri si erano trasferiti a San Salvo sopratutto a seguito dei matrimoni, integrandosi da subito nella mentalità locale, l’arrivo di questi nuovi lavoratori della SIV, insieme alle loro famiglie, di cui non si conoscevano né l’origine, né la storia, né le abitudini, determinò un primo mutamento nei modi di fare dei sansalvesi, che si trovarono di fronte a persone di estrazioni sociali diverse, abituate già a lavorare nelle industrie.

Innanzitutto con loro bisognava parlare in italiano. Con i napoletani ci si capiva al volo, ma con quelli del nord era una parola! Ed anche due. Sopratutto agli anziani, non sarebbe bastato neppure un intero vocabolario.

Eravamo oramai negli anni '60 ed il boom economico stava rivoltando come una calzino l'Italia intera ed ancor di più San Salvo. I primi televisori, i primi elettrodomestici, i primi utensili in plastica come lu vaccéle, le vascàtte, le n'zalaténe (il catino, vaschette, insalatiere) e persino lu pisciatàure (il pitale), erano entrati nelle case dei sansalvesi, ma sopratutto era entrata nella testa di molti genitori la consapevolezza di far studiare i propri figli.

Emblematica in tal senso è una frase pronunciata, solo qualche anno più tardi, da Luigi Chinni, contadino, il quale rivolgendosi ai propri figli, disse: "Feja mi' studiéte!" (figli miei studiate), "Sennà tenàte l'ucchie ma 'nci vedàte!" (altrimenti pur avendo gli occhi non ci vedete).

Quantunque, quindi, una buona percentuale di giovani avesse iniziato a frequentare le scuole superiori a Vasto ed alcuni anche le Università, restava però in paese uno zoccolo duro che continuava a parlare in dialetto, che per molti forestieri venuti dall'alta Italia, era vero e proprio giargianese.

E fu così che molti sansalvesi, per non fare brutta figura, iniziarono a spezzeche' in italiano, sopratutto con le mogli di questi forestieri del nord.

Ho ancora impresso nella memoria quando queste donne, tutte agghindate e qualcuna anche truccata, tutte eleganti, andavano al mercato coperto nella piazza de la Demucrazze' (della D.C., poi divenuta Piazza Marconi ed infine Piazza Vitale Artese), dove al lato della scuola elementare l'amministrazione comunale aveva realizzato una struttura in ferro con copertura in ondulina metallica, che una notte crollò a seguito di una forte nevicata e mai più ricostruita. Compravano di tutto, riempendo di spesa quelle prime borse elastiche a rete, realizzate con fili di plastica colorati, o quei carrettini a due ruote, con annesso borsone plastificato, vere novità per l'epoca, con le quali tanto ci facevano la maffie (bella figura, sinonimo anche di eleganza).

E fu allora, dialogando con queste donne, che tra un buongiorno signora ed un buonasera signora, entrò a far parte in modo definitivo nel vocabolario sansalvese la parola "signora". Tutti, giovani ed anziani, rivolgendosi ad esse, le chiamavano "signora".

A dire il vero non è che le nostre donne non lo fossero. Lo erano eccome.

Solo che non c'era bisogno di chiamarle in questo modo.

Le chiamavamo Giusuppuine, Ntuniàtte, Minúccie, Sabbijcce, Custanzijcce, Tresamarè, Flummué', Mikkálicce (Giuseppina, Antonietta, Carmina, Sabia, Costanza, Teresa Maria, Filomena, Michelina), o tutt'al più, per rispetto, bella fà' (bella donna), equivalente dialettale di signora.

Il motivo?

Non era necessario tra di noi farsi tanta ciuvulázze (tante cortesie).

Ze vulavàme bene lu stuàsse (Ci volevamo bene lo stesso).


NOTE:

  • Spizziche' :modo di definire in sansalvese chi ostenta una parlatura in italiano per apparire più colto di quanto effettivamente lo sia.
  • Bell'o' (bell'uomo) e bella fà' (bella donna), erano invece i modi equivalenti in dialetto sansalvese di chiamare un signore ed una signora. Bella giuvuna', e giuvuno' erano invece i modi per chiamare una ragazza o ad un  ragazzo.



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Un libro sul web

MA CHI SAREBBERO

LI SALVANESE

I forestieri a San Salvo

INDICE


Capitolo I
Introduzione
I maestri di scuola



Capitolo II
I carabinieri
e Nonsaccie




Capitolo III
da Gerardo D'Aloisio
a Luegge Capaùne




Capitolo IV
Lu camie de Masciulle
(Il camion di Masciulli)




Capitolo V
Giovanni Bassi
e Valentini Bassi Venturini




Capitolo VI
Vincenzo Larcinese




Capitolo VII
Ninuccie
lu panattire




Capitolo VIII
Lu macillare
de Lentelle




Capitolo IX
Nine
lu napuletane




Capitolo X
Franche lu 'nfurmire




Capitolo XI
Quei matrimoni d'altri tempi -
La bella farmacista ed Erpinio Labrozzi




Capitolo XII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIV
Erpinio Labrozzi e Maria Iole Di Nardo




Capitolo XV
(Fine prima Parte)


Capitolo XVI
Lu 'ngiugnìre
Tommaso Papi



Capitolo XVII
La famiglia Ricca




Capitolo XVIII
la crisi degli artigiani




Capitolo XIX
Lu motore
de le casuléne




Capitolo XX
Di Virgilio Nicola
la léma sàrde




Capitolo XXI
Lu camie
de Tinarìlle




Capitolo XXII
Angelo Di Biase
(Biascille)


Capitolo XXIII
Li carrettire
diventano camionis




Capitolo XXIV
Lu Jumme
ed il pastificio de mastre Camélle e Marchàtte




Capitolo XXV
Adelme, Gelarde e Micchéle Cillène




Capitolo XXVI
Li trajene
e la nazionale





Capitolo XXVII
La nazionale
ed il dialetto




Capitolo XXVIII
Li frastire
ed i venditori ambulanti




Capitolo XXIX
Quando la gente
parlava con gli animali




Capitolo XXX
Lu sciopere
de lu bosche
e le cantine sociali




Capitolo XXXI
La scoperta
del metano




Capitolo XXXII
La Brede (la SIV)





Capitolo XXXIII
La nascita
della Villa Comunale




Capitolo XXXIV
LA SIV
L'accensione
del 1° forno




Capitolo XXXV
Giorgio la Rocca
(lu rumuane)




Capitolo XXXVI
L'on. Aldo Moro
a San Salvo




Capitolo XXXVII
La fabbreche de le tavelàlle




Capitolo XXXVIII
Il profumo
del progresso




Capitolo XXXIX
La sirena
e le frasterézze




Capitolo XL
Il trofeo
San Rocco




Capitolo XLI
Pasquale Spinelli



Capitolo XLII
Umberto Agnelli
a SanSalvo




Capitolo XLIII
Scandalo al sole




Capitolo XLIV
Ma chi sarebbero
li salvanése