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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I forestieri a San Salvo

di Fernando Sparvieri


Un po' di storia locale raccontando personaggi










Capitolo 3


I procaccia postali
(Da Gerardo D'Aloisio a la pustale de Capàune )





Restando nel campo delle eufemie ed introducendo un altro noto personaggio frastire (forestiero) si può dire che mentre Nonsaccie, ex spaccapietre, le strade le faceva, Gelarde (Gerardo D'Aloisio - 1876-1951), nato a Tufillo da famiglia farmacista ortonese, invece, le percorreva.

Di professione cocchiere, era titolare del servizio di procaccia postale, nonchè di quello del trasporto dei passeggeri dal paese al vecchio scalo ferroviario e viceversa, e per questo motivo scarrozzava ogni giorno, sotto il sole, la pioggia e la neve, con la sua storica carrozza (la carrozze de Gelarde) lungo i 5 Km della vecchia S.P. Trignina, che separavano San Salvo da la staziáune (dalla stazione ferroviaria).

In altri termini, Gelarde, oltre a trasportare con la sua carrozza i viaggiatori che si recavano alla stazione per prendere o scendere dal treno, era colui addetto al ritiro ed alla consegna del sacco della posta dal vagone postale in arrivo al vecchio scalo ferroviario. Per questo motivo, all’arrivo del treno, era tenuto ad indossare un berretto simile a quello dei postini, essendo a tutti gli effetti equiparato ad un dipendente dell' Amministrazione postale, con la quale aveva stipulato un regolare contratto di lavoro.

Ma chi era effettivamente questo Gerardo D’Aloisio, nato per caso a Tufillo, ortonese di famiglia e sansalvese per adozione, sino alla morte.

Sposatosi nel 1897 con Za’ Flummuè (Filomena Fabrizio), giovane sansalvese, era persona dotata di un innato senso degli affari, che fiutava ovunque fossero.

Tornato dall’America, con i soldi guadagnati, aveva comprato una scuderia di cavalli, trajéne (carretti) e carrozze, riuscendo a costruire nel tempo un mezzo impero finanziario.

Proprietario di case e terreni, che acquistava in continuazione, aveva due stalle per il cambio dei cavalli: una nella sua casa in C.so Umberto I, sàtte a lu Munumente (dirimpetto al Monumento ai caduti), con ingresso per gli animali dall’attuale piazza Amendola e l’altra dirimpetto alla stazione ferroviaria, in cui aveva messo uno spaccio di sali e tabacchi, che venderà nel dopoguerra a Za’ Filuméne, madre di Assunta, prima moglie di Belarde (Berardo Di Giuliano - 1913-1999), originario di Mosciano Sant’Angelo, famosissimo nei successivi anni ’60, per i suoi profumatissimi e fraganti panini con la mortadella, che vendeva proprio in quei locali, che sua suocera aveva acquistato da Gelarde.

Gelarde, sebbene gli affari gli procedessero a gonfie vele, aveva anch'egli un cruccio: quello di non aver avuto figli. Ciò tuttavia non gli impedì di avere una famiglia allargata, costituita da nipoti suoi e della moglie, di cui si sentiva patriarca e leader assoluto.

Tutti dovevano partecipare alla sua attività e sottostare ai suoi ordini. In pratica, mentre egli scorazzava con la sua carrozza dal paese alla stazione ferroviaria, la sua linea preferita, tutti gli altri, nghe le trajéne (con i carretti), erano comandati a svolgere lavori conto terzi tra i più disparati , come je’ 'rcaccià le prete a lu fiume (andare a caricare le pietre per l'edilizia al fiume), arcaccià’ li manuppele (trasportare, nel periodo della mietitura, i covoni di grano dal campo all’aia), purta’ la dàdde a li spuse (trasportare il corredo nuziale della sposa nella casa in cui la coppia sarebbe andata ad abitare).

La sera, al rientro, tutti a rapporto, e non sempre erano rose e viole.

Da quel che si racconta in giro, pare che il nostro amico Gelarde avesse un caratterino tutto pepe, non proprio a la uale (un po' particolare, non uguale alla norma). I sansalvesi lo ricordano come personaggio unico, ma anche come persona facilmente irascibile e molto intransigente.

Si racconta che un giorno scese dal treno un ragazzo con i calzoni corti. Eravamo nell’epoca in cui le donne indossavano ancora che le unnìuán’a’ lunghe (quelle gonne lunghissime) fino a lu spezzàlle (alla caviglia) ed al massimo qualche giovane portava li cazzìune a la zuárre (i pantaloni a la zuava), con i polpacci sempre coperti da calzettoni lunghi.

Gelarde, vedendolo a còsse vedìute (a gambe nude), nel momento in cui il ragazzo si apprestava a salire sulla carrozza, lo bloccò dicendogli : "Ue’ giuvuno’! Tu nghe si cazzinétte saprue a la carrozza ma’ ’nci sije" (Ehi giovane, tu con quei pantaloncini corti sulla mia carrozza non ci sali), lasciandolo a piedi.

Il giovane in questione, che io conobbi molti anni dopo, era il prof. Michele Mattia, pugliese, che negli anni ’60 insegnerà Storia e Filosofia al liceo classico di Vasto, diventando poi Preside del liceo scientifico vastese. Era venuto a trovare sua sorella Donna Marì (Donna Maria Mattia), la maestra elementare, che si era sposata a San Salvo. Povero futuro preside: si dovette ammulla' (nel senso di percorrere) 5 km a piedi.

Ma questo era ancora pane e cascie (pane e formaggio).

Sempre da quel che si racconta in giro, pare che il nostro amico Gelarde, accuppuàsse sgrujazzanne (desse colpi di frusta), non solo ai cavalli o ai ragazzini che si appendevano dietro la sua carrozza per andare al mare, ma anche alla concorrenza con la quale, nonostante un' apparente amicizia, sovente aveva rapporti non proprio idilliaci.

Infatti, sebbene spesso faciàsse a bicchijre (brindasse) con altri trainìre (carrettieri) del paese, come li Carruzzìre (fam. Fabrizio, di cui la moglie era parente), o chelle de Valérie (fam. Torricella) o chelle de Zengrélle (altro ceppo della famiglia Fabrizio), quando si trattava di fare affari non guardava in faccia a nessuno, tentando sempre di batterli sul fil di lana. Ne sapeva qualcosa anche Rocche de Mattijccie (Rocco Fabrizio, figlio di Matteo), che con la sua unica carrozza trasportava chi si doveva recare a Vasto, solo però quando riempiva tutti i posti a sedere.

Ma le sgrujazzánne (le frustate) di Gelarde , non sempre erano mirate alla concorrenza.

Spesso e volentieri le mollava anche a personalità del paese, con le quali ostentava ottimi rapporti.

Ah cavalle, la carrozze è chien’e chiacchiere!” (Ah cavallo! Oggi la carrozza è piena di chiacchiere), era solito dire, ad alta voce, al suo cavallo mentre trottava, quando i passeggeri erano i pezzi grossi del paese, sapendo che, come spesso accade ancora oggi in politica, facevano solo chiacchiere e che, per di più, difficilmente lo avrebbero pagato, o meglio che lui, per ingraziarseli, non li avrebbe mai fatto pagare.

Amico del potere, mai pago delle sue molteplici attività, per un periodo stipulo’ anche un contratto con il Comune di San Salvo per il servizio della nettezza urbana, che dopo un po’ gli puzzò. Non trascorse tempo che ne stipulò un altro con l' Amministrazione Postale per il trasporto della posta dalla scalo ferroviario di San Salvo sino a Palmoli, aquistando per l’occasione nel ’34, la sua prima ed unica automobile, che però gli si bruciò.

Meglio i cavalli.

Si fece allora costruire una giardinetta, una carrozza da dieci posti, da Mastre Antonie Sparviri (Mastr’Antonio Sparvieri), l’unico maestro falegname carraio di quei tempi, che era una specie di diligenza del far west, che putroppo non riscosse molto successo, in quanto la gente si spostava nei paesi limitrofi in gran parte ancora a piedi.

Con l’approssimarsi della vecchiaia e dopo qualche vicissitudine, che ne minò la sua spavalda sicurezza, ormai anziano, appese lu sgrujazze (la frusta) al chiodo e si ritirò.

Prese il suo posto di procaccia postale Adelme (Adelmo Torricella -1923-2016).

Adelme, appartenente ad altra famosa famiglia di trainìre (carrettieri) sansalvesi, quella di Carmine Torricella, padre anche di Urizio, Erminio, Ettorino, Erpinio e di alcune figlie femmine (ebbe in totale 17 figli di cui solo 9 ne sopravvissero), svolse questo servizio per qualche anno, sino a quando non passò il berretto a Luégge Capàune (Luigi Torricella 1921-1988), simpaticismo personaggio sansalvese, il quale pur portando lo stesso cognome del suo predecessore, apparteneva però ad un altro ceppo familiare, a li Capiùne.

Luégge Capàune, che prima di allora, aveva aperto, con scarsa fortuna, una latteria nell’attuale Piazza Papa Giovanni XXIII, a fianche a la puteche de Margiseppe (in adiacenza della bottega di Mariagiuseppa Fabrizio), modernizzò il servizio, acquistando di seconda mano ’na pustalàtte (una piccola corriera), insieme a Angiuline Biascille (Angelo Di Biase), calzolaio in procinto di passare ad altri mestieri e 'Ntunine Di Petta (Antonio Di Petta), camionista, marito di Giuvine (Giovina D'Ercole), famosa bidella della scuola media negli '60. Autisti erano Biascille e 'Ntunine, mentre Luégge, che non aveva la patente, faciàve lu bejettare (faceva il fattorino). Costo della corsa 10 lire.

La pustale di Capàune - Foto scattata da Evaristo Sparvieri


Fu per i sansalvesi una verà novità. Molti ragazzi cominciarono a prenderla d'estate per andare al mare (scendevano nei pressi del passaggio a livello e proseguivano a piedi sino alla battigia) e siccome non c'erano molti posti a sedere, decine di essi viaggiavano sul portapacchi, con il vento che scompigliava loro i capelli.

Com'era prevedibile, viste e considerate le condizioni non proprio ottimali della piccola corriera, quando la vedevano ferma, non mancavano gli sfottò. C'era chi j'arcacciáve nu dufétte (gli tirava fuori per scherno qualche difetto), dicendo che si era sfasciata, chi diceva che era rimasta ferma perchè i proprietari non avevano più i soldi per la benzina. Insomma, nonostante la piccola corriera svolgesse più che dignitosamente il suo servizio, vi era sempre qualcuno a cui piaceva sfottere Luégge & C., probabilmente anche per un pizzico d'invidia.

Gli sfottò raggiunsero il loro apice quando un giorno... mentre la corriera era diretta alla stazione ferroviaria e stava percorrendo il rettilineo che conduceva a lu puante de Ciaralle (al ponte di Ciarallo, che era ubicato all'incirca qualche chilometro più giù della ex Magneti Marelli andando verso il mare), ecco all'improvviso un gregge di pecore attraversare la strada.

"Frìne! Frìne! Le péchere!!!" (Frena! Frena! Le pecore!!!), gridò Luegge a 'Ntunine, che conduceva la corriera.

Fu impossibile frenare. Si erano rotti i freni.

Furono le pecore a fermare la marcia dell'automezzo. Alla fine della corsa se ne contarono a terra una cinquantina. Fu una strage.

La cosa suscitò, come prevedibile, l'ilarità dei ragazzi sansalvesi, che aggiunsero agli sfottò di prima, spesso inventati di sana pianta, finalmente qualcosa di vero.

Come spesso accade nella vita, quando dalle disgrazie altrui, in molti poi ci traggono profitto, furono in molti a guardagnarci.

Ci guadagnò lu pecherále (il pecoraio) che prese un congruo risarcimento, ci guadagnarono i macellai sansalvesi, che acquistarono le carcasse delle pecore investite, ci guadagnarono i sansalvesi che acquistarono a loro volta la carne a basso macello.

Per i sansalvesi fu come una manna o meglio una mandria caduta dal cielo.

Il giorno dopo, Pauluccie De Lìque (Paolo De Luca), il banditore, buttò il bando.

Quella cinquantina di pecore macellate, dopo essere state prima maciullate da la pustale de Capàune, vennero inghiottite nei meandri degli stomaci vuoti dei sansalvesi.

Si racconta che la carne di quelle pecore pare fosse diventata carna murtacéne (carne nera) a causa del sangue rattrappito.

Ma che importava!

Pure la fame era nera.

VIDEO

DIALOGHI DIALETTALI - La pustale de Capaune e la strage delle pecore
La pustale de Capaune
NOTE:

  • Nel dopoguerra, molti mestieri, che sembravano solidi, scomparvero. E' il caso de le carruzzìre (dei cocchieri) e de le trainìre (dei conducenti di carretti) i quali, in tutto il circondario, abbandonarono i cavalli per acquistare le prime corriere e camion. A San Salvo le famiglie Fabrizio (Carruzzìre) e Torricella (chelle de Valerie), si misero a fare i camionisti. A Vasto, invece, i Di Fonzo, i Tessitore, i Cerella, famiglie non propriamente vastesi d'origine, istitituirono i primi servizi di autolinee, divenendo nel corso degli anni solide società di autoservizi.
  • La figura del procaccia postale con la carrozza terminò con l'arrivo delle prime corriere. Questo è il motivo per cui la corriera è chiamata dagli anziani la pustale (la postale), perchè sostituì la carrozza per il trasporto dei sacchi della posta.
  • La putéche de Margiséppe ( la bottega di Mariagiuseppa Fabrizio), detta Margiseppe la capurale, era ubicata nell'attuale Piazza Papa Giovanni XXIII, esattamente nell'edifico in cui oggi vi è al piano 1° anche il museo la Giostra della Memoria di Angiolina Balduzzi.
  • Lu puànte de Ciáralle (il ponte di Ciarallo) si trovava esattamente in Viale Inghilterra dove oggi vi è la rotonda in zona industriale, in cui insiste l'opificio Triveri, ed era così chiamato perchè lì vi era il terreno di proprietà di un ceppo della famiglia Fabrizio, soprannominata "chelle de Ciáralle".
  • Luigi Torricella, detto Capaùne, dopo che abbandonò l'attività di procaccia postale, venne assunto come postino dall' Amministrazione Postale. Negli anni '50-'60, svolse il servizio di portalettere in coppia con Vitale Pellicciotta, figlio a sua volta di Achille, antico postino del paese.
  • Luigi Capaune era un tipo simpaticissimo, sempre con la battuta pronta. Dotato di un fisico robusto, rossiccio di carnagione, lentigginoso, aveva un tono di voce verso il grave e due occhi intelligenti, che apparivano piccoli nel suo faccione. Di lui si raccontano parecchi aneddoti. Disse una volta, a proposito dei ladri che vengono scarcerati subito dopo l'arresto: "Le lédre ne pònne stà dandre! Doppe n'aure l'hanne arcaccià, sennà ze sfelatene!" (trad. I ladri, non possono stare dentro, dopo un'ora li devono tirare fuori, altrimenti muoiono per asfissia). Un giorno, ormai anziano, tornando dal supermercato, dove si era recato per comprare una scatoletta di cibo per gatti, incontrò un amico e gli disse: " La hatte ma' magne sole ste scatelalle. Ne vo' lu pàscie, cà te le spene! Te paure ca zi strozze! (trad. Il mio gatto mangia solo queste scatolette di cibo per gatti. Non mangia il pesce perchè ha le spine. Teme di strozzarsi). Altra sua battuta è quella di quando andò in pensione da portalettere. Disse: "M'hanna viùte manna' pe' fforze 'npenziaùne ! M'ha cascate 'na raccumandate saprùe a lu puète e so 'rmase ìnvalede (Mi hanno dovuto mandare per forza in pensione. Mi è caduta una lettera raccomandata sul piede e sono rimasto invalido).

Luigi Torricella, detto Capàune.



pag.3


dietro/avanti


Un libro sul web

MA CHI SAREBBERO

LI SALVANESE

I forestieri a San Salvo

INDICE


Capitolo I
Introduzione
I maestri di scuola



Capitolo II
I carabinieri
e Nonsaccie




Capitolo III
da Gerardo D'Aloisio
a Luegge Capaùne




Capitolo IV
Lu camie de Masciulle
(Il camion di Masciulli)




Capitolo V
Giovanni Bassi
e Valentini Bassi Venturini




Capitolo VI
Vincenzo Larcinese




Capitolo VII
Ninuccie
lu panattire




Capitolo VIII
Lu macillare
de Lentelle




Capitolo IX
Nine
lu napuletane




Capitolo X
Franche lu 'nfurmire




Capitolo XI
Quei matrimoni d'altri tempi -
La bella farmacista ed Erpinio Labrozzi




Capitolo XII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIV
Erpinio Labrozzi e Maria Iole Di Nardo




Capitolo XV
(Fine prima Parte)


Capitolo XVI
Lu 'ngiugnìre
Tommaso Papi



Capitolo XVII
La famiglia Ricca




Capitolo XVIII
la crisi degli artigiani




Capitolo XIX
Lu motore
de le casuléne




Capitolo XX
Di Virgilio Nicola
la léma sàrde




Capitolo XXI
Lu camie
de Tinarìlle




Capitolo XXII
Angelo Di Biase
(Biascille)


Capitolo XXIII
Li carrettire
diventano camionis




Capitolo XXIV
Lu Jumme
ed il pastificio de mastre Camélle e Marchàtte




Capitolo XXV
Adelme, Gelarde e Micchéle Cillène




Capitolo XXVI
Li trajene
e la nazionale





Capitolo XXVII
La nazionale
ed il dialetto




Capitolo XXVIII
Li frastire
ed i venditori ambulanti




Capitolo XXIX
Quando la gente
parlava con gli animali




Capitolo XXX
Lu sciopere
de lu bosche
e le cantine sociali




Capitolo XXXI
La scoperta
del metano




Capitolo XXXII
La Brede (la SIV)





Capitolo XXXIII
La nascita
della Villa Comunale




Capitolo XXXIV
LA SIV
L'accensione
del 1° forno




Capitolo XXXV
Giorgio la Rocca
(lu rumuane)




Capitolo XXXVI
L'on. Aldo Moro
a San Salvo




Capitolo XXXVII
La fabbreche de le tavelàlle




Capitolo XXXVIII
Il profumo
del progresso




Capitolo XXXIX
La sirena
e le frasterézze




Capitolo XL
Il trofeo
San Rocco




Capitolo XLI
Pasquale Spinelli



Capitolo XLII
Umberto Agnelli
a SanSalvo




Capitolo XLIII
Scandalo al sole




Capitolo XLIV
Ma chi sarebbero
li salvanése