Ebbene, più o meno,
erano ancora questi i tempi in cui venne a San
Salvo, la dottoressa Maria Adda Iole Di Nardo, di
professione farmacista, chiamata affettuosamente
dagli amici Iole ed in famiglia Ioletta.
Iole era una bella ragazza, distinta, dal portamento
fine e signorile.
Si era laureata in farmacia a Napoli, con passione e
ostinazione e per una ragazza dell'epoca, che era
partita da un piccolo centro dell'entroterra come
Guilmi, neppure con tante risorse economiche nella
borsetta, era come se avesse girato il mondo (sua
mamma, temendo l'ambiente napoletano, l'avrebbe
voluta maestrina, mentre il suo papà, uomo
coraggioso, assecondava tutte le sue aspirazioni).
Il camice bianco da farmacista, le conferiva un
aspetto unico e professionale, a cui i sansalvesi
non erano abituati, avendo sempre avuto farmacisti
maschi, da
donn'Ureste Artese all'ormai
lontanissimo nel tempo, a
Giuvannine Ialacci
(che nel frattempo si era trasferito a Roma). La sua
dolcezza femmile, inoltre, esaltava ancor più la sua
classe, quando parlando in italiano, era prodiga di
consigli ai clienti sulle varie terapie da adottare
per la cura delle malattie.
Il destino, ora, l'aveva portata qui, a San Salvo, a
due passi da casa e sopratutto, anche se lei ancora
non lo sapeva, ad un passo dal sogno di ogni
ragazza: quello di incontrare il principe azzurro.
E come avrebbe potuto saperlo, la nostra cara Iole,
se il suo principe, invece di indossare il classico
mantello azzurro, indossava, sotto mentite spoglie,
un impermeabile beige?
L 'impermeabile beige in questione (
lu tréngie
- dall'inglese trench), era di proprietà del giovane
veterinario sansalvese Erpinio Labrozzi (una specie
di seconda pelle che si portava cucita addosso nei
mesi invernali), il quale cotto pazzo della nuova
farmacista sin dal primo incontro, ogni sera partiva
da casa sua, che era in Corso Garibaldi, dinanzi
alla caserma dei carabinieri, per arrivare un po'
più sotto, in farmacia, che si trovava in affitto in
una camera al piano terra della casa di Andrea
Fabrizio, nonno materno di Lino ed Andrea Checchia
(attale incrocio tra Corso Garibaldi e Via G. de
Vito).
Fatto sta che il giovane veterinario, con
impermeabile o senza, nonostante non gli mancassero
le argomentazioni su cui conversare con la bella
farmacista, non riusciva mai a cogliere l'attimo per
confessarle il suo amore. Volendo adoperare
un'allegoria era come se ogni sera partisse da casa
con il piede giusto e arrivato in farmacia, sul più
bello, inciampasse e perdesse la via o meglio il
filo del discorso, uscendo inevitabilmente fuori
tema.
Non è che Erpinio, a dire il vero, avesse timore a
dichiararsi. Innanzitutto temeva che un rifiuto
potesse rovinare la bella amicizia che si era creata
tra di loro, e poi era un po' più grandicello
rispetto alla bella farmacista e questo fatto,
com'era logico, psicologicamente un po' lo bloccava.
Ma forse non era neppure solo questo il vero motivo.
Dietro la sua maschera sorridente, nel profondo del
suo io, celava un po' di tristezza, causa la guerra
che, come a tanti suoi coetanei, gli aveva rubato
gli anni più belli della sua gioventù e non credeva
ai suoi occhi, non gli pareva possibile, che
finalmente la buona sorte si fosse ricordata di lui,
regalandogli, dopo anni di sofferenza, tanta
felicità.
La sua vita in fondo, a parte l'infanzia, non era
stata sino a quel momento tutta rose e viole.
Costretto ad interrompere gli studi liceali a
Chieti, sbattuto appena diciottenne in un fronte in
Albania, dove, dopo l'armistizio dell' 8 settembre
1943 tra l'Italia e gli alleati, si ritrovò dapprima
partigiano e poi prigioniero per lunghi anni in mano
ai tedeschi, non gli pareva vero che la vita potesse
arridergli tutta d'un tratto, regalandogli
addirittura l'amore (al suo ritorno a casa, a piedi
da Bari, pesava solo 38 chilogrammi, tanto è vero
che la mamma, che lo credeva morto, svenne
riconoscendolo a malapena).
Certamente, la guerra era passata da più di un
decennio ed egli, nel frattempo, all'età di
ventritré anni aveva brillantemente ripreso gli
studi, prendendosi la licenza liceale a Vasto e
successivamente la laurea in veterinaria a Perugia
(fu il primo veterinario sansalvese), ma la ferita
della delusione per le atrocità della guerra era
ancora aperta e stentava a rimarginarsi, per cui
viveva questa sua nuova veste di innamorato, con
molta, tantissima prudenza.
Iole, che non era ingenua, aveva capito tutto. Era
attratta dalla gentilezza e forte personalità di
quel giovanotto, ma non toccava a lei fare la prima
mossa. A quei tempi i ruoli erano ben precisi:
toccava al maschio fare il primo passo.
E così il tempo passava, ma Erpinio non si
dichiarava.
Come si suol dire, sfogliava la margherita: m'ama
non m'ama e si crucciava.
Anche i suoi amici però avevano capito tutto.
Erpinio Labrozzi in
prima fila al centro. Accanto e lui sulla destra
Do' Marie Artese.
In 2^ fila in alto a sinistra Vitale Artese.
E così una sera gli trassero un 'fatal' tranello.
Invitaroro Iole ad una festa e quando ella arrivò,
all'insaputa di Erpinio, che era lì presente,
incominciarono a battere insieme ritmicamente le
mani, gridando tutti in coro, scherzosamente: "Iole
è la sposa di Erpinio! Iole è la sposa di Erpinio!",
svelando di fatto all'imbarazzata Iole, che già
sapeva, i sentimenti di un'altrettanto impacciato
Erpinio, sancendo così, per acclamazione, il loro
fidanzamento dinanzi agli altri ignari invitati, ai
quali non restò altro che rivolgere ad entrambi i
doverosi auguri.
I due ragazzi si guardarono negli occhi e sorrisero
a vicenda.
Quello fu il suggello.
Quella sera, per la prima volta, brindarono nella
stessa coppa con l'elisir d'amore e, morale della
favola, vissero felici e contenti, pur tra le
difficoltà della vita, che solo i matrimoni saldi,
riescono con la sola forza dell'amore a superare.
San Salvo 29 settembre
1957 - Iole e Erpinio, dopo il matrimonio a
Guilmi, lanciano i confetti nuziali dal balcone
di casa Labrozzi in C.so Garibaldi.
Iole e Erpinio, dopo il matrimonio a Guilmi,
lanciano i confetti nuziali dal balcone di casa
Labrozzi in C.so Garibaldi.
Il destino li portò dapprima a Carunchio, dove Iole,
ancor giovanissima, lavorò nella farmacia del paese,
e successivamente a Roccaspinalveti, cittadina in
cui la dottoressa Maria Adda Iole Di Nardo,
farmacista, vide finalmente avverarsi il suo antico
sogno di giovincella: divenire titolare di una
farmacia tutta sua. Fu quello un periodo molto
intenso e prolifico per la giovane coppia (e non
solo per la nascita dei tre figli), in cui ognuno,
oltre a svolgere la rispettiva attività
professionale, si dedicò con passione ed impegno
anche all'insegnamento nelle scuole medie dei paesi
limitrofi, essendo in atto la prima vera
scolarizzazione di massa, che vide impegnati anche
quei pochi laureati in giro, che all'epoca si
contavano ancora come le mosche bianche.
La vera passione di Erpinio, tuttavia, restavano gli
animali, per i quali nutriva, sin dai tempi
dell'Albania, un profondo amore. Fu lì, oltremare, a
decidere, che se fosse un dì tornato in Italia,
avrebbe fatto il veterinario. Lì si rese conto di
quanto fosse importante che qualcuno si dedicasse
con umanità a curare il bestiame e di quanto valesse
una sola pecora per un pastore. Un valore
inestimabile!
Aveva il cuore buono Erpinio. Si racconta che
quando, da veterinario, andava a fare un intervento
delicato a qualche capo e malauguratamente non
riusciva a salvarlo, a volte passando tutta la notte
a lottare per strapparlo alla morte, tornava a casa
distrutto. Erano più le volte che non si faceva
pagare, sopratutto in questi casi, perché gli
sembrava ingiusto aggiungere il peso del suo
onorario alla perdita economica che aveva subito il
contadino, per il quale, ancora a quei tempi, la
morte di un animale equivaleva quasi ad un lutto in
famiglia.
Aveva il cuore buono Erpinio, ed un pezzo del suo
cuore, anzi tutto, era rimasto quì, nella sua San
Salvo.
San Salvo nel frattempo era cresciuta. Era arrivata
la SIV (anni '60) ed era in arrivo la Magneti
Marelli (anni '70), e per la prima volta nella
storia della nostra cittadina, iniziava a muoversi
qualcosina anche alla marina, in Contrada Marinelle
(così si chiamava ancora all'epoca l'intera area
costiera), che era considerata ancora zona di
campagna.
La nostalgia era tanta ed insieme alla sua Iole,
decisero entrambi di rischiare.
Acquistarono un terreno e vi realizzarono una
farmacia rurale a due passi dal mare, in Via Arenile
(così si chiamava all'epoca Via A. Doria), entrando
di diritto a far parte della storia dei primi
pionieri della neonata San Salvo Marina, che a quei
tempi contava ancora quattro case e quattro gatti.
Erano felici in quella casa in riva al mare, in cui
qualche tempo dopo andarono anche ad abitare (1974)
, ma vi era un'antica promessa a cui tener fede:
tornare un giorno nella loro antica residenza in
Corso Garibaldi, dal cui portone ogni sera usciva e
partiva con il piede giusto un giovane timido
principe con l'impermeabile beige, per recarsi dalla
sua principessa in camice bianco, per poi perdersi
inevitabilmente per strada.
Era l'ultimo atto che mancava al loro romanzo
d'amore, tornare in quella casa che era stata il
loro primo nido, che per loro era più bella ed
imponente di una reggia.
Correva l'anno 1978 quando Erpinio iniziò a
ristrutturarla.
Ma ecco che il destino, lo stesso che venticinque
anni prima li aveva resi interpreti di una delle più
belle favole d'amore che la nostra cittadina
ricordi, stava per interrompere all'improvviso il
loro solidale e felice cammino, scrivendo la pagina
più amara.
Fu come un fulmine a ciel sereno.
Era il 1 maggio 1981. La ferale notizia si sparse in
un baleno: il dottor Erpinio Labrozzi, che per la
cronaca rivestiva da qualche anno la carica di vice
Sindaco del Comune di San Salvo, tra lo sgomento dei
suoi familiari, dei suoi amici e di quanti lo
conobbero e gli vollero bene, si era spento a
Chieti, dopo brevissima ed improvvisa malattia.
Questa volta, purtroppo, Erpinio se n'era andato per
sempre. Non sarebbe più tornato, né da Chieti, in
cui da ragazzino aveva studiato, né da quella
prigione in Albania in cui durante la campagna di
guerra in Grecia era stato, né da Bologna e Perugia,
città in cui aveva studiato e si era laureato, e né
dai paesi dell'interno in cui come veterinario e
professore aveva tanto lavorato.
Quanto tempo era stato fuori Erpinio! Una vita! E
ora che l'antico sogno era ad un passo!
Fu un colpo durissimo. Toccò alla sua Ioletta
trovare la forza di tener fede a quell'antica
promessa.
Cinque mesi dopo, con la morte nel cuore, ma con la
forza d'animo che da sempre l'aveva contraddistinta,
la signora Maria Adda Iole Di Nardo, varcò
mestamente il portone di quella casa, insieme ai
suoi tre figli, così come aveva tanto desiderato il
suo Erpinio, di cui ne stava onorando la volontà e
la memoria.
Erpinio purtroppo non c'era, ma c'era. Era lì, ad un
soffio, inarrivabile, ma c'era.
Tutto parlava e continuava a raccontare di Lui.
Tutt'oggi, passando di lì, mi sembra di vederlo
ancora, sorridente, salutarmi con il suo
inconfondibile e nuovo impermeabile beige, mentre è
intento a
argiusté la case (ristrutturare
la sua vecchia casa), ereditata dal suo papà, che si
chiamava Angelo, così come il loro primogenito, il
dott. Angelo Labrozzi, che sulle orme materne è oggi
titolare, in quella casa, della moderna farmacia che
fu di sua madre e di cui egli ne conserva
orgogliosamente il nome e la memoria: Farmacia Di
Nardo.
Per chi li ha conosciuti, ora che entrambi non ci
sono più, Erpinio e Iole, nonostante il tempo
trascorso, non sono mai andati via: vivono ancora
lì, insieme, in quella casa, dove tutto continua a
parlare dei loro sogni, del loro lavoro e del loro
amore.
Io, però, non so perché, li rivedo insieme,
sorridenti, a due passi dal mare.
Un motivo ci sarà.
Sarà che il mare è grande: grande ed immenso come fu
il loro amore.
Al mare. Erpinio
Labrozzi in primo piano a destra, insieme alla
signora Iole,alla sua sinistra.A sinistra, sullo
sgabellino, Do' Rolando (la poste) Cirese,
cognato di Erpinio e dinanzi a lui il maestro
elementare Enrico Maiarota, a sua volta cognato
di Rolando.