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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I forestieri a San Salvo

di Fernando Sparvieri


Un po' di storia locale raccontando personaggi










Capitolo XIV
Iole ed Erpinio Labrozzi

(Quel fidanzamento per acclamazione)



San Salvo 10 giugno 1956. Iole e Erpinio, fidanzati,nel giardino di casa Labrozzi in C.so Garibaldi.


Ebbene, più o meno, erano ancora questi i tempi in cui venne a San Salvo, la dottoressa Maria Adda Iole Di Nardo, di professione farmacista, chiamata affettuosamente dagli amici Iole ed in famiglia Ioletta.

Iole era una bella ragazza, distinta, dal portamento fine e signorile.

Si era laureata in farmacia a Napoli, con passione e ostinazione e per una ragazza dell'epoca, che era partita da un piccolo centro dell'entroterra come Guilmi, neppure con tante risorse economiche nella borsetta, era come se avesse girato il mondo (sua mamma, temendo l'ambiente napoletano, l'avrebbe voluta maestrina, mentre il suo papà, uomo coraggioso, assecondava tutte le sue aspirazioni).

Il camice bianco da farmacista, le conferiva un aspetto unico e professionale, a cui i sansalvesi non erano abituati, avendo sempre avuto farmacisti maschi, da donn'Ureste Artese all'ormai lontanissimo nel tempo, a Giuvannine Ialacci (che nel frattempo si era trasferito a Roma). La sua dolcezza femmile, inoltre, esaltava ancor più la sua classe, quando parlando in italiano, era prodiga di consigli ai clienti sulle varie terapie da adottare per la cura delle malattie.

Il destino, ora, l'aveva portata qui, a San Salvo, a due passi da casa e sopratutto, anche se lei ancora non lo sapeva, ad un passo dal sogno di ogni ragazza: quello di incontrare il principe azzurro.

E come avrebbe potuto saperlo, la nostra cara Iole, se il suo principe, invece di indossare il classico mantello azzurro, indossava, sotto mentite spoglie, un impermeabile beige?

L 'impermeabile beige in questione (lu tréngie - dall'inglese trench), era di proprietà del giovane veterinario sansalvese Erpinio Labrozzi (una specie di seconda pelle che si portava cucita addosso nei mesi invernali), il quale cotto pazzo della nuova farmacista sin dal primo incontro, ogni sera partiva da casa sua, che era in Corso Garibaldi, dinanzi alla caserma dei carabinieri, per arrivare un po' più sotto, in farmacia, che si trovava in affitto in una camera al piano terra della casa di Andrea Fabrizio, nonno materno di Lino ed Andrea Checchia (attale incrocio tra Corso Garibaldi e Via G. de Vito).

Fatto sta che il giovane veterinario, con impermeabile o senza, nonostante non gli mancassero le argomentazioni su cui conversare con la bella farmacista, non riusciva mai a cogliere l'attimo per confessarle il suo amore. Volendo adoperare un'allegoria era come se ogni sera partisse da casa con il piede giusto e arrivato in farmacia, sul più bello, inciampasse e perdesse la via o meglio il filo del discorso, uscendo inevitabilmente fuori tema.

Non è che Erpinio, a dire il vero, avesse timore a dichiararsi. Innanzitutto temeva che un rifiuto potesse rovinare la bella amicizia che si era creata tra di loro, e poi era un po' più grandicello rispetto alla bella farmacista e questo fatto, com'era logico, psicologicamente un po' lo bloccava.

Ma forse non era neppure solo questo il vero motivo. Dietro la sua maschera sorridente, nel profondo del suo io, celava un po' di tristezza, causa la guerra che, come a tanti suoi coetanei, gli aveva rubato gli anni più belli della sua gioventù e non credeva ai suoi occhi, non gli pareva possibile, che finalmente la buona sorte si fosse ricordata di lui, regalandogli, dopo anni di sofferenza, tanta felicità.

La sua vita in fondo, a parte l'infanzia, non era stata sino a quel momento tutta rose e viole. Costretto ad interrompere gli studi liceali a Chieti, sbattuto appena diciottenne in un fronte in Albania, dove, dopo l'armistizio dell' 8 settembre 1943 tra l'Italia e gli alleati, si ritrovò dapprima partigiano e poi prigioniero per lunghi anni in mano ai tedeschi, non gli pareva vero che la vita potesse arridergli tutta d'un tratto, regalandogli addirittura l'amore (al suo ritorno a casa, a piedi da Bari, pesava solo 38 chilogrammi, tanto è vero che la mamma, che lo credeva morto, svenne riconoscendolo a malapena).

Certamente, la guerra era passata da più di un decennio ed egli, nel frattempo, all'età di ventritré anni aveva brillantemente ripreso gli studi, prendendosi la licenza liceale a Vasto e successivamente la laurea in veterinaria a Perugia (fu il primo veterinario sansalvese), ma la ferita della delusione per le atrocità della guerra era ancora aperta e stentava a rimarginarsi, per cui viveva questa sua nuova veste di innamorato, con molta, tantissima prudenza.

Iole, che non era ingenua, aveva capito tutto. Era attratta dalla gentilezza e forte personalità di quel giovanotto, ma non toccava a lei fare la prima mossa. A quei tempi i ruoli erano ben precisi: toccava al maschio fare il primo passo.

E così il tempo passava, ma Erpinio non si dichiarava.
Come si suol dire, sfogliava la margherita: m'ama non m'ama e si crucciava.

Anche i suoi amici però avevano capito tutto.

Erpinio Labrozzi in prima fila al centro. Accanto e lui sulla destra Do' Marie Artese.
In 2^ fila in alto a sinistra Vitale Artese.


E così una sera gli trassero un 'fatal' tranello.

Invitaroro Iole ad una festa e quando ella arrivò, all'insaputa di Erpinio, che era lì presente, incominciarono a battere insieme ritmicamente le mani, gridando tutti in coro, scherzosamente: "Iole è la sposa di Erpinio! Iole è la sposa di Erpinio!", svelando di fatto all'imbarazzata Iole, che già sapeva, i sentimenti di un'altrettanto impacciato Erpinio, sancendo così, per acclamazione, il loro fidanzamento dinanzi agli altri ignari invitati, ai quali non restò altro che rivolgere ad entrambi i doverosi auguri.

I due ragazzi si guardarono negli occhi e sorrisero a vicenda.

Quello fu il suggello.

Quella sera, per la prima volta, brindarono nella stessa coppa con l'elisir d'amore e, morale della favola, vissero felici e contenti, pur tra le difficoltà della vita, che solo i matrimoni saldi, riescono con la sola forza dell'amore a superare.

San Salvo 29 settembre 1957 - Iole e Erpinio, dopo il matrimonio a Guilmi, lanciano i confetti nuziali dal balcone di casa Labrozzi in C.so Garibaldi.


Iole e Erpinio, dopo il matrimonio a Guilmi, lanciano i confetti nuziali dal balcone di casa Labrozzi in C.so Garibaldi.

Il destino li portò dapprima a Carunchio, dove Iole, ancor giovanissima, lavorò nella farmacia del paese, e successivamente a Roccaspinalveti, cittadina in cui la dottoressa Maria Adda Iole Di Nardo, farmacista, vide finalmente avverarsi il suo antico sogno di giovincella: divenire titolare di una farmacia tutta sua. Fu quello un periodo molto intenso e prolifico per la giovane coppia (e non solo per la nascita dei tre figli), in cui ognuno, oltre a svolgere la rispettiva attività professionale, si dedicò con passione ed impegno anche all'insegnamento nelle scuole medie dei paesi limitrofi, essendo in atto la prima vera scolarizzazione di massa, che vide impegnati anche quei pochi laureati in giro, che all'epoca si contavano ancora come le mosche bianche.

La vera passione di Erpinio, tuttavia, restavano gli animali, per i quali nutriva, sin dai tempi dell'Albania, un profondo amore. Fu lì, oltremare, a decidere, che se fosse un dì tornato in Italia, avrebbe fatto il veterinario. Lì si rese conto di quanto fosse importante che qualcuno si dedicasse con umanità a curare il bestiame e di quanto valesse una sola pecora per un pastore. Un valore inestimabile!

Aveva il cuore buono Erpinio. Si racconta che quando, da veterinario, andava a fare un intervento delicato a qualche capo e malauguratamente non riusciva a salvarlo, a volte passando tutta la notte a lottare per strapparlo alla morte, tornava a casa distrutto. Erano più le volte che non si faceva pagare, sopratutto in questi casi, perché gli sembrava ingiusto aggiungere il peso del suo onorario alla perdita economica che aveva subito il contadino, per il quale, ancora a quei tempi, la morte di un animale equivaleva quasi ad un lutto in famiglia.

Aveva il cuore buono Erpinio, ed un pezzo del suo cuore, anzi tutto, era rimasto quì, nella sua San Salvo.

San Salvo nel frattempo era cresciuta. Era arrivata la SIV (anni '60) ed era in arrivo la Magneti Marelli (anni '70), e per la prima volta nella storia della nostra cittadina, iniziava a muoversi qualcosina anche alla marina, in Contrada Marinelle (così si chiamava ancora all'epoca l'intera area costiera), che era considerata ancora zona di campagna.

La nostalgia era tanta ed insieme alla sua Iole, decisero entrambi di rischiare.

Acquistarono un terreno e vi realizzarono una farmacia rurale a due passi dal mare, in Via Arenile (così si chiamava all'epoca Via A. Doria), entrando di diritto a far parte della storia dei primi pionieri della neonata San Salvo Marina, che a quei tempi contava ancora quattro case e quattro gatti.

Erano felici in quella casa in riva al mare, in cui qualche tempo dopo andarono anche ad abitare (1974) , ma vi era un'antica promessa a cui tener fede: tornare un giorno nella loro antica residenza in Corso Garibaldi, dal cui portone ogni sera usciva e partiva con il piede giusto un giovane timido principe con l'impermeabile beige, per recarsi dalla sua principessa in camice bianco, per poi perdersi inevitabilmente per strada.

Era l'ultimo atto che mancava al loro romanzo d'amore, tornare in quella casa che era stata il loro primo nido, che per loro era più bella ed imponente di una reggia.

Correva l'anno 1978 quando Erpinio iniziò a ristrutturarla.

Ma ecco che il destino, lo stesso che venticinque anni prima li aveva resi interpreti di una delle più belle favole d'amore che la nostra cittadina ricordi, stava per interrompere all'improvviso il loro solidale e felice cammino, scrivendo la pagina più amara.

Fu come un fulmine a ciel sereno.

Era il 1 maggio 1981. La ferale notizia si sparse in un baleno: il dottor Erpinio Labrozzi, che per la cronaca rivestiva da qualche anno la carica di vice Sindaco del Comune di San Salvo, tra lo sgomento dei suoi familiari, dei suoi amici e di quanti lo conobbero e gli vollero bene, si era spento a Chieti, dopo brevissima ed improvvisa malattia.

Questa volta, purtroppo, Erpinio se n'era andato per sempre. Non sarebbe più tornato, né da Chieti, in cui da ragazzino aveva studiato, né da quella prigione in Albania in cui durante la campagna di guerra in Grecia era stato, né da Bologna e Perugia, città in cui aveva studiato e si era laureato, e né dai paesi dell'interno in cui come veterinario e professore aveva tanto lavorato.

Quanto tempo era stato fuori Erpinio! Una vita! E ora che l'antico sogno era ad un passo!

Fu un colpo durissimo. Toccò alla sua Ioletta trovare la forza di tener fede a quell'antica promessa.

Cinque mesi dopo, con la morte nel cuore, ma con la forza d'animo che da sempre l'aveva contraddistinta, la signora Maria Adda Iole Di Nardo, varcò mestamente il portone di quella casa, insieme ai suoi tre figli, così come aveva tanto desiderato il suo Erpinio, di cui ne stava onorando la volontà e la memoria.

Erpinio purtroppo non c'era, ma c'era. Era lì, ad un soffio, inarrivabile, ma c'era.

Tutto parlava e continuava a raccontare di Lui.

Tutt'oggi, passando di lì, mi sembra di vederlo ancora, sorridente, salutarmi con il suo inconfondibile e nuovo impermeabile beige, mentre è intento a argiusté la case (ristrutturare la sua vecchia casa), ereditata dal suo papà, che si chiamava Angelo, così come il loro primogenito, il dott. Angelo Labrozzi, che sulle orme materne è oggi titolare, in quella casa, della moderna farmacia che fu di sua madre e di cui egli ne conserva orgogliosamente il nome e la memoria: Farmacia Di Nardo.

Per chi li ha conosciuti, ora che entrambi non ci sono più, Erpinio e Iole, nonostante il tempo trascorso, non sono mai andati via: vivono ancora lì, insieme, in quella casa, dove tutto continua a parlare dei loro sogni, del loro lavoro e del loro amore.

Io, però, non so perché, li rivedo insieme, sorridenti, a due passi dal mare.

Un motivo ci sarà.

Sarà che il mare è grande: grande ed immenso come fu il loro amore.


Al mare. Erpinio Labrozzi in primo piano a destra, insieme alla signora Iole,alla sua sinistra.A sinistra, sullo sgabellino, Do' Rolando (la poste) Cirese, cognato di Erpinio e dinanzi a lui il maestro elementare Enrico Maiarota, a sua volta cognato di Rolando.




pag.14

dietro/avanti


Un libro sul web

MA CHI SAREBBERO

LI SALVANESE

I forestieri a San Salvo

INDICE


Capitolo I
Introduzione
I maestri di scuola



Capitolo II
I carabinieri
e Nonsaccie




Capitolo III
da Gerardo D'Aloisio
a Luegge Capaùne




Capitolo IV
Lu camie de Masciulle
(Il camion di Masciulli)




Capitolo V
Giovanni Bassi
e Valentini Bassi Venturini




Capitolo VI
Vincenzo Larcinese




Capitolo VII
Ninuccie
lu panattire




Capitolo VIII
Lu macillare
de Lentelle




Capitolo IX
Nine
lu napuletane




Capitolo X
Franche lu 'nfurmire




Capitolo XI
Quei matrimoni d'altri tempi -
La bella farmacista ed Erpinio Labrozzi




Capitolo XII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIV
Erpinio Labrozzi e Maria Iole Di Nardo




Capitolo XV
(Fine prima Parte)


Capitolo XVI
Lu 'ngiugnìre
Tommaso Papi



Capitolo XVII
La famiglia Ricca




Capitolo XVIII
la crisi degli artigiani




Capitolo XIX
Lu motore
de le casuléne




Capitolo XX
Di Virgilio Nicola
la léma sàrde




Capitolo XXI
Lu camie
de Tinarìlle




Capitolo XXII
Angelo Di Biase
(Biascille)


Capitolo XXIII
Li carrettire
diventano camionis




Capitolo XXIV
Lu Jumme
ed il pastificio de mastre Camélle e Marchàtte




Capitolo XXV
Adelme, Gelarde e Micchéle Cillène




Capitolo XXVI
Li trajene
e la nazionale





Capitolo XXVII
La nazionale
ed il dialetto




Capitolo XXVIII
Li frastire
ed i venditori ambulanti




Capitolo XXIX
Quando la gente
parlava con gli animali




Capitolo XXX
Lu sciopere
de lu bosche
e le cantine sociali




Capitolo XXXI
La scoperta
del metano




Capitolo XXXII
La Brede (la SIV)





Capitolo XXXIII
La nascita
della Villa Comunale




Capitolo XXXIV
LA SIV
L'accensione
del 1° forno




Capitolo XXXV
Giorgio la Rocca
(lu rumuane)




Capitolo XXXVI
L'on. Aldo Moro
a San Salvo




Capitolo XXXVII
La fabbreche de le tavelàlle




Capitolo XXXVIII
Il profumo
del progresso




Capitolo XXXIX
La sirena
e le frasterézze




Capitolo XL
Il trofeo
San Rocco




Capitolo XLI
Pasquale Spinelli



Capitolo XLII
Umberto Agnelli
a SanSalvo




Capitolo XLIII
Scandalo al sole




Capitolo XLIV
Ma chi sarebbero
li salvanése