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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I forestieri a San Salvo

di Fernando Sparvieri

Un po' di storia locale raccontando personaggi







Capitolo XXV


Adelme, Gerarde e Micchele Celléne
(Adelmo D'Alò, Gerardo Longhi e Michele Della Valle)
e li caterpille a lu bosche.



E per concludere con i calzolai, un altro che cambiò mestiere fu Adelmo D’Alo', palmolese.

Adelmo, che si era trasferito a San Salvo nei primi anni '50, avendo sposato Amorina Longhi, primogenita di Vincenzo, era calzolaio molto raffinato. Puntava sulla qualità. Le sue scarpe erano veri capolavori, realizzate in gran parte in pelle di capretto, che quando pioveva non facevano cic e ciac e che pochi potevano permettersi.

Essendo di Palmoli, fece 'na penzate (ebbe un'idea geniale): comprare un trattore per lavorare nel palmolese.

Ne parlò con suo cognato Gelarde (Gerardo Longhi), fratellastro di sua moglie, che aveva già lavorato nghe lu motore de Biascille, il quale a sua volta ne parlò con Micchele Celléne (Michele Della Valle), nativo di Montenero di Bisaccia, che saltuariamente aveva collaborato con i casolani, comprarorono nu motore un FIAT 25 e partirono.

Partirono! Ma con che cosa?

Arrivare a Palmoli a quei tempi con un trattore non era cosa di poco conto. Era troppo lontano e non c'era ancora la nuova S.S. Trignina. L'unica strada esistente era la vecchia Trignina, attuale SP 185, ed erano esattamente 25 Km di curve, passando per Montalfano, il ponte della Treste, la Uardiole (la Guardiola), il bivio di Lentella, di Fresagrandinaria, il bosco di Palmoli e Fonte la Casa.

Acquistarono anch'essi nu 22 (un camion FIAT 622), come quello di Luéggie Tinarìlle, lo caricarono di sogni e di speranze, oltre al loro trattore ed una ISO Moto, come quella di Biascille, con la quale poi sarebbero tornati a turno a casa e partirono alla volta di Palmoli. E siccome qualcuno doveva pur rimanerci per lavorare, agganciarono dietro al camion anche un carrettone, coperto da 'na 'ncerate (una tela cerata), da adoperare come una specie di roulotte, durante le pause di lavoro.

Il viaggio si rivelò proficuo. Il lavoro non mancava. La loro attività si svolse, come nelle previsioni, quasi del tutto nel palmolese

I tre soci avevano dei ruoli ben precisi: Adelmo, essendo natio del luogo, cercava i clienti, mentre Gerardo e Michele, si alternavano alla guida del trattore. A dare loro una mano, c'era Tonine, (Tonino) Longhi, fratello minore di Gerardo, che in quegli anni era un ragazzino a cui avevano insegnato a purtà lu motore (a guidare un trattore) e le purtave bóne (lo guidava bene).

Aravano principalmente le terre de lu cavalire (del cav. Don Nicola Preta), napoletano trapiantato a Palmoli , che era un ricco imprenditore e possidente terriero, famoso anche a San Salvo per aver costruito nel '33 il palazzo scolastico a fianco alla Chiesa e la caserma dei caribanieri in C.so Garibaldi. Lu cavalire era proprietario a la Dimmérze e a la Mónnele, in agro di Palmoli, di 900 tìmmule de terre (tomoli di terreno), che in provincia di Chieti equivale a 3.243 metri quadri cadauno.

Fiaciateve vi li chinte! (Fatevi voi il conto di quanti ettari di terreno fossero!).

Nonostante gli affari procedessero discretamente bene, complice il fenomeno dell'emigrazione di massa, che negli anni '50 vide molti giovani tentare la fortuna all'estero e nel nord Italia, anche questa società si sciolse.

Lu motore venne rilevato solo da Michele Celléne, che nei successivi anni ‘60 sarà il primo ad aprire un autofficina specializzata nella riparazione di camion, autovetture e naturalmente trattori in Via Roma. Gerardo se ne andò a Milano, dove, dopo un periodo in cui si mise a fare il fabbro, suo vero mestiere, aprì insieme ai cognati un' industria di ascensori e montacarichi, che nel periodo del suo massimo fulgore, contò circa 300 dipendenti. Adelmo invece si comprò un camioncino della OM, con il quale si mise a trasportare materiali edilizi e merci per conto terzi.

Si racconta che Adelmo, memore dell'esperienza diretta avuta con i contadini, un anno seminò due ettari di terreno a meloni. Quando alla fine del raccolto tirò le somme, disse in dialetto palmolese: "Se la terre ere bbone, n'attuccuáve a lu cafóne!" (se lavorare il terreno fosse stato un ottimo affare, non sarebbe toccato ai contadini).

Si rifece negli anni '70, quando diede vita, insieme a Guido Bontempo, fratello del dott. Federico, originario di Torrebruna, ad un'impresa di costruzione. Insieme realizzarono vari edifici, tra i quali, il palazzo in Piazza Papa Giovanni XXIII, dove vi è anche la farmacia Di Croce, e lu palazze della A & O, in Via Trignina, così chiamato e rimasto nella memoria collettiva perchè vi misero il primo supermercato in assoluto sansalvese, dell'omonima catena alimentare nazionale.

Ed a proposito del palazzo della A & O, un giorno mi capitò di chiedere ad un'anziana donna sansalvese, dove avesse acquistato un appartamento suo figlio che risiedeva in Francia. "A lu palazze de la I & O", mi rispose. Erano gli ultimi retaggi di una società analfabeta, all'epoca ancora generalizzata tra le persone di una certa età.

E rifacendo un tuffo nel passato e per concludere con i trattori, sia lu motore di Mecchele Celléne, che quelli di Di Biase e dei casolani, vennero impiegati nel '56' per bonificare il sottobosco dell'ex bosco Motticce. Nel '50, infatti, vi era stato lu sciopere de lu bosche (moti popolari) affinché quei terreni, di circa 180 Ha, rimasti incolti dopo che un Battaglione di Fanteria, nel periodo bellico, aveva reciso le quercie per farvi traverse per i binari ferroviari, venissero assegnati a persone meno abbienti del paese, per migliorarne la condizione economica.

L'incarico all'origine, venne dato ai nostri tre trattoristi, che dovevano fa' lu scassate (arare il terreno in profondità).

Si divisero il lavoro in tre lotti, ma haimé...

Il sottobosco era disseminato de pedèle (pedali dei tronchi tagliati) che emergevano di circa 10 cm dal suolo, e lu motóre 'ntuppuave (l'aratro intoppava), non riuscendo ad estirpare le radichìune (grandi radici) disseminate nel terreno. Provarono in mille modi. C'era chi pejéve la spànde (prendeva la rincorsa), sperando che con la velocità il trattore acquisisse più forza e chi invece pensò di far realizzare nu purtecaràune (un grande aratro) da far tirare contemporaneamente ai tre trattori.

Ogni penzate (idea) risultò vana ed alla fine dovettero rinunciare.

Furono alla fine gli scavatori ed i caterpillar delle ditte Berardocco, di Ripa Teatina, e Belli, di Brecciarola, ad estirpare quelle grosse radici ed a dare una prima spianata al terreno. Lavoravano come dipendenti, alla guida di due caterpillar, anche due sansalvesi: Giulio Fornaro e Giuseppe Gallina.

Durante i lavori di disboscamento, successe anche una disgrazia.

La fame era nera.

Quelle radici facevano gola a molte famiglie locali e furono in tanti coloro che pensarono di andare a prendere le tàcchie, spezzoni di radici, prima estratte dagli scavatori e poi ulteriormente tritate dai caterpillar nella fase di livellamento, per farne provvista per il fuoco. Le norme di sicurezza all'epoca erano pressochè inesistenti e quindi tutti potevano circolare liberamente nell'ex bosco, incuranti del pericolo, mentre i pesanti mezzi erano al lavoro. Nessuno diceva loro niente.

Alcuni giovani erano talmente audaci che afferravano le radici al volo, appena affioravano in superficie.

E successe l'incidente. Ne rimase vittima Antonio Bracciale, figlio di Giacinto, un ragazzo poco più che adolescente. La dinamica, almeno da quel che si dice, fu la seguente. I conducenti dei caterpillar, per livellare il terreno, ripassavano avanti ed indietro nello stesso posto più volte, abbassando ogni volta maggiormente la pala meccanica, per andare più in profondità. In una di queste manovre, mentre un caterpillar era in retromarcia, il ragazzo gli si catapultò davanti per afferrare un pezzo di radice che era affiorato, e forse, o perchè inciampò o perchè non fece in tempo a fuggire, venne travolto dal ritorno del pesante mezzo, che lo sotterrò. Il conducente alla guida era Giuseppe Gallina, che non si accorse di nulla. Vani furono i soccorsi per salvarlo.

La disgrazia sconvolse profondamente il paese.

Tutto l'ex bosco Motticce, in seguito, venne bonificato dal Consorzio di Bonifica, che dopo aver dato incarico alla ditta Postacchini, forse marchigiana, di arare e livellare meglio il terreno (lavoro eseguito con una ruspa e due grandi trattori), instituì in loco nu cantire scole (un cantiere scuola), in cui andarono a lavorare molti ragazzi locali che appresero nuove tecniche di piantagioni e nozioni di agraria, materia insegnata dal geom. sansalvese Corinto Artese.

Dopo la bonifica e con le coltivazioni già avviate dall'ente di bonifica, il terreno venne diviso in lotti ed assegnato alle famiglie meno abbienti del paese.

A tal proposito si racconta che l'assegnazione avvenne subito dopo che la prima amministrazione demoscristiana si insediò al Comune nel '56. Nonostante fossero stati per lo più i compagni comunisti,  a fomentare la popolazione ai tempi dello sciopero, l'assegnazione dei lotti fu di competenza esclusiva degli amici democristiani, i quali, com'era prevedibile, ci fecero un po' di clientelismo.

Si racconta che do' Ustave Cirese, medico e leader locale democristiano, chiamò Domenico Apezzato (Pezzatille), comunista, che poverino non aveva terre e jave' a zappa' a jurnate, e gli disse:

"Ue' Dumue'! Je' la terre de lu bosche mo' te le dinghe, però ti a da' vutà a la Dumucrazzéja Cristjane" (Io adesso la terra del bosco te la do', però tu dovrai votare alla Democrazia Cristiana).

E Pizzatille zette (restò in silenzio).

"Ue' Dumue'! ", gli disse nuovamente Don Gustavo, "Me sti ccape'?" (Mi stai a capire?). "Je' la terre de lu bosche mo' te le dinghe, però ti a da' vuta' a la Dumucrazze' ".

E Pizzatille zette.

"Dumue'! N'arspìnne?", (Domenico, ma non rispondi?), gli chiese a questo punto Don Gustavo.

"Do' Usta'!", gli rispose finalmente Pizzatille: "Npuzze parla'! Ma mo scoppe!" (non posso parlare, ma sto scoppiando).

Alla fine un pezzo di terra fu suo.


NOTE:

  • Nel periodo in cui Adelmo D'Alò, Gerardo Longhi e Michele Della Valle costituirono la società con il trattore, successe anche un incidente con la loro ISO moto. Gerardo e Michele, che stavano andando al lavoro, seppero che alla stazione ferroviaria di San Salvo, stava ripartendo con il treno una loro conoscente. Decisero di andare a salutarla, ma al ritorno caddero. Gerardo si ruppe una gamba e nonostante sua madre Za' Mariàtte Petrucci, lo portò ad operare al Rizzoli di Bologna, cosa per quei tempi costosissima (ci vollero 50.000 solo a Urine Jnnarille, Guerino Cilli, che li portò in l'auto), Gerardo rimase per sempre claudicante.
  • I caterpillar che eseguirono i lavori al Bosco Motticce, nei primi anni '50, furono impiegati per eseguire lavori di livellamento dell'arenile, che a seguito di forti mareggiate, che interessavano sopratutto il lato nord, arrivavano sino all'attuale S.da Statale 16, all'epoca viottolo tratturale. Con il tempo si erano determinati dune ed avvallamenti di sabbia, ricolmi di canne e vegetazioni, che dopo le mareggiate, formavano acquitrini, infestati da zanzare. Gli stessi mezzi vennero anche impiegati per realizzare gli argini al fiume Trigno, fino alla confluenza con il Treste. Ad eseguire i lavori edilizi, fu invece l'impresa Verre di Vasto, che nei primi anni '60, eseguì i lavori di demolizione della vecchia torre campanaria della chiesa di San Giuseppe, con successivo ampliamento della navata anteriore e della nuova torre.

Pag.25

dietro/avanti


Un libro sul web

MA CHI SAREBBERO

LI SALVANESE

I forestieri a San Salvo

INDICE


Capitolo I
Introduzione
I maestri di scuola



Capitolo II
I carabinieri
e Nonsaccie




Capitolo III
da Gerardo D'Aloisio
a Luegge Capaùne




Capitolo IV
Lu camie de Masciulle
(Il camion di Masciulli)




Capitolo V
Giovanni Bassi
e Valentini Bassi Venturini




Capitolo VI
Vincenzo Larcinese




Capitolo VII
Ninuccie
lu panattire




Capitolo VIII
Lu macillare
de Lentelle




Capitolo IX
Nine
lu napuletane




Capitolo X
Franche lu 'nfurmire




Capitolo XI
Quei matrimoni d'altri tempi -
La bella farmacista ed Erpinio Labrozzi




Capitolo XII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIV
Erpinio Labrozzi e Maria Iole Di Nardo




Capitolo XV
(Fine prima Parte)


Capitolo XVI
Lu 'ngiugnìre
Tommaso Papi



Capitolo XVII
La famiglia Ricca




Capitolo XVIII
la crisi degli artigiani




Capitolo XIX
Lu motore
de le casuléne




Capitolo XX
Di Virgilio Nicola
la léma sàrde




Capitolo XXI
Lu camie
de Tinarìlle




Capitolo XXII
Angelo Di Biase
(Biascille)


Capitolo XXIII
Li carrettire
diventano camionis




Capitolo XXIV
Lu Jumme
ed il pastificio de mastre Camélle e Marchàtte




Capitolo XXV
Adelme, Gelarde e Micchéle Cillène




Capitolo XXVI
Li trajene
e la nazionale





Capitolo XXVII
La nazionale
ed il dialetto




Capitolo XXVIII
Li frastire
ed i venditori ambulanti




Capitolo XXIX
Quando la gente
parlava con gli animali




Capitolo XXX
Lu sciopere
de lu bosche
e le cantine sociali




Capitolo XXXI
La scoperta
del metano




Capitolo XXXII
La Brede (la SIV)





Capitolo XXXIII
La nascita
della Villa Comunale




Capitolo XXXIV
LA SIV
L'accensione
del 1° forno




Capitolo XXXV
Giorgio la Rocca
(lu rumuane)




Capitolo XXXVI
L'on. Aldo Moro
a San Salvo




Capitolo XXXVII
La fabbreche de le tavelàlle




Capitolo XXXVIII
Il profumo
del progresso




Capitolo XXXIX
La sirena
e le frasterézze




Capitolo XL
Il trofeo
San Rocco




Capitolo XLI
Pasquale Spinelli



Capitolo XLII
Umberto Agnelli
a SanSalvo




Capitolo XLIII
Scandalo al sole




Capitolo XLIV
Ma chi sarebbero
li salvanése