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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I forestieri a San Salvo

di Fernando Sparvieri


Un po' di storia locale raccontando personaggi












Capitolo V

Giovanni Bassi
(Mugnaio)

Ma non furono solo Nonsaccie, Gerardo e Michele Masciulli che strada facendo scrissero piccole grandi pagine di storia del nostro paese. Altri forestieri, percorrendo strade diverse, così come è diversa ogni storia da un 'altra, giunsero alla terra loro promessa, alla nostra San Salvo.

Uno di questi fu certamente Giovanni Bassi (1887 -1971), da Perano, chiamato affettuosamente dai sansalvesi Zi' Giuvuanne, che agli inizi del secolo scorso era il mugnaio (lu mulinare) del mulino Pantanella.

Giovanni Bassi e sua moglie Annina Passalacqua.


Il suo arrivo a San Salvo avvenne per caso nel 1910.

Appartenente ad una famiglia di mugnai lancianesi, originaria di Sant'Onofrio di Lanciano, che annoverava tra le sue proprietà un mulino ed un pastificio a Perano, un altro mulino a vapore a Crecchio ed una centrale della corrente elettrica sul fiume Sangro, che illuminava i Comuni di Archi, Perano e Bomba, venne a San Salvo per sostituire all'ultimo momento suo fratello Angelo, che era il designato.

Era stato infatti, Angelo, il primogenito, nell'ambito di una politica di sviluppo aziendale, a chiedere in concessione il mulino Pantanella al Comune di San Salvo, che ne era il proprietario, ma quando ormai era cosa fatta, trovò inaspettatamente l'opposizione della moglie, Concetta D'Addario, che non ne volle sapere di muoversi da Perano. In altri termini, detto a la salvànàse (in sansalvese), la moglie ave' 'ncucciate (si era intestardita) e méscie méscie (piano piano), come si diceva un tempo, riuscì a calareje la vrache (riuscì a spuntarla).

Toccò quindi a Giovanni, l'ultimogenito, amante di feste e del bel canto, che sino ad allora aveva pensato più alla bella vita che all'attività di famiglia, tamponare la falla (trattandosi allegoricamente di un mulino ad acqua) e dimostrare di essere cresciuto. Fresco sposo con Annina Passalacqua (1890 - 1974) da Cepagatti, fece le valige e si trasferì insieme a lei al Mulino Pantanella.

Ma cos'era questo benedetto mulino Pantanella?

Era l'unico mulino di San Salvo.

Distante circa 5 chilometri dal paese, era ubicato alla staziàune (in contrada Stazione), subito dopo la ferrovia, ad un passo dal passaggio a livello. Per arrivarvi bisognava imboccare una stradina in terra battuta, fangosa e tortuosa, chiamata per l'appunto Via Vecchia del Mulino, che iniziava all'incirca dalla chiesetta di San Rocco e terminava proprio al mulino. Le sue pale erano alimentate da la fàrmue (dal formale), un canale d'acqua artificiale, ad uso agricolo, deviato dal fiume Trigno, che aveva la 'ncippatàure (una deviazione con le pietre dello stesso fiume), con imbocco a la Repe de Regginálde, all'incirca nella zona de la Cucciàtte de Lentelle, ove confluisce nel Trigno il fiume Treste, per finire la sua corsa al mare.

Era lì che i nostri padri, il giorno delle some di San Vitale, con i cavalli adornati a festa e con le some in groppa, dopo aver ricevuto la benedizione del prete dinanzi alla Chiesa di San Giuseppe, si recavano di buonora a macinare il grano per fare li pircilléte (i taralli di San Vitale) e fu proprio lì, in quel mulino, che nacque la tradizione del pranzo delle "Sagne", un tempo denominata per l'appunto "Sagne al mulino", per via del fatto che si mangiavano in loco, giù a Pantanella. Vi è da sottolineare che all'origine il pasto era riservato solo a li debbutéte (ai deputati della festa) ed ai padroni dei cavalli, i quali, impossibilitati a tornare a mangiare a mezzogiorno a casa, data la distanza dal paese, erano ospiti del mugnaio.

Di ciò ne fa menzione anche mio padre, il maestro elementare Evaristo Sparvieri (1921-2010), che in uno dei suoi brevi e rari articoli, scritti per un giornalino locale, così afferma:

"Lo sapevi perché a San Salvo si usa ogni anno, durante il mese di aprile, andare a mangiare le “Sagne” al mulino nel giorno in cui si porta a macinare il “grano” destinato alla produzione dei cosiddetti ”Porcellati” per la festa di San Vitale Martire?

L’origine della tradizione, ormai, si perde nel tempo, ma è certo che, allorchè i nostri Antenati iniziarono l'usanza, non vi era in essa, nulla di significativo, o nulla che potesse avere una particolare importanza.

E’ da sottolineare che il “grano” veniva condotto, per la molitura, per mezzo di cavalli, al “Mulino Pantanella” ubicato nei pressi della Stazione Ferroviaria, ad una distanza di circa cinque chilometri dal centro abitato di San Salvo.

Tale distanza, per quei tempi, in cui non vi erano mezzi celeri di locomozione, era considerata notevole e, pertanto, si rendeva difficile, se non addirittura impossibile, per gli addetti ai lavori, raggiungere le loro case, in tempo utile, per la consumazione del pasto di mezzogiorno.

Era giocoforza, quindi, provvedere “in loco” a ciò che doveva servire per il sostentamento nell’intera giornata. Così nacque l’ormai consuetudine delle “Sagne”, che, in seguito, portò alla estensione del “piatto di minestra” anche a chi, per motivi di vario genere, si trovava presente nel posto, o vi si era recato per assistere alla popolare manifestazione, col fine di trascorrere una giornata in festosa e lieta compagnia.

E’ da escludere, pertanto, nel modo più categorico, la falsa credenza che vuole che l’usanza sia scaturita da motivi di carattere assistenziale in favore della gente povera o comunque bisognosa"
.

Questa tesi viene confermata anche da una testimonianza di Valentini Bassi Venturino, erede di Giovanni Bassi, il quale, in un video-intervista aggiunge che fu proprio Za’ Annine, moglie di Zi' Giuvuanne, che ebbe l'idea di cucinare per la prima volta le sagne, allorquando, resasi conto che si era fatto mezzogiorno e che la molitura del grano era ancora in alto mare, per carenza d'acqua al mulino, pensò d’ammassà du' sagne (di impastare un po’ di farina per farne delle sagne), da far mangiare a quelle poche persone, che si erano recate al mulino per la macinatura del grano, per farne i taralli di San Vitale. 

Da ciò si deduce che l'antica usanza, stando a queste testimonianze, ebbe origini ben diverse da quando asserito da eminenti storici locali, che ne fanno risalire l'origine ad un pranzo offerto ai poveri dal Cardinale Pier Luigi Carafa, abate commendatario di San Salvo, in occasione della traslazione dell'urna contenente le sacre spoglie di San Vitale Martire da Roma a San Salvo (1745), ricordata ogni anno con il tradizionale fuoco di San Tommaso la notte del 21 Dicembre.

A mio avviso le due tradizioni, quella delle "Sagne" e della distribuzione al popolo dei taralli (li pircilléte), hanno un unico comune denominatore e sono complementari, nel senso che sono conseguenza una dell'altra: i taralli di San Vitale rappresentano il simbolo dell'antico pranzo offerto ai poveri dal Cardinale Carafa, in occasione della traslazione della sacra urna di San Vitale, mentre l'usanza delle sagne nacque per l'esigenza di dover provvedere al sostentamento di chi si era recato al mulino Pantanella, distante 5 Km dal paese, per macinare il grano necessario per fare i taralli.

A rafforzare tale tesi, sempre secondo quanto raccontatomi da mio padre, quand'egli era giovane, erano poche le persone che si recavano al mulino Pantanella il giorno della macinatura del grano di San Vitale.

Il popolo al mattino, secondo il suo racconto, si radunava in piazza e dopo la benedizione del grano davanti alla Chiesa di San Giuseppe, salutava festosamente il corteo dei cavalli che partiva per il mulino. Subito dopo la gente se ne tornava alle proprie attività, aspettando la sera, quando i cavalli sarebbero tornati in paese, con i sacchi di farina in groppa, per tributare un doveroso omaggio a chi in quella giornata si era prodigato per questo importante preparativo della festa di San Vitale.

A seguire il corteo sino al mulino erano per lo più frotte di ragazzi e noti ’mbriachìune (beoni) del paese, i quali, con la fame che c’era in giro, z'affelévene (si mettevano in fila) dietro ai cavalli, sperando di mangiare anch'essi a mezzogiorno un piatto di sagne.

Stando sempre ai racconti di mio padre, in quel periodo, era addirittura segno di malacrijánze (cattiva educazione) recarsi giù a Pantanella senza essere invitati, in quanto considerati ‘mbracase, cioè gente intrusa, che si mischiava ai deputati ed ai padroni dei cavalli, che  erano coloro a cui era destinato il pranzo, con il solo scopo di je' scruccua’ (di andare a magiare a sbafo). In virtù di questa diffusa mentalità, egli stesso (ad eccezione di quand’era Sindaco negli anni '70) e molti suoi coetanei (es. Tonino Artese, il padre del prof. Giovanni), non andarono mai a mangiare le sagne giù al mulino Pantanella, neppure dopo, quando nel dopoguerra l'usanza si trasferì definitivamente nei due mulini del capoluogo, assumendo per la prima volta vero carattere di manifestazione popolare.

E restando in tema di festività in onore del Santo Patrono e di usanze ad essa connesse, è probabile che fu sempre Za’ Annine, donna zelante e perspicace, da molti considerata la vera mulenáre (mugnaia), a realizzare in quegli anni anche la prima pipézzere.

Cos'era questa "benedetta" pepézzere?

Per meglio far comprendere cosa fosse, riporto integralmente una prefazione scritta sempre da mio padre ad una sua antica poesia dal titolo: "La pipizzera".

"Era usanza che il mugnaio dell’antico mulino ad acqua denominato “Pantanella” sito in San Salvo Marina, dopo aver macinato il grano destinato alla produzione dei cosìddetti “Porcellati” per la festa di la festa di San Vitale Martire (Protettore di San Salvo), donasse al Santo la “Pipizzera”.

Era costituita da pagnottelle di pane azzimo di varie forme attaccate ad un’asta e abbellita con nastri e carta colorata.

La “Pipizzera” veniva portata in giro per il paese per far sì che le famiglie dessero le loro offerte, onde partecipare all’estrazione di essa il giorno dell’ ”ottava“ di San Vitale e precisamente il cinque maggio, (prima festa di San Michele a Vasto).

Il giorno in cui avveniva l’estrazione della Pipizzera il paese era in festa e la famiglia, a cui essa andava, veniva considerata fortunata perché la scelta era avvenuta per volere di San Vitale".

Un'antica pipézzere, portata in corteo l'ottava della festa di San Vitale.


Orbene, anche se è difficile oggi, date le scarse notizie sulle sue vere origini, accertare se Za' Annine ne fu veramente l' ideatrice, qualche indizio ci riconduce a lei.

Infatti, mostrando la vecchia foto de la pipézzere all'Avv. Giovanni Cuniberti, nipote lancianese di Angelo Bassi, fratello maggiore Zi' Giuvuanne, mi fece subito notare come i taralli che la ornavano fossero simili a quelli appesi a la Campane di Cepagatti, paese d'origine di Za' Annina, dove il 15 agosto, in occasione della festa di San Rocco e Santa Lucia, viene portata in giro per le vie del paese, una struttura ricolma di dolci avente per l'appunto la forma di una campana.

La campana con i taralli usata a Cepagatti in occasione dei festeggiamenti in onore di San Rocco e Santa Lucia del 15 Agosto.


Altro indizio che riconduce a Za' Annine, è la chenacchie , una evoluzione della struttura originaria de la pipézzere , in voga negli anni '60, che era una specie di piccola botte in legno, molto simile a quella raffigurata piena di spighe nello stemma del Comune di San Salvo, ornata sulle doghe da biscotti secchi di vario genere, che ricorda nel concetto una similitudine con la campana di Cepagatti. (1)

Giovanni Bassi a destra. A sin. sua moglie Annina Passalacqua insieme ad una nipote. Al centro campeggia la pipézzere.


Una pipizzera la cui struttura era 'na chenacchie, trasportata nel cassone de la laparélle de Coline (Ape Piaggio di Nicolino Altieri)


Che sia nata o meno da un'idea di Za' Annina l'usanza di andare a mangiare le sagne al mulino o che sia stata davvero lei la vera ideatrice de la pepezzere, forse resterà per sempre un mistero.

Una cosa, tuttavia, è certa e credo si possa affermare senza ombra di dubbio: sia Zi' Giuvuanne che Za' Annine, ce la misero davvero tutta per farsi benvolere dai sansalvesi, dando anima e corpo per gestire il mulino comunale Pantanella, che nel corso degli anni, era diventata la loro casa, la loro vita.

Ma come spesso accade quando un bel sogno viene bruscamente interrotto al risveglio, ecco arrivare la guerra. Fu un duro colpo per tutti. Il mulino venne distrutto.

Zi' Giovanni e Za' Annine, con il mulino bombardato, si ritirarono a Lentella dove già gestivano, a censo perpetuo, sul greto del fiume Treste, un altro mulinetto, anch'esso di proprietà comunale (prezzo del censo £. 1.000 annuali).

In questo mulinetto dava loro una mano un ragazzino, poco più che tredicenne, figlio di un prolifico lentellese che aveva 7 figli da sfamare. Il suo nome era Valentini Venturino. Lo avevano mandato lì, in quel mulino, affinché desse una mano alla famiglia ed imparasse un mestiere. Venturino pareva esserci nato dentro a quel piccolo mulino: era sempre lì, da mattina a sera, imbiancato di farina, e si faceva voler bene da Zi' Giuvuanne e Za' Annine, come un figlio.

Per fortuna la guerra passò ed il sole tornò a splendere.

Ma Zi' Giuvanne, era triste. Nonostante i sansalvesi andassero spesso a trovarlo, tant'è che le sagne di San Vitale si svolsero nell'immediato dopoguerra proprio in quel mulinetto, un chiodo fisso assillava i suoi pensieri: tornare a San Salvo, in quel mulino, a Pantanella, dove aveva trascorso gli anni più belli della sua vita e della gioventù.

Tentò in tutti i modi di riavere quel mulino, ma il suo desiderio fu vano. Il Comune di San Salvo, che ne era proprietario, aveva in mente di ricostruire al suo posto uno stabile più grande, da destinare ad altro uso, e per di più, nel caso lo avessero nuovamente adibito a mulino, chiedeva un prezzo troppo esoso per le sue tasche.

Vi rinunciò.

Il suo desiderio, però, di tornare a respirare aria sansalvese, era troppo grande e divenne la sua unica ragione di vita.

Finalmente il suo sogno si avverò nel ‘46, quando acquistò un terreno in Via della Mirandola e vi realizzò un mulino elettrico.

Un tarlo però ancora assillava la sua mente. Il destino non gli aveva dato figli. A chi avrebbe lasciato il suo mulino?

Si ricordò allora di quel ragazzino lentellese, di nome Venturino, che nel frattempo era divenuto grande ed era partito per il militare.

Al suo ritorno lo chiamò.

A Venturino, che era cresciuto a grano e farina sul greto del fiume Treste, non parve vero quando Giovanni Bassi gli annunciò di aver riposto in lui tutte le speranze future per il suo mulino.

Accettò.

Per riconoscenza, Venturino, volle aggiungere al suo cognome anche quello di Bassi, chiamandosi così Valentini Bassi Venturino.

La storia di Giovanni Bassi, da Perano, e di sua moglie Anna Passalacqua, da Cepagatti, mugnai del mulino Pantanella, termina qui, ma ha resistito all'oblio del tempo.

Sarà pur vero che acqua passata non macina mulino.

Ma chi ben semina, ben raccoglie.


La via vecchia del mulino era l'unica strada, tortuosa e fangosa, che anticamente conduceva al Mulino Pantanella, alla stazione ed al mare. Ne esiste ancora qualche tratto visibile quando si va a fare metano dai F.lli Loreta in C.da Piane Sant'Angelo. Nella foto aerea è visibile anche il lungo rettilineo dell'altra strada, realizzata successivamente, che oggi passa dinanzi alla SIV, prima che venisse interrotta dall'autostrada negli anni 70, all'altezza della Rivoira. Negli anni '80 verrà invece realizzata l'attuale strada, in parte sopraelevata quasi sino alla rotonda della SIV.


Sulla sin. il nuovo stabile ricostruito dove insisteva il Mulino Pantanella, distrutto durante il secondo conflitto mondiale, mai più riadibito a mulino. Nella foto è visibile il sottopassaggio automobilistico, ove un tempo vi era il passaggio a livello. Sullo sfondo, a destra, la struttura realizzata in epoca fascista per l'ammasso del grano, successivamente riconvertita in distilleria.



Resti dell'antico mulinetto di Giovanni Bassi sul greto del fiume Treste . Foto di Antonino Vicoli


Resti dell'antico mulinetto di Giovanni Bassi sul greto del fiume Treste . Foto di Antonino Vicoli


Valentini Bassi Venturino vicino ad uno dei due cassoni dell'antico mulinetto sul greto del fiume Treste, acquistati da Giovanni nel 1933, che è anche l'anno di nascita di Venturino.


Valentini Bassi Venturino con il figlio Gianni nel mulino in Via della Mirandola, non più esistente, sostituito con il moderno opificio in zona Industriale.


Il nuovo e modernissimo opificio Di Valentini Bassi Venturino in
zona industriale, oggi gestito dal figlio Gianni.


(1) L'estrazione della pepézzere avveniva l'ottava di San Vitale e ze teréve (si sorteggiava) sulla cassa armonica. Il biglietto vincente era il primo estratto dopo quello che recava la scritta "San Vitale Martire" . Dopo il sorteggio la pepézzere veniva portata con la banda a casa del vincitore, il quale era considerato fortunato perchè la vincita era avvenuta per volere di San Vitale. Ma lua vincita con il tempo, divenne una disdetta. Il vincitore da fortunato che era, diventava malcapitato in quanto gli toccava da offrire da bere a tutti coloro che si recavano nella sua casa al seguito de la pepézzere, tra i quali immancabilmente spiccavano i noti beoni del paese che gli scolavano la botte. Vincere la pepezzere era un onore a cui non si poteva rinunciare, ma erano in molti coloro che si auguravano di non vincerla, in quanto, si sarebbero ritrovati con la pepézzere in casa, ma con la botte vuota.







pag.5
dietro/avanti


Un libro sul web

MA CHI SAREBBERO

LI SALVANESE

I forestieri a San Salvo

INDICE


Capitolo I
Introduzione
I maestri di scuola



Capitolo II
I carabinieri
e Nonsaccie




Capitolo III
da Gerardo D'Aloisio
a Luegge Capaùne




Capitolo IV
Lu camie de Masciulle
(Il camion di Masciulli)




Capitolo V
Giovanni Bassi
e Valentini Bassi Venturini




Capitolo VI
Vincenzo Larcinese




Capitolo VII
Ninuccie
lu panattire




Capitolo VIII
Lu macillare
de Lentelle




Capitolo IX
Nine
lu napuletane




Capitolo X
Franche lu 'nfurmire




Capitolo XI
Quei matrimoni d'altri tempi -
La bella farmacista ed Erpinio Labrozzi




Capitolo XII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIV
Erpinio Labrozzi e Maria Iole Di Nardo




Capitolo XV
(Fine prima Parte)


Capitolo XVI
Lu 'ngiugnìre
Tommaso Papi



Capitolo XVII
La famiglia Ricca




Capitolo XVIII
la crisi degli artigiani




Capitolo XIX
Lu motore
de le casuléne




Capitolo XX
Di Virgilio Nicola
la léma sàrde




Capitolo XXI
Lu camie
de Tinarìlle




Capitolo XXII
Angelo Di Biase
(Biascille)


Capitolo XXIII
Li carrettire
diventano camionisti




Capitolo XXIV
Lu Jumme
ed il pastificio de mastre Camélle e Marchàtte




Capitolo XXV
Adelme, Gelarde e Micchéle Cillène




Capitolo XXVI
Li trajene
e la nazionale





Capitolo XXVII
La nazionale
ed il dialetto




Capitolo XXVIII
Li frastire
ed i venditori ambulanti




Capitolo XXIX
Quando la gente
parlava con gli animali




Capitolo XXX
Lu sciopere
de lu bosche
e le cantine sociali




Capitolo XXXI
La scoperta
del metano




Capitolo XXXII
La Brede (la SIV)





Capitolo XXXIII
La nascita
della Villa Comunale




Capitolo XXXIV
LA SIV
L'accensione
del 1° forno




Capitolo XXXV
Giorgio la Rocca
(lu rumuane)




Capitolo XXXVI
L'on. Aldo Moro
a San Salvo




Capitolo XXXVII
La fabbreche de le tavelàlle




Capitolo XXXVIII
Il profumo
del progresso




Capitolo XXXIX
La sirena
e le frasterézze




Capitolo XL
Il trofeo
San Rocco




Capitolo XLI
Pasquale Spinelli



Capitolo XLII
Umberto Agnelli
a SanSalvo




Capitolo XLIII
Scandalo al sole




Capitolo XLIV
Ma chi sarebbero
li salvanése


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