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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri




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Ma chi sarebbero li salvanése

I forestieri a San Salvo

di Fernando Sparvieri

Un po' di storia locale raccontando personaggi









Capitolo XXIII

I primi camionisti


Ma non vi furono solo società trattoristiche in quel periodo. Vi fu anche un proliferare di quelle camionistiche.

Infatti, nonostante la prima vera e moderna società camionistica sansalvese, quella del camion di Tinarìlle, non fosse durata a lungo, un primo modello societario in linea con i tempi, però era stato delineato e sulla sua scia se ne formarono altre.

Protagonisti furono per lo più i figli degli antichi carrittire (i carrettieri), le cui famiglie avevano sempre svolto servizio di trasporti con i carretti per conto terzi. Questi giovani intuirono che era giunto il momento di abbandonare gli animali da traino, per passare ai camion.

Nota certamente positiva fu il fatto che molti di questi giovani, le cui famiglie d’origine erano concorrenti tra di loro, superarono tacite rivalità familiari, unendosi tra di loro in società.

Fu un vero momento di aggregazione tra le nuove leve.

E’ il caso, ad esempio, di ‘Ntonie de Carruzzire (Antonio Fabrizio), e Uide Zingrélle (Guido Fabrizio), più famoso qualche anno più tardi come Uide lu spaccieste (Guido il tabaccaio), i quali pur appartenenti a famiglie di carrettieri diverse, acquistarono in società un camion, un’Alfa Romeo 450, con cassone senza ribaltabile. Il loro lavoro consisteva principalmente nello svolgere gli stessi servizi che avevano svolto i loro genitori, cioè il trasporto, per conto terzi, di pietre per la costruzione, che prelevavano sui greti del fiume Trigno o del Treste, coadiuvati nella mano d’opera da squadre di giovani operai, quasi tutti del luogo, che javene arcaccia' le préte a lu fìumue (andavano a cavare le pietre a mani nude al fiume).


Antonio Fabrizio, detto Carruzzìre perchè la sua famiglia aveva anche la carrozza, con il suo cavallo prima di acquistare il camion.


Restando tra i figli dei carrettieri divenuti scioffer (autisti), storia a parte è invece quella dei fratelli Vetale e Uide Valerie (Vitale e Guido Torricella), per lungo tempo considerati, insieme a 'Ntonie Carruzzire ed in seguito a Mimì de Napuletane (Domenico Napolitano), i camionisti sansalvesi per antonomasia.

Vitale e Guido Torricella, come da tradizione di famiglia, continuarono di fatto a lavorare insieme, con lo stesso spirito che aveva insegnato loro il padre Valerio (da ciò deriva il nomignolo Valerie), famoso oltre che per l’attività di trainiere e di pompe funebri con la carrozza, anche per il fatto di avere uno stallone per la riproduzione de le bistie (cavalli, asini e muli). Il loro primo camion fu una Isotta Fraschini, senza ribaltabile. Acquistarono successivamente un camion FIAT 624, come quello di Tinarilille, e nel corso della lunga carriera di camionisti un OM e vari 642 FIAT.

Società ibrida, invece, nel senso che non provenivano entrambi da famiglie di carrittire, fu quella costituita da Amedè di Zingrelle (Amedeo Fabrizio), fratello di Guido, e dal macellaio Gine de Remmecchele (Gino De Francesco ), quest'ultimo appartenente alla più antica famiglia di macellai locali. Il loro camion, con un muso lunghissimo, una Alfa Romeo, di colore rosso, lavorava poco e per questo motivo, molti lo ricordano sempre parcheggiato lungo l'attuale VII Vico Umberto I, all'epoca viottolo disabitato. La società non durò a lungo. Gino se ne tornò alla sua vecchia attività di macellaio, mentre Amedeo cambiò mestiere, mettendosi a fare il panettiere.

Una società camionistica invece che fece epoca fu quella sorta tra ‘Ntonie Carruzzire (Antonio Fabrizio) e Mimì de Napuletane (Domenico Napolitano).

Eravamo negli anni '50 e in quegli anni per poter lavorare con un camion conto terzi era necessaria un' autorizzazione provinciale, difficile da ottenere in quanto, la lista era bloccata. Per potervi accedere bisognava apettare che qualche titolare vi rinunciasse, liberando un posto.

'Ntonie, già titolare di autorizzazione per conto terzi, sciolta la società con Uide lu spacceste, fece entrare Mimì, che pur non essendo figlio di carrittire, aveva sempre avuto l'aspirazione a diventarlo. Mimì, infatti, sin da giovanissimo, aumme aumme (senza alcuna autorizzazione), trasportava, con la sua giumenta e lu trajéne di famiglia, i raccolti della campagna di molti contadini, scumbattenne a jurnate, cioè non si faceva pagare, ma veniva contraccambiato con giornate di lavoro nelle sue campagne da coloro a cui aveva eseguito il trasporto.

I due tentarono subito di fare le cose all'ingrande.

Acquistarono alla concessionaria Alfa Romeo di Don Galeazzo Valentinetti di Ortona, un'altro autocarro a cambiali. Si trattava di un modernissimo camion biancorosso sempre dell’Alfa Romeo, un 455, il primo dotato anche di ribaltabile, che per poco, però, non lì ribaltò in rovina, a causa delle frequenti rotture che si verificavano, quasi ogni giorno, quando andavano a prelevare le scuje, préte e vràccile (grosse pietre, sassi e breccia), materiali da costruzione, sui greti del fiume Trigno e Treste.

Un camion Alfa Romeo 455, come quello di Antonio Fabrizio e Domenico Napolitano


Con il camion quasi sempre fermo in officina, fece affari d’oro Don Fuledeche (Filoteo Del Greco), rivenditore autorizzato di pezzi di ricambio di Vasto. Come si suol dire in dialetto sansalvese lavorare con quel camion era chiu' la spàse che la 'mbràse (erano più le spese che il guadagno), ed i due entrarono in crisi, non riuscendo più ad onorare le cambiali.

Non passò tempo, infatti, che il concessionario, Don Galeazzo Valentinetti, li mandò a chiamare, facendo intendere che era costretto a riprendersi il camion, considerato che da un po' di tempo non ritiravano le cambiali.

Mimì, com'era nel suo carattere, non si perse d'animo e cercò di farlo ragionare: "Don Galea'!", gli disse, "non siamo noi che non vogliamo ritirare le cambiali. Il camion si rompe nu jurne sce' e n'andre na' (un giorno si ed un altro no). Ze séme allentite a purtà solde a Don Fuledeche!"(Ci siamo stancati a portare soldi a Don Filoteo).

E concluse:"Addummuanne a Don Fuledeche!".

Don Galeazzo capì e li incoraggiò a continuare.

Proprio a causa però degli affari che continuavano a girare male, Ntonie e Mimì, dopo qualche anno, si videro costretti a separarsi. Fu Antonio a proporglielo, all'improvviso, durante una passeggiata serale, dalla piazza a lu Calevarie (al Calvario). Antonio si riprese il suo vecchio camion e Mimì il nuovo. Si separarono con una stretta di mano, senza alcun rancore, restando per sempre ottimi amici, con la gratitudine perenne di Mimì verso Antonio, per il quale nutrì per sempre una incommensurabile stima.

Il futuro, nonostante qualche brutto guaio, si rivelò migliore per entrambi.

Mimì, infatti, nonostante un brutto incidente, riuscì a cavarsela: uscì indenne una notte, quando, dopo 15 giorni e altrettante notti di lavoro senza chiudere occhio, sulla S.S. 16, a Casalbordino stazione, un colpo di sonno gli fece saltare il muretto di un ponte, volando al di sotto con il suo camion. Insieme a lui viaggiava in cabina un vecchio operaio sansalvese che volò insieme al motore del camion, nel preciso istante in cui l’impatto sollevò i parabrezzi dell’autocarro Alfa Romeo, che in quel modello si sollevavano per far entrare aria in estate. Entrambi rimasero illesi. Mimì, su consiglio di Mastre Véte lu varvire (Vito Napolitano, barbiere), suo cugino, siccome avvertiva un lieve dolore all’addome, venne accompagnato per precauzione all’ospedale di Vasto, per timore che n’avesse crepate a la panze (che non avesse avuto lesioni alla milza).

L'incidente non lo spaventò affatto e Mimì, dopo qualche anno, come si dice in gerco camionistico, divenne un padroncino, comprandosi anche la vettìure (un'automolbile), una 1100 FIAT TV (tipo veloce), che toccava in rettilineo la bellàzze (la bellezza) di 100 Km orari e passa. Fu quello un periodo d'oro per Mimì, che dopo qualche anno si trovò ad essere proprietario in contemporanea di tre camion, un 642 N2, un 682N2 ed un 682N3 de la FIET (così chiamavano la FIAT), assumendo alle sue dipendenze diversi autisti tra cui Antonino Gallina, genero di Zi' Dumneche Izzarille (Domenico Iezzi), Gine Spenozze (Luigi Spinozzi), entrambi di Montenero di Bisaccia, e Raffaele Paganelli, giovane sansalvese, che di lì a qualche anno si mise in proprio.

In piedi a sin. Vetale Valerie (Vitale Torricella) ed a destra Mimì de Napuletane (Domenico Napolitano), due storici camionisti sansalvesi. Seduto Antonio Fabrizio (escavatorista).


E Ntonie Carruzzire?

Antonio continuò con molto equilibrio a lavorare da solo, cambiando anch'egli diversi camion tra cui naturalmente un 642 FIAT. Ebbe purtroppo anch'egli due gravi incidenti, nonostante all'epoca era considerato, e lo era, fra i più affidabili autisti locali.

E siccome non vi è due senza tre, ne ebbe anche un terzo di incidente, per fortuna questa volta tragicomico.

Successe che Uide Turruciàlle (Guido Torricella), il padre di Marie la uardie (Mario, vigile urbano negli anni '60), lo incaricò di fare nu viaggie (così veniva chiamato ogni singolo trasporto) al Mercato Generale della Frutta di Pescara, dove voleva andare a vendere li citrìune (i cocomeri), che coltivava a lu Vurriccie (imbocco dell'attuale Via di Montenero). Antonio nel pomeriggio del giorno prima, fece caricare várr'a várre (pieno fino all'orlo) il cassone del camion di cocomeri, decidendo di partire il mattino dopo, di buonora. Uide, temendo che durante la notte qualcuno potesse salire sul camion e fregargli qualche cocomero, gli consigliò di parcheggiarlo nella sua casa, in Via della Circonvallazione, dove aveva uno spiazzo recintato, ma Antonio gli rispose che non c’era nulla da temere: l’avrebbe parcheggiato tranquillamente dinanzi casa sua, in Piazza San Vitale, dove nessuno si sarebbe abbecenéte (avvicinato).

Il mattino seguente come d'accordo partirono. Salirono sul camion naturalmente anche Guido,che doveva vendere i cocomeri e suo figlio Mario, che era ancora un ragazzino. All'epoca l'unica strada per arrivare a Pescara era la vecchia nazionale, la S.S. 16, che attraversava Vasto, passando poi per le stazioni ferroviarie di Casalbordino, quelle di Torino di Sangro, Fossacesia, San Vito Chietino e via di seguito.

Tornando al camion, già sulla prima salita, quella dopo il ponte di Buonanotte, una Bianchina 500, che li seguiva, guidata da Pasqualino Cilli, cominciò a suonare il clacson, cercando di far capire loro che c'era qualcosa che non andava. "E che vo' que'... ma che vo que''" (ma cosa vorrà questo qua, ma cosa cavolo cerca questo qua), iniziò a dire Antonio, forse pensando che volesse sorpassarlo. Giunti a la Sággie (C.da Salce), dove vi era una fontanella ed un po' di rettileo prima di arrivare a Vasto, Pasqualino finalmente li sorpassò, indicando con la mano il cassone del camion.

"Ma vatténne va'!', gli rispose Antonio, stizzito, rifacendogli segno con la mano, non avendolo neppure riconosciuto.

Non diedero peso, durante il viaggio, neppure ad altri automobilisti (e non è che ve ne fossero molti in giro), che da dietro, ogni tanto, quand'erano in salita, suonavano il clacson. Senonchè giunti alle salite di Ortona, un' automobilista, da dietro iniziò a strombazzare sempre più insistentemente il clacson, e dopo averli sorpassati, si fermò e li bloccò.

Aime'! Avevano scaricato mezzo ribaltabile di cocomeri per strada.

Era successo, almeno questa fu la ricostruzione dei fatti, che durante la notte, alcuni ragazzi, per fregare qualche cocomero, erano saliti sul camion e forse, senza accorgersene, avevano pestato con le scarpe li calicagnette (i ganci) che serravano la sponda posteriore del cassone, che in quei primi camion si agganciavano al contrario, che erano rimasti pézz'a pézze (lievemente agganciati).

L'altra metà dei cocomeri si salvò grazie ad una catena che non consentì l'apertura totale della sponda.

La fortuna però non li abbandonò del tutto. Ripartiti e giunti a Pescara, Guido vendette a buon prezzo quella metà dei cocomeri che si erano salvati e Antonio, da uomo d'onore che era, non si fece pagare lu viaggie (il trasporto). Felici e contenti, ridendo loro stessi sull'accaduto, fecero ritorno a San Salvo.

Naturalmente il fatto suscitò l’ilarità dei sansalvesi, che com’era prevedibile ci misero cacche curnéce (qualche cornice, come una cornice ad un quadro, nel senso che ognuno aggiunse qualcosa di proprio per rendere l’accaduto ancora più divertente).

La versione più famosa era quella che diceva che sui quei cocomeri, tutti squaquaracchite (sfragellati cadendo a terra), e affracchìte (pestati, resi poltiglia dagli altri automezzi che vi erano transitati sopra) vi fu nu ’ccidaje (una strage) di biciclette e motociclette di ragazzi, che di notte, al buio, dopo essere stati alla festa di Santa Maria Stella Maris a Vasto Marina (all’epoca non c’era la litoranea e per andare a Vasto Marina si passava per il centro di Vasto), caddero mentre facevano ritorno a San Salvo per la nazionale.

Naturalmente de curnéce ce ne furono tante: c’era chi diceva che qualcuno, al buio, rialzandosi dopo la caduta, aveva creduto ca j z’ave’ spacchite li cirvelle (che gli si fosse fracassato il cranio), in quanto si era ritrovato nghe mezza scorcie de citràune ‘ncape (con metà scorza di cocomero sulla testa come un elmetto); chi invece diceva che qualcuno, dopo la caduta, ave’ ’rmase ‘nzanganate da cème a pite (si era ritrovato sanguinante dalla testa ai piedi), accorgendosi solo dopo che si trattava della polpa del cocomero, e chi raccontava che quel solito e sempre qualcuno, z’ave’ fatte ’na sciuvullénne de trenta metre a cavalle a nu citràune (si era fatta una scivolata di trenta metri a bordo di un cocomero). Insomma ognuno ci metteva ’na pezze a chelàure (una pezza a colore), naturalmente rossa come la polpa del cocomero.

E tanto per buttarla ancora sui cocomeri, secondo me andò peggio ad una squadra di ragazzi che giocavano a calcio negli anni '50, anche se a loro sicuramente andò meglio rispetto a la squadre de li studìnte, che come già scritto, al ritorno dalla partita in trasferta da Montenero di Bisaccia, restarono vittime di una sassaiola, mentre erano seduti sul cassone de lu camie de Tinarille.

Si racconta che Armando Pollutri, che giocava nella Tenax, una squadretta di calcio locale, una domenica fregò il camion a suo padre, Carminuccie, e senza patente caricò gli amici sul cassone, per andare a disputare una partita di calcio a Fresagrandinaria. Vinsero 2 a 1, ma al ritorno, mentre percorrevano le prime curve per tornare a San Salvo, vennero improvvisamente bombardati da una pioggia di scorcie di citrìune (scorze di cocomero) da parte dei fresani, che non trovarono di meglio per vendicarsi della sconfitta subita in casa.

Chi era Carminuccie (Carmine) Pollutri?

Un panettiere, che aveva un forno in C.so Umberto I, angolo VII Vico Umberto I, al quale aveva annesso anche un negozietto di generi alimentari de la cuuperatéve (aveva aderito ad una delle prime cooperative alimentari nazionale). Aveva anch'egli un camion, un 622 FIAT , che adoperava ad uso proprio per il trasporto dei prodotti inerenti la sua attività commerciale, e nel periodo della trebbiatura, per trasportare la paglia imballata dalle campagne sansalvesi ad una cartiera di Chieti.

E ad proposito di trebbiatura, restando sempre nel campo camionistico, aveva una trebbia anche Peppine Marinille (Giuseppe Marinelli), che purtroppò gli si bruciò.

Non volendo ricomprarne una nuova, dopo un periodo in cui se ne andò a lavorare appresse a la trebbie de Don Giorgie (al seguito della trebbia di Don Giorgio Di Michele, il fattore dei terreni del marchese D'Avalos in contrada Montalfano di Cupello), comprò nel '56 un camion, un' Isotta Fraschini, sul quale fecero "scuola guida" e di vita i figli, gettando le basi per la nascita, negli anni successivi, della ditta Marinelli, una delle maggiori imprese della zona e non solo, nel campo dei trasporti, dell'edilizia e movimento terra.

E per concludere con i camion, ne aveva uno anche Carminuccie lu casulane (Carmine Onofrillo) che gestiva, insieme alla moglie, un negozio di alimentari in Via Roma. Il suo camion era nu Visconté' (un Visconteo Autobianchi), con il quale faceva la spola San Salvo-Milano, trasportando all'andata prodotti agricoli nostrani ed al ritorno quelli caricati al Mercato Ortofrutticolo della città meneghina.

Insomma tra la fine degli anni '50 e gli inizi del decennio successivo, vi fu una vero proliferare di camionisti, nonostante il trasporto conto terzi fosse ancora bloccato dalle autorizzazioni provinciali, difficilissime da ottenere.

Alcuni loro nomi: Vito Di Rito, figlio del panettiere Luegge Tinarille, che era più un autista di linea; Marie lu palmulase (Mario D'Adamio di Palmoli), che acquistò insieme al cognato Costantino Cilli, un 642 FIAT; Amerigo Di Santo, figlio di Pasquale Panzotte anch'egli proprietario di un 642 FIAT; Raffaele Paganelli, il giovane autista di Mimì de Napulitane, che qualche anno dopo si mise in proprio e fu il primo sansalvese ad acquistare nu camie e remorchie (autotreno).

In conclusione, comprare il camion in quel periodo divenne per molti giovani, figli di carrettieri e non, un modo di rapportarsi con le nuove opportunità di lavoro, che i nuovi tempi offrivano. Chi unendosi in società e chi per proprio conto, furono tra i primi, insieme ai trattoristi, ad annusare l'odore della benzina, che, almeno in quegli anni, addurave (profumava) di speranza, di progresso e civiltà.

NOTA:

Alcuni manovali che j'avene arcaccia' le prete a lu fiume erano Cesare Boccone (Pasquale Ricci) , il più anziano, Uide Pintàlle (Guido Passucci), Alfrede Chichinille (Alfredo Di Carlo), Pierine Menechìlli (Piero Menichilli). Come mi spiego' Mimi Napolitano, il fiume Trigno, al contrario del Treste, suo affluente, non aveva nel suo letto pietre grandi, ma era più ricco di piccoli sassi e sabbia.




Pag.23


dietro/avanti


Un libro sul web

MA CHI SAREBBERO

LI SALVANESE

I forestieri a San Salvo

INDICE


Capitolo I
Introduzione
I maestri di scuola



Capitolo II
I carabinieri
e Nonsaccie




Capitolo III
da Gerardo D'Aloisio
a Luegge Capaùne




Capitolo IV
Lu camie de Masciulle
(Il camion di Masciulli)




Capitolo V
Giovanni Bassi
e Valentini Bassi Venturini




Capitolo VI
Vincenzo Larcinese




Capitolo VII
Ninuccie
lu panattire




Capitolo VIII
Lu macillare
de Lentelle




Capitolo IX
Nine
lu napuletane




Capitolo X
Franche lu 'nfurmire




Capitolo XI
Quei matrimoni d'altri tempi -
La bella farmacista ed Erpinio Labrozzi




Capitolo XII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIII
Quei matrimoni d'altri tempi -
Il fidanzamento
e a la spose




Capitolo XIV
Erpinio Labrozzi e Maria Iole Di Nardo




Capitolo XV
(Fine prima Parte)


Capitolo XVI
Lu 'ngiugnìre
Tommaso Papi



Capitolo XVII
La famiglia Ricca




Capitolo XVIII
la crisi degli artigiani




Capitolo XIX
Lu motore
de le casuléne




Capitolo XX
Di Virgilio Nicola
la léma sàrde




Capitolo XXI
Lu camie
de Tinarìlle




Capitolo XXII
Angelo Di Biase
(Biascille)


Capitolo XXIII
Li carrettire
diventano camionis




Capitolo XXIV
Lu Jumme
ed il pastificio de mastre Camélle e Marchàtte




Capitolo XXV
Adelme, Gelarde e Micchéle Cillène




Capitolo XXVI
Li trajene
e la nazionale





Capitolo XXVII
La nazionale
ed il dialetto




Capitolo XXVIII
Li frastire
ed i venditori ambulanti




Capitolo XXIX
Quando la gente
parlava con gli animali




Capitolo XXX
Lu sciopere
de lu bosche
e le cantine sociali




Capitolo XXXI
La scoperta
del metano




Capitolo XXXII
La Brede (la SIV)





Capitolo XXXIII
La nascita
della Villa Comunale




Capitolo XXXIV
LA SIV
L'accensione
del 1° forno




Capitolo XXXV
Giorgio la Rocca
(lu rumuane)




Capitolo XXXVI
L'on. Aldo Moro
a San Salvo




Capitolo XXXVII
La fabbreche de le tavelàlle




Capitolo XXXVIII
Il profumo
del progresso




Capitolo XXXIX
La sirena
e le frasterézze




Capitolo XL
Il trofeo
San Rocco




Capitolo XLI
Pasquale Spinelli



Capitolo XLII
Umberto Agnelli
a SanSalvo




Capitolo XLIII
Scandalo al sole




Capitolo XLIV
Ma chi sarebbero
li salvanése