E seguendo la strada del
grano per poi trovare quella dell'amore, arrivò a San
Salvo,
Ninuccie lu panattire (Ninuccio il
panettiere), altro
frastire, all’anagrafe Federico
Galante (1920 - 1986), da Palata.
La sua storia a San Salvo, ebbe inizio nell'immediato
dopoguerra, quando nel 46' sposò Iole Cilli (1921-2017),
primogenita di
Zi' Vete (zio Vito) e di
Ermelinde
Zuccorononne (Ermelinda Zuccorononno), coppia che
abitava in 1° Vico Piazza San Vitale, a fianco alla
Porte
de la Terre, famiglia tra le più antiche di San
Salvo, che aveva altri tre figli: Gina, Egidio e Evaristo,
noto quest'ultimo per il suo negozio in piazza San Vitale
di "Pasta all'uovo" sin dagli anni '80.
Ninuccie lu panattire, che a Palata chiamavano
Ninuccie
lu merrecane (Ninuccio l'americano) per via del
fatto che suo padre era stato in America, non era nato
fornaio e mai avrebbe immaginato che lo sarebbe diventato.
I suoi veri mestieri erano camionista e commerciante di
grano.
Iole, invece, che subito dopo il matrimonio si era
trasferita con il marito a Palata, dove lo aiutava nella
sua attività di commerciante, una certa infarinatura con
la farina già l'aveva, essendo stata impegnata, appena
diciassettenne, nelle attività di famiglia, che
comprendevano, oltre ad una macelleria in Piazza San
Vitale, gestita principalmente dal fratello
Eggidie
e da
Zi' Vete, che nel '34 era tornato anch'egli
dall'America, anche un forno nella stessa casa, con
accesso da 1° Vico Piazza, di cui si occupava mamma
Ermelinda.
Il primo a destra: Ninuccie
lu panattire (Federico Galante). Da sin. sua figlia
Maria Antonietta, Iole, nonna Ermelinda Zuccorononno,
nonno Vito Cilli, e l'altra figlia Clara.
Anche per Iole, il pensiero di tornare a fare la fornaia a
San Salvo era lontano anni luce, avendone viste di cotte e
di crude, di pagnotte, nel forno di famiglia.
A quei tempi, infatti, erano molte le casalinghe che
ammassávene (impastavano) la farina per fare il
pane in casa e lo portavano a cuocere dal fornaio. Era una
pratica diffusissima, sopratutto nei piccoli centri
agricoli, dove, chi aveva la fortuna di avere un forno in
casa, provvedeva autonomamente alla cottura, mentre chi
non lo possedeva, lo portava crudo a cuocere dal fornaio,
dietro pagamento. Le casalinghe, per distinguere, dopo la
cottura, le proprie pagnotte (
li panille de pane)
da quelle delle altre, prima che venissero infornate dal
fornaio, praticavano, sulla pasta cruda, dei segni di
riconoscimento, generalmente eseguiti con un coltello,
oppure le contrassegnavano con un marchio in ferro, quasi
sempre riportante le iniziali di famiglia, mentre altre vi
apponevano sopra due tre fagioli o fave, in modo da avere
la certezza che il pane riconsegnato dal fornaio fosse
proprio il loro.
I soldi non giravano ed erano pochissimi anche coloro che
acquistavano il pane in contanti. La gran parte della
gente
faciàve segna', cioè faceva annotare il pane
consegnato sul cosiddetto
librátte de la credénze,
che era un quadernino con la copertina nera e pagine con
bordo rosso, che ogni famiglia custodiva in casa (
famme
credenze, significava credi in me, ti pagherò),
saldando l'intero conto previo accordo prestabilito con il
fornaio.
Si faceva molta attenzione anche al peso esatto della
pagnotta.
La pagnotta doveva pesare esattamente il quantitativo di
pane acquistato (es. un chilogranmmo) e per questo motivo,
il fornaio, quando lo pesava e mancava qualche decina di
grammi, metteva
la jànte (l'aggiunta), un'ulteriore
fetta di pane sulla bilancia, per farle raggiungere il
peso esatto. Con la fame che c'era in giro,
la jànte era
elemento controllatissimo dalle famiglie e per questo
motivo si raccomandava ai bambini, quando venivano mandati
a comprare il pane, di non mangiarsela per strada: "
Ue'
mortacce'! Nghe t'avessa magna' pe la ve' la jante?"
(Eih peste! Che non ti dovessi mangiare l'aggiunta per
strada). E se la mangiavano
fresélle (botte a non
finire).
A quei tempi, la gente era anche un po' diffidente nei
confronti del fornaio. Temeva che imbrogliasse sul peso.
Significativa in tal senso era una canzone popolare, che
trattava dei mestieri in voga in quegli anni, che quando
arrivava alla strofa del panettiere, così recitava: "
Lu
panattire che cóce lu pane quanda le pése ci mette la
mane, ti le fa lu pése leggire, scatte 'ncurpe lu povere
artire" (il panettiere che cuoce il pane, quando lo
pesa ci mette la mano (sulla bilancia), te lo fa il peso
leggero, schiatta in corpo il povero artiere (artigiano).
A tal proposito si racconta che un panettiere di San
Salvo, pare che avesse fatto un po' di confusione nel
segnare sopra la
librátte de la credenze, il pane
che aveva consegnato in un periodo ad una famiglia,
aggiungendovi, nel dubbio, qualche pagnotta in più. Alle
rimostranze della famiglia che glielo fece notare, mentre
ricontrollava il libretto, cancellava con un segno di
penna le pagnotte di cui egli stesso non era sicuro di
aver effettivamente consegnato, esclamando più volte, per
ogni segno che tirava: " E chi lo sa?".
J'arcacciaréne
(gli affibbiarono il soprannome): "E' chi lo sa".
Più o meno in questo tipo di tessuto sociale, ancora molto
diffuso nel dopoguerra, simile a quello di tutti i paesi
limitrofi, con
Ninuccie e Iole felicemente sposati
a Palata, il destino, che a volte scrive pagine di vita a
suo piacimento, volle che Nicola Di Gregorio, appartenente
a chelle de Jseppecóle (discendente della famiglia
di Giuseppe Nicola), che abitava e faceva il panettiere in
una casa all'angolo tra Strada del Popolo e Via Mazzini,
emigrasse in Australia, dove vivevano i suoceri.
Il suo forno venne acquistato da
Amedè de ze' ngrelle
(Amedeo Fabrizio), altro storico fornaio locale, il quale,
dopo qualche tempo, avendo altre cose per la testa,
propose a
Ninuccie, che spesso veniva a San Salvo
a trovare i suoceri, di ricomprarselo.
Ninuccie, che a tutto pensava fuorchè di fare il
panettiere, ne parlò con Iole, la quale, conscia delle
difficoltà del mestiere, dopo qualche iniziale titubanza,
complice anche la nostalgia per il suo paese natio, alla
fine acconsentì. Si trasferirono a San Salvo tra il '57 ed
il '58, anche se per Iole si trattava di un ritorno,
accingendosi a scrivere insieme una delle pagine più belle
della storia dei panificatori della nostra ancora piccola
cittadina.
Non passò tempo, che i due riscossero un gran successo,
riuscendo a fregiarsi entrambi, in par condicio, per la
prima volta nella storia dei fornai locali, del titolo di
panattire (
Ninuccie lu panattire e
Iole
la panattire), riconoscimento assegnato loro dal
verbo popolare, anche se dentro alla bottega era Iole a
farla da padrona, o almeno questa era l'impressione, in
quanto era quasi sempre lei a stare dietro al bancone.
Questo non significa che
Ninuccie si stesse con
le mani in mano, anzi. Affondava anch'egli le mani negli
impasti, solo che era più addetto ad altre mansioni. Per
questo motivo girava in paese con una Topolino FIAT a
camioncino, giallina, che con il tempo divenne un po'
bianca, come le sue scarpe, per il trasporto della farina.
Eh si, doveva essere davvero un gran marito
Ninuccie,
tanto grande che Iole si mise a fare i maritozzi, che per
la loro fragranza mettevano scopa persino alle brioches
della Ferrero.
Maritozzi a parte, ciò che li rese famosi, oltre alla
fraganza del pane, furono però le pizze, le famose
pézze
de Iole (pizze di Iole). Cosa avessero di
straordinario quelle pizze è un mistero. All’apparenza
erano condite semplicemente con olio e pomodori, un po’
tarrachìute
(alte di spessore), ma talmente gustose da far leccare i
baffi a studenti e professori.
Sì, perchè, essendo stato appena aperto l’Istituto
Professionale ed istituita nel ’63 la Scuola Media
Unificata (quella in cui per legge si doveva far finta di
studiare il latino), le cui sedi erano nello stesso
palazzo con unico accesso da IV Vico Cavour, a due passi
dal forno, la mattina, prima di andare a scuola, quelle
pizze iniziarono ad essere prese d’assalto dagli studenti,
che le mangiavano alla ricreazione, con il profumo che non
tardò a giungere alle narici dei professori.
Non ci volle molto tempo che quel profumo si diffuse oltre
le mura scolastiche.
Tutti iniziarono a mangiarle. Ovunque: nei bar, al mare,
in campagna, il lunedì di Pasqua, a Ferragosto, nelle
botteghe, nei cantieri. Insomma, quella specialità divenne
talmente famosa, tutt’oggi ricordata da molti nostalgici
palati, che sicuramente fu la prima pizza locale ad evere
un suo brand ufficiale:
la pèzze de Iole.
E
Ninuccie?
Ninuccie, nel contempo, che possedeva ancora il suo
camion verdino, un FIAT 642, che il tempo aveva reso
pisellino, a furia di impastare farina, ci prese gusto ed
un giorno si mise ad impastare anche l'argilla. Gli venne
in mente di realizzare
'na fumante de matìune (una
fabbrica di laterizi)
a li Zumpafusse (in C.da
Zompafossi di Cupello). Dopo aver fatto le prove tecniche
sulla qualità dell'argilla, con esperimenti di cottura nel
suo forno, costituì una società invitando ad entrarvi
dapprima i suoi vicini di casa, nonchè amici, Giovanni
Miscione, mastro muratore, e Donato Cristini, e poi altri
soci, tra cui il vastese Lellino Bontempo, genero di
Vituccie Mariotti e l'immancabile Virgilio
Jnnarille (Cilli),
che aveva una pompa di benzina in Via Roma.
Non si riposavano mai Iole e Ninuccio, lavoravano notte e
giorno, ventiquattro ore su ventiquattro. Il pane era
diventata tutta la loro vita.
Ninuccie era il primo ad alzarsi al mattino di
buonora e con l'aiuto di Rocco Torino,
lu lavurante (l'apprendista),
una specie di giamburrasca che faceva la consegna del pane
pane porta a porta con un triciclo con cassone, preparava
l'occorrente. Poi, si sedeva in cannottiera su una sedia a
sdraio ed attendeva che scendesse
albe e ne albe (alle
prime ore dell'alba) dal piano di sopra
la mastre
(la maestra), la sua Iole , che dava il tocco di classe
finale ai prodotti.
Solo la domenica e non sempre, un po' di riposo.
Li ricordo una domenica pomeriggio al porto di Punta Penna
(negli anni '60 era aperto al pubblico e specie nelle
domeniche primaverili era pieno di sansalvesi), quando a
bordo di una FIAT 1100 D con codino, color antracite, li
vidi arrivare sul molo:
Ninuccie era alla guida,
sedute dietro le belle figlie Maria Antonietta e Clara, e
davanti la sua Iole, a cui era riservato, com'era regola
indiscutibile a quei tempi, il posto d'onore.
E quel posto d'onore Iole lo meritava davvero tutto, e lo
merita tutt'oggi nella storia della panificazione
sansalvese.
Mai pizze, che crebbero intere generazioni, furono più
gustose delle sue.
La sua ricetta resterà per sempre un mistero, come quella
della Nutella della Ferrero, che mia nonna Maria Fabrizio,
analfabeta, morta ultracentenaria, chiamava non a torto
la
Lotella, forse perchè somigliava tantissimo a
la
làute (al fango), sia per il colore del cioccolato
che per la sua morbida densità.
E tornando al nostro caro amico Federico Galante, da
Palata, alias
Ninuccie lu panattire, è proprio
vero che i detti popolari non sbagliano mai: dietro ad un
grande uomo, c'è sempre una grande donna.
Il triciclo di Ninuccio che
era guidato per la consegna porta a porta del pane
dall'apprendista panettiere Rocco Torino, che non è il
ragazzo ritratto nella foto. ( Foto www.
stefanomarchetta.it)
La foto è stata scattata dinanzi al 6° vico Garibaldi,
dinanzi al negozio di Donato Cilli, unico fotografo
del paese negli anni '50, padre di Calvino, oggi
titolare dello studio fotografico Cilli. Sullo sfondo
si vede C.so Garibaldi, la puteche da falegname
dell'ex Sindaco Domenico Cervone ed alla sua sinistra
la puteche dei rinomati fabbri Mastr'Antonio e Mastre
Rocche Castorio, fratelli.
NOTE:
- prima che entrasse in produzione la Nutella, le
nonne ci spalmavano sul pane la ragnate (la
marmellata), e lu sanghinaccie, una
gustosa crema animale fatta con il sangue del
maiale, prelevato ancora caldo appena scannato.
- Il forno di Iole e Ninuccio, venne acquistato
negli anni '80 da Granatello Italo, che proseguì
con uguale impegno e successo, l'attività di
panettiere, compresa la produzione delle famose
pizze di Iole, la quale dopo la morte di Ninuccio,
si traferì nel 1988 in Sicilia, dove si erano
sposate le figlie Maria Antonietta e Clara.
- A Nicola Di Gregorio, l'attività di panettiere
andava a gonfie vele, tant'è che era uno dei pochi
che all'epoca si poteva permettere di comprare il
pesce che veniva a vendere da Vasto Zi' Innare
lu pisciarole (fonte Virgilio Cilli).
-
Rocco Torino
(nella foto da giovane), era un bravo fornarino,
che dava manforte a Iole e Ninuccio. Dotato da
ragazzino di un caratterino tutto pepe, sfotteva
ed era sfottuto un po' da tutti, che lo avevano
soprannominato lu cacate de lu diavele.
Da giovanotto calmerà notevolmente i suoi
bollenti spiriti, facendosi apprezzare dapprima
da famosi fornai vastesi, come Monteferrante
(soprannominato Zupunille) e Del
Borrello, forni in cui andò a fare lu
lavurante (l'apprendista). Ancor
giovanissimo emigrò in Germania, dove, dopo una
settimana di lavoro da muratore, lo scoprirono
ottimo panettiere, assumendolo immediatamente in
un forno-biscottificio tedesco. Tornato in
Italia ed in procinto di aprire un panificio, il
suo sogno, venne bloccato in questa sua
iniziativa dal servizio militare, quando già
aveva moglie e figlio carico. Dopo il servizio
militare lavorò in panifici del circondario,
anche nel vicino Molise, prima di abbandonare
ogni velleità di panettiere, quando venne
assunto come operaio dalla Magneti Marelli.
Impastare la farina restò sempre la sua grande
passione. La sua presenza divenne costante nei
preparativi annuali delle "Sagne di San Vitale"
e di li pircilléte in occasione delle
feste patronali.
-
Le biciclette a tre ruote (la cui marca era
Doniselli), erano diffuse in quel periodo a San
Salvo e non solo tra i panettieri. Ne avevano due
identiche anche Virgilio e Guerino Cilli, i quali,
pur essendo fratelli, ognuno svolgeva per proprio
conto un'attività commerciale, usandole per
trasportare le prime bombole di gas. Tornando ai
panettieri ne aveva una anche Amedeo de
Zengrelle (Fabrizio), che dopo aver venduto
il forno a Iole ne riaprì un altro in Via San
Giuseppe ed un'altra Vincenzo Tinarille
(Di Rito), il quale deve essere considerato tra i
più antichi fornai locali. Il suo forno era
ubicato nell'attuale P.zza Papa Giovanni XXII,
alll'epoca non ancora realizzata, in un locale
lungo e stretto. Il forno di Vincenzo Di Rito
venne rilevato negli anni '60 da Berchicci Emilio
di Petacciato, che qualche anno dopo lo trasferì
in C.da Stazione, divenendo il primo fornaio della
nascente San Salvo Marina.
- Altro fornaio anteguerra fu Carmine Pollutri
che aveva il forno ed una specie di
spaccio-emporio cooperativa "rossa" nell'attuale
VII Vico Umberto I, nella casa della famiglia
Fabrizio, ove oggi vi è il "Bar Centrale" (fonte
Tonino Longhi). Altri panettieri sansalvesi
operanti negli anni '50-'60, furono Niculine
lu panattire (Nicola Artese), che aveva il
suo forno in 5° Vico Garibaldi, che sarà
acquistato negli anni '60 da Pierino Cilli e
Giuseppe Raspa, cognati, e Luigi Mancini, che
aveva un panificio con annesso negozio alimentare
in S.da Portanova, dietro al palazzo scolastico di
P.zza San Vitale, oggi sede di molti uffici
comunali.