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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti del mare

di Fernando Sparvieri

Un po' di storia locale raccontando personaggi








La ve' de Náscie
(L'altro mare)



Nicola Del Villano (classe 1915), con la bicicletta al mare.


Come scrive Michele Molino, il veterano tra i giornalisti locali, pare che Giuseppe Garibaldi, durante il suo breve soggiorno a San Salvo, inseguito dai francesi, che lo braccavano dopo la caduta della Repubblica Romana del 1849, riprese la fuga e, percorrendo la “Ve’ di Náscie”, arrivò alla foce del torrente Buonanotte, dove era atteso da alcuni amici, i quali, a bordo di un bragozzo da pesca, lo imbarcarono insieme ad Anita per condurli in terra marchigiana, prima di proseguire verso San Marino.

Sarà storia o leggenda popolare, tramandata da taluni anziani?

Come ho avuto modo di scrivere in merito, anche se i libri di scuola scrivono di tutt'altro tragitto, molte volte il confine tra la storia e la leggenda è separato da una linea molto tenue, valicabile ed invalicabile, che l’oblio del tempo rende mistero.

Ciò che invece non è mistero è che la “Ve’ de Náscie”, come scrive sempre Michele Molino, intorno agli anni ‘30 , era percorsa da zì Jnnàrë lu pisciaròlë (Gennaro Raimondi, 1880 – 1975, vastese) , che di professione faceva il pescivendolo, il quale da Vasto Marina, camminando scalzo mare a mare (lungo la riva del mare), con i pantaloni accorciati sino alle ginocchia e nghe nu panìre (con un paniere) carico di pesce sulle spalle, la imboccava per raggiungere San Salvo, dove nello spiazzale antistante il palazzo de Vito in C.so Umberto I, vendeva il pesce ai sansalvesi.

Ma che cos’è questa Ve’ de Náscie e sopratutto esiste ancora?

La Ve’ de Náscie, che i sansalvesi di vecchia generazione, me compreso, si ostinano ancora a chiamarla in questo modo, esiste ancora, seppure con qualche variante rispetto al tracciato originario.

Oggi si chiama ex S.P. Buonanotte (ex perchè da qualche anno è diventata comunale) ed è la strada che, partendo dall’attuale Via Grasceta (dalla rotonda degli alpini), arriva sino alla S.S. 16 e quindi al mare.

Era così chiamata perché conduceva principalmente ai tenimenti dei Nasci, famosa famiglia possidente da cui prese il nome, i cui discendenti vivono a Roma, tra le cui proprietà si può ancora ammirare una bellissima cascina, circondata da pini romani, ubicata sulla collina che declina dolcemente verso il mare.

Anticamente questa strada era poco più di un viottolo interpoderale ed era frequentata durante l’anno dai contadini che raggiungevano le loro terre. D’estate, invece, diventava per molti sansalvesi, che in reatà erano pochi, un’altra via per andare al mare, o meglio all'altro mare.

Infatti si può dire che, un tempo i sansalvesi è come se avessero due "mari": il primo era quello a sud in cui per arrivarci si percorreva la ve’ de la staziàune (la via della stazione ferroviaria) e poi continuando, dopo il passaggio a livello, ci si immetteva in un viottolo battuto sulla sabbia che costeggiava la farmue (il formale - oggi Via A. Doria, zona porto turistico); il secondo invece, più vicino al centro abitato in linea d’aria, era lu muáre de Náscie, da qualcuno chiamato anche a Buonanotte, data la sua vicinanza con la foce del torrente omonimo, ubicata più a nord al confine con Vasto (oggi zona Via Raffaele Paolucci, Le Nereidi ed il Biotopo).

I due “mari”, separati da circa due chilometri di dune ed erbe selvatiche, erano per l’epoca considerati lontanissimi tra di loro, seppure facenti parte di un'unica distesa di sabbia quasi totalmente disabitata, denominata C.da Marinelle.

Entrambi i “mari” durante la stagione bagne e arie, così chiamava la gente la stagione balneare, erano pochissimo frequentati. A sud si recavano per lo più i giovani, che javene a jettà lu sanghe a lu muáre” (andare a buttare il sangue al mare), modo di dire dispregiativo che stava a significare, in una società prettamente contadina, l’inutilità di andare a perdere tempo al mare; a Náscie, invece, andavano a fa’ li bagne (a fare i bagni) per lo più i contadini, che preferivano andare a Náscie o a li Náscie, sopratutto a Ferragosto, quando dal paese partivano nghe le trajéne (i carretti) per la tradizionale gita, il giorno de Santa Mare’  (l'Assunzione della Vergine Maria) per mangiare lu pillastre archiàne (il pollo ripieno) e lu citràune (il cocomero) , che alcuni mettevano a dimbràsche a láppe de mare (a rinfrescare dentro un buco scavato nella sabbia in prossimità della battigia).

Tutto l'immenso ed arido arenile, a tratti paludoso, era abitato solo da qualche sóccie (mezzadro) che coltivava sulla sabbia, con non poche difficoltà, ortaggi e citrìùne (cocomeri).

Per l'approvvigionamento idrico delle coltivazioni, veniva sfruttata a nord, verso Náscie, l'acqua che si riusciva a prelevare dal torrente Buonanotte; al centro dell'arenile,  la sorgente naturale che sgorga sulla collina sopra la ferrovia e sfocia al mare (nella piazza centrale del lungomare), mentre a sud-est, a confine con il Molise, l'acqua veniva prelevata dal formale (la fàrmue), canale artificiale dirottato dal fiume Trigno, che oggi termina la sua corsa all'interno del porticciolo turistico.

Era davvero una natura selvaggia ed incontaminata, con una fauna e flora, d'altri tempi.

Il mare, senza barriere frangiflutti, aveva tre settèle (secche, zone nell'acqua marina in cui si formano delle dune di sabbia visibili dalla riva): la preme, la secànde e la térza settéle: la prima, esistente ancora oggi, era raggiungibile anche dai bambini; la seconda, oggi inesistente perchè distrutta dalla posa degli scogli, era raggiungibile anche da chi non sapeva nuotare, ma solo durante la bassa marea (molte persone inesperte sono annegate nel nostro mare a causa della sopraggiunta alta marea); la terza, invece, molto più a largo, 'nzi tuccuáve (non si toccava con i piedi) ed era meta solo di nuotatori esperti, per lo più giovani, tra cui c'era sempre qualcuno a cui piaceva fa lu sbráfánte (mettersi in mostra).

Sul mare, a qualche decina di metri dalla costa, passava ogni tanto qualche solitario caggiáne (gabbiano, da cui deriva il modo di dire "Si' bianche gne' 'na caggiáne", che significa non sei abbronzato e quindi bianco come un gabbiano), che con il suo ritmico sbattere delle ali, volava ramingo sino a sparire in lontananza (la presenza della popolazione di gabbiani nel nostro mare è aumentata in modo considerevole dopo la posa delle barriere frangiflutti).

Tra la vegetazione selvaggia trovavano rifugio varie specie di uccelli migratori, vittime al loro passaggio dei fucili dei cacciatori, che anche all'epoca sparavano, ed arrampicate a li cannézze (a cannucce), dopo la pioggia, uscivano migliaia di ciammaichàlle de mare (lumachine di mare), di cui la gente ne faceva “minestre” (le catturava per mangiarle), riponendole provvisoriamente dentro a ‘na mantìre (ad un grembiule da cucina) o a 'na mandrécchie o a nu mandricchiàune (strofinacci da cucina).

Sempre tra la vegetazione selvaggia, volavano muschéje e ciámbáne (moscerini), coccinelle ed insetti di ogni specie. La battigia era popolata da minuscoli animaletti che alla vista di qualcuno, si intrufolavano nella sabbia umida, lasciando un buchetto che svelava la loro presenza. Era un vero divertimento per i bambini, che con il ditino si divertivano a scovarle. Non era raro vedere anche lu ‘ppuallottacacate (lo scarabeo stercorario), una specie de scardavàune (scarafaggio), che vive sopratutto in campagna, che sulla battigia arrotolova con le sue zampine anteriori sostanze organiche, dopo averle rese a forma di palla.

Vista del Golfo da Vasto. Sullo sfondo si intravede la costa sansalvese ancora ricoperta da una vegetazione selvaggia, senza palazzi e palazzoni costruiti sulla sabbia.


Tornando alla nostra Ve’ di Náscie, che poi ci ha condotti sin qui, sino agli anni ’60, non era comoda ed asfaltata come oggi.

Il suo fondo stradale, era stretto, ricoperto da breccioline ed era davvero impervio transitarvi. Virgilio Cilli che un giorno vi si avventurò con la sua automobile, si accappottò.

Essendo brecciata, a primavera, dopo le pioggie invernali, sembrava più un letto di fiume che una strada.

Da San Salvo, per imboccarla, dopo aver percorso la ve' de lu Vuáste (l'attuale strada Istonia ex S.S. 16), si passava sopra un ponticello in aperta campagna, di cui esiste ancora una sponda e poi si proseguiva lungo una stradina (attuale Via Bachelet, quella che conduce oggi al campo di bocce comunale), al cui lato, guardando verso il torrente Buonanotte, negli anni ’60, vi era lu munnezzare (luogo di deposito de la mennàzze dei rifiuti urbani) , che anni prima era stato ubicato a ridosso del centro abitato a lu puànte de le casulene (al ponte dei casolani).

La Via di Nasci a sin. e la Via della Stazione a dx. Sullo sfondo il mare ancora quasi deserto.


L'accesso attuale di via Bachelet era quindi l’inizio de la Ve’ de Náscie.

Il suo percorso proseguiva quasi interamente lungo la strada attuale, oggi ampliata, fatta eccezione per la zona interessata al cavalcavia ferroviario, dove la collina declinava d’un tratto quasi al livello del mare, e dove vi era un’altro passaggio a livello (lu passaggie a livelle de Náscie), che faciàve harneà li gente (faceva bestemmiare la gente) perchè era quasi sempre chiuso.

Oltrepassato il passaggio a livello e dopo qualche centinaio di metri, si arrivava finalmente al mare.

Prima di arrivarvi, però, bisognava ancora oltrepassare una specie di altro viottolo in perpendicolare, una stradina in terra e sabbia battuta, in gran parte sul tratturo, (che agli inizi degli anni ’60 diverrà come per miracolo la S.S. 16), da dove si intravvedeva la massarè de Sciò, che sembrava come un oasi nel deserto tra li jncie e le dune. Poi costeggiando verso la foce del torrente Buonanotte (attuale Via R. Paolucci), si arrivava finalmente alla battigia.

Quanti ricordi della mia fanciullezza sono legati a la Ve’ de Náscie. Ci andavamo in bicicletta e poi ancora da ragazzini con i motorini, cercando i punti migliori del fondo stradale brecciato, per non cadere. Ogni tanto transitava qualche automobile che ci riempiva di polvere, essendo la strada bianca.

Ricordo che sotto il sole cocente ci fermavamo spesso all’ombra di querce secolari, che sono ancora lì, scendendo giù verso il mare (nella zona oggi denominata "a Lambiscia", soprannome di Nicola Tana, vastese, che negli anni '70, fu il primo ad aprire un'attività di sfasciacarrozze nel territorio di San Salvo, dando forse per sempre il suo nome a quella zona).

Giunti più sotto, dove oggi vi è la rotonda per la stazione ferroviaria Vasto-San Salvo, prima del cavalcavia ferroviario, in curva, sulla destra vi era ‘na frátte (una siepe), dove crescevano spontanee le more: avevano un colore bianco perché imbiancate dalla polvere sollevata dalle automobili.

Era il nostro luogo preferito di ristoro. Quelle more erano gustosissime. Una soffiata sopra, una spolveratina con le mani, pulite con la saliva e poi ingoiate.

Il passaggio a livello e poi, come detto, il mare.

Era un mare selvaggio, inimmaginabile oggi.

La brezza marina muoveva le foglie degli arbusti e si udiva la voce del mare.

Oggi tutto è cambiato.

Due chilometri circa di lungomare.

Migliaia di bagnanti, decine di stabilimenti balneari, centinaia di ombrelloni, pub, ristoranti, gelaterie, mercati, fuochi artificiali.

Al mattino si fa acquagym a nu jnucchie d'acque (ad un ginocchio d'acqua), i bimbi ballano la baby dance ed i giovani, nghe cacche asene a vicchie 'nmezze (con qualche persona anziana tra di loro), si divertono con balli di gruppo, facendo zimbue e zumbuétte (saltelli), alzando le vìute e li cocchele de le jnucchie (i gomiti e le rotule del ginocchio) e battendo ritmicamente le mani.

Di notte e di giorno la musica inonda le onde del mare.

Altri invece camminano tése tése (con la pancia in dentro e le spalle dritte), come se tinassere ficchite nu palatte a lu ..., facendo il Nord Walking con due bastoni, anche se ni è ciuppe (non sono zoppi).

Come sono lontani i tempi in cui le nostre nonne facevano i bagni con le sottane ed i contadini javene appete 'ncampagne (andavano a piedi in campagna) nghe lu zappàune sàprue a li spalle (con la zappa sulle spalle), lu triffule (l' otre in terracotta) e l'ammappatelle abberrettéte a lu madricchiàune (con la colazione avvolta in un salviettone).

E chi l'avrebbe mai detto, solo cinquant'anni fa.

Oggi è tutta 'na marave'! (una meraviglia).

A volte, però, chiudo gli occhi e sogno a... làppe de mare

Il vento soffia ancora, ma non odo più la voce del mare.


Fernando Sparvieri



L'accesso originario de la Ve de Náscie - oggi Via Bachelet.
Sulla sinistra esiste ancora una sponda del vecchio ponticello


Lo sbocco de la Ve de Náscie da Via Bachelet sull'originario tracciato stradale.


Tramonto sulla cascina dei Nasci sulla collina che declina verso il mare.


Le quercie secolari viste da Lambiscie (l'ex sfasciacarrozze).
In primo piano la pista ciclabile in costruzione che ricorda moltissimo l'originale Ve' de Náscie.


In fondo a destra, in curva, vi era la frátte in cui nascevano spontanee le more. In primo piano la pista ciclabile in costruzione che ricorda moltissimo l'originaria Ve' de Náscie.


Il relitto stradale della vecchia Ve' de Náscie con la discesa ripida prima del passaggio a livello che era ubicato dove vi sono nella foto le reti di protezione in rosso.


Il vecchio tracciato de la Ve' de Náscie dove vi era il passaggio a livello.




Dopo il pasaggio a livello la vecchia Ve' de Náscie prima di riallacciarsi alla ex S.P. Buonanotte.



A la ve’ de Náscie è legato uno dei più forti spaventi della mia vita. Eravamo agli inizi degli anni ‘70 e la strada era stata da poco asfaltata. Una sera, Michele De Filippis, neo patentetato, si fece dare la Ford Taunus da suo padre e andammo a Vasto Marina. Arrivati al passaggio al livello,lo trovammo aperto. Michele si fermò sui binari, come si usava fare per non far sobbalzare l’auto. Guardammo a destra, con l’auto ferma sui binari. Nel buio, a poche decine di metri, due luci : “Lu trèeeeeeeene!!!”, gridai a Michele, al quale per lo spavento gli scappò il piede dalla frizione, facendo sobbalzare l’auto per interminabili istanti, prima di superare indenni i binari. Oltrepassammo il passaggio a livello, con il cuore che balbettava per la paura, e ci fermammo. Me z'avè quájáte lu sánghe (mi si era gelato il sangue). Eravamo salvi. Con il cuore in gola per lo scampato pericolo ci accorgemmo che il treno non passava. Scendemmo per andare a vedere: le luci che avevamo visto erano ancora lì , a qualche decina di metri dal passaggio a livello. Era un carrello ferroviario che stava facendo manutenzione alla linea ferroviaria, con le luci simili a quelle di un treno. Non dimenticherò mai quella notte e quegli interminabili istanti. Le puzzenealumaccete...

Fernando Sparvieri


San Salvo, 21 luglio 2016




I racconti del mare

di Fernando Sparvieri


(clicca sulle foto)

I pionieri del mare


Emilie de Felicìlle
(Emilio Del Villano)



Za' Vetaléne
(Vitalina Torricella)




Nicola e Gilda
Una storia d'amare




Dancing Bar Valentino



Scandalo al sole



El Domingo
(Domenico Angelini)




Altri racconti


Al passaggio a livello




Il mar rosso




La ve' de Náscie
(La via di Nasci)


Poesia

Mare me

(di Evaristo Sparvieri)



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Il mare di una volta


Quando se faciave
le bagne a lappe de mare




Il primo giorno
di primavera (2014)



Quando i sansalvesi
erano un po' gelosi




Il mare di una volta


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Il mare del 2000


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2° tentativo di intervista
al mare al Don Peppino de Vito




Finalmente! 2 chiacchiere
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Al mare con Don Peppine.



A jtta' lu sanghe a lu muáre.



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La fortuna diEvaristo


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MA CHI SAREBBERO
LI SALVANESE

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