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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti del mare

di Fernando Sparvieri

Un po' di storia locale raccontando personaggi








Za' Vetaléne
(La prima donna imprenditrice del nostro mare)


Eravamo nel 1963.

Il lungomare, il primo tratto, in fase di realizzazione, era solo qualcosa in più di una strada brecciata, quando un giorno, come un miraggio nel deserto, a qualche centinaia di metri più a nord rispetto al piccolo bar di Emilio Del Villano, vidi in lontananza, una fila di cassotti.

"I casotti? Che meraviglia!", esclamai.

In verità i casotti non erano una novità assoluta per il nostro arenile perché già da qualche anno, il maestro elementare Ugo Marzocchetti, per primo, e poi il suo collega Aldo Germani, che d'estate trascorrevano tre mesi di vacanza al mare, ne avevano installati due di loro proprietà, uno azzurrino e l'altro giallino, con il permesso della Capitaneria di Porto, proprio accanto al piccolo bar di Emilio, spiaggia in cui mi portavano i miei genitori, anche loro maestri, quand' ero bambino.

Vederne però cosi tanti, tutte affilìte (allineati), uno dopo l'altro, peraltro tutti di color celeste, che conferivano a quel tratto di litorale, per la prima volta nella sua storia, una parvenza di una spiaggia moderna, mi riempì d'orgoglio.

Preso dalla curiosità, mi avvicinai.

A colpirmi fu subito la presenza, tra gli addetti ai lavori, di una donna, già attempata, o forse così mi pareva (ai bambini le persone a quarant'anni, ieri più di oggi, già sembravano anziane), che con un fazzolettone in testa, forse per ripararsi dal sole, era la più attiva, imbracciando all'occorrenza gli utensili da falegname, dando anche l'impressione di dirigere i lavori.

Il montaggio dei primi casotti.


Ma chi era quella donna che a me sembrava già anziana e forse non lo era e che gne' na mastre anzegnáve? (come un maestra indicava il da farsi?).

Era Za’ Vetaléne (Vitalina Torricella 1915 -2007), sansalvese purosangue, che a ripensarci oggi, senza ombra di dubbio, può essere definita la prima vera "imprenditrice" del nostro mare.

La sua storia è quella di una donna d'altri tempi, al passo con i suoi tempi.

Figlia di Valérie, così chiamavano Valerio Torricella, capostipite di un' antica famiglia di trainìre (carrettieri), che possedeva nella sua scuderia anche uno stallone per la riproduzione dei cavalli ed anche, ahimé, un carro funebre, aveva sposato Michele Colecchia (mastre Mecchéle), palatese, falegname, che aveva la putéche (il laboratorio) in XIII Corso Garibaldi, vicino alla caserma dei carabinieri

Donna molto energica, come del resto gli altri componenti della sua famiglia d'origine, Za’ Vetaléne portava, come si suol dire, gonna e pantaloni e sapeva fare di tutto: svolgeva il classico ruolo di mamma di famiglia, come tante altre nostre nonne, e sapeva trasformarsi all'occorrenza anche in artigiana, dando una mano al marito in bottega. Era lei, ad esempio, a dipingere a mano fiure e fiurétte (disegni ornamentali di fiori grandi e piccoli) sulle sponde de le trajéne (dei carretti) ed a richiesta, sopratutto sui carri per i buoi dei casolani, a 'rtrattà (a ritrarre) Sant’Antonie nghe lu purcàtte e la vaccarélle (Sant'Antonio con il maialino e la mucca), piccoli ornamenti che a quei tempi erano una specie di optional, paragonabili a quei portafoto con la calamita che si appiccicavano sui cruscotti delle automobili negli anni '60, raffiguranti San Cristoforo, protettore degli automobilisti, su cui vi erano scritti: "Vai piano. Sii prudente" o "Proteggi me e la mia famiglia".

Era anche donna molto generosa, così come suo marito Michele, che nell'immediato dopoguerra ogni tanto le riportava a casa dei poveri diavoli incontrati per caso, offrendo loro un piatto di minestra ed un giaciglio, in un angolo della bottega. Accolsero nella loro casa un pittore di passaggio, di origini venete, un certo Sor Arturo, il quale giunto a San Salvo trainando con sé una carriola, non ripartì mai più, finendo il resto dei suoi giorni nel nostro paese. Stessa ospitalità diedero a Giovanni, un falegname napoletano, che fuggito di casa, dava una mano in bottega ad un ignaro Michele. Fu proprio, lei, Za' Vetaléne che lo convinse di tornare dalla sua famiglia, quando un giorno le si presentò in casa la moglie, che disperata lo cercava.

Era quindi donna di un mondo antico, forte e gentile.

Ma come le era saltato in mente, così all'improvviso, di mettere quei casotti al mare, quando al mare non ci andava ancora nessuno o quasi?

Il motivo è semplice e si ricollega ad una nuova mentalità che negli anni '60, agli albori del boom economico italiano, investì un po' ovunque il mondo degli artigiani, portandoli a diventare imprenditori. E' il caso, ad esempio, di molti frabbicatìure (muratori), specialmente della vicina Vasto, che jettarene la cucchiére da mástre (abbandonarono la cazzuola) per diventare noti appaltatìure (titolari di imprese di costruzione), oppure di molti calzolai che divennero commercianti aprendo negozi di calzature.

Tornando ai casotti, a dire il vero, l'idea non era sua, ma del marito Michele.

Michele, infatti, che come già detto era originario di Palata ed un po' come tutti i palatesi aveva l’occhio lungo, era uomo ingegnoso e pieno di iniziative, così come i suoi tre cugini, Antonio, Giuseppe e Nicolino Colecchia, muratori, che si erano ficcati in testa di costruire palazzi nell' ancora deserta marina, idea che si avvererà solo qualche anno più tardi, quando l'impresa Colecchia ne costruirà alcuni, tra cui i due dove oggi vi è il Bar Beat Cafè.

Michele pensò: “Se i miei cugini, muratori, vogliono costruire le case, io falegname, farò i casotti”.

Ne parlò in famiglia e dopo averne realizzati ben 13 durante l'inverno, li portò l'estate successiva al mare.

Nacque così, alla marina, un altro "stabilimento balneare", il secondo dopo quello di Emilio Del Villano.

In realtà più che di uno stabilimento balneare vero e proprio (a quei tempi non si usava chiamarlo così, ma più semplicemente ha messe le casutte a lu muáre - ha messo i casotti sulla spiaggia), si trattava di una primitiva forma di attività a conduzione familiare, a cui partecipavano anche i figli Lillino (Nicola), Venerina e Beatrice, così come succedeva anche al bar di Emilio, in cui gli davano una mano la giovane moglie Pina, marchigiana, suo padre Antonio ed il cognato Donato Corrado, marito della sorella Antonietta.


1967 - Zia Vitalina, al centro, in primo piano. Da sin. i figli Beatrice, Lillino e Venerina


Erano quelli ancora i tempi in cui la famiglia, nella buona e cattiva sorte, era sacra e solidale, così come l'amicizia, e ci si dava a vicenda una mano.

Forse anche per questo motivo l'arrivo de Za' Vetaléne al mare, non turbò più di tanto i sonni di Zio Emilio Del Villano, che l'accolse con amicizia. I due, infatti, andavano perfettamente d'accordo anche perché tra loro non c'era concorrenza alcuna, non essendovi nulla da spartire. Le due attività, anzi, erano complementari e si integravano perfettamente tra di loro: Zio Emilio aveva solo il bar e vendeva le bibite; Za' Vetaléne, invece, affittava solo casotti, anche a potenziali clienti di Zio Emilio.

Il fatto, poi, che nessuno dei due affittasse gli ombrelloni, perché all'epoca così si usava, contribuì a non creare mai alcuna rivalità tra di loro. Ricordo che Zio Emilio, l'unico ombrellone che aveva era quello della pubblicità della Birra Peroni, che la sera rientrava dentro il chioschetto. Za' Vetaléne, invece, usava il suo, personale, al pari dei suoi i clienti.

Insomma i nostri due primi pioneri del mare, andavano, come si suol dire, d'amore e d'accordo, tant'è che Zio Emilio, al mattino, con la sua 500 FIAT, spesso dava un passaggio alle giovanissime Venerina e Beatrice, figlie di Za' Vetaléne, perché Lélline, il figlio maschio, che aveva comprato anch'egli una 500, era studente universitario a Bologna ed era sempre fuori sede per motivi di studi.


Sullo sfondo il Bar di Zio Emilio con ragazzini che giocano al bigliardino. In primo piano, da sin. Vitale Checchia, Fernando Sparvieri e Franco Germani, figlio del maestro Aldo, mentre giocano a "asse peja titte" (asso piglia tutto)..



A sin. il casotto del Maestro Ugo Marzocchetti ed a destra l'altro del maestro Aldo Germani. La ragazza in prima fila al centro è Giuseppina Germani, figlia del maestro Aldo, con due amiche.


Ma come funzionava lo stabilimento balneare di Za' Vetaléne?

Tutto funzionava all'incirca in questo modo: io, cioè Zia Vitalina, ti affitto il casotto e tu ci metti dentro tutto quello che vuoi. Puoi metterci dentro il tuo ombrellone, le costume (i costumi da bagno), le sìggile a sdraje (le sdraio), li sìggilàlle (le sedioline dei bambini), lu tragnetèlle, la pàlàlle e lu rastrillìcce de le quatréle (il secchiello, la paletta ed il rastrello dei bambini), le pajàtte de le grusse e piccirìlle (le pagliette degli adulti e dei piccoli), lu materazzéne pe jè fa li bagne e quàlle che l'abbotte nghe lu péte (il materassino da mare e la pompa per gonfiarlo con il piede), li tamburrélle (i tamburelli, gioco che tanto andava di moda a quei tempi sulla spiaggia)... insomma ci puoi mettere dentro tutto quello che vuoi e che ti può servire per il mare, nghe la cumudità (con la comodità, il vantaggio) de ne fa sàtte e sàprue (senza doverteli portare sotto e sopra ogni giorno), come se ti fossi affittato uno chalet sull'arenile.

Costo stagionale pacchetto completo: £. 20.000 a casotto. In omaggio nu banghètte (piccolo sedile in legno), che però l'ha da' 'rpusa' (lo devi restituire) a la féne de la staggiàune (a fine stagione balneare).

Zia Vitalina, dinanzi ad uno dei suoi casotti, seduta sopra nu banghette. Dietro di lei, sulla porta del casotto, la figlia Venerina.


Fu un successone. L' idea si rivelò vincente

Si presero un casotto tutti i signori del paese e non solo.

I loro nomi?

Do’ Marie, il medico, e donna Lidie Artese, coniugi, don Peppine de Véte, altro medico e donna Aurore, coniugi anch'essi, do’ Marie lu farmaceste (don Mario Di Croce, il farmacista), il maresciallo Rocco Di Biase, che comandava la stazione dei carabinieri, lu mèdeche Tille (dr. Tilli Goffredo), il medico condotto (così si chiamava all'epoca l'ufficiale sanitario), do' Rolande la poste e donna Marì Labbrózze (don Rolando Cirese e sua moglie donna Maria Labrozzi, coniugi anche loro, rispettivamente direttore ed impiegata dell'ufficio postale), donna Pije Artese, appartenente ad una famiglia benestante sansalvese, le sorelle nubili Delia e Milena Artese, appartenenti a chelle de don Pitre (famiglia di Don Pietro Artese), Leone Balduzzi, commerciante in ascesa.

A questi se ne aggiunsero altri, provenienti da fuori, come ad esempio un certo signor Bossi, industriale del nord (quel certo, era molto usato già a quei tempi, quando non si conosceva l'identità esatta della persona o non la si conosceva bene), un certo signor Antonio Falciglia, cugino di Do' Marie Artese, che si diceva fosse un pezzo grosso dell’Ufficio delle Imposte Dirette a livello nazionale, che pare arrivasse addirittura in elicottero atterrando a Vasto, ed un certo sig. Gino Peroni, riminese, che nel '63 chiederà la prima licenza edilizia per realizzare la prima palazzina condominiale su quel desolato arenile (condominio Peroni), ultimando i lavori nel '68. Insomma si presero un casotto tutta la signuruáme (i signori) del paese, più qualche pezzo grosso forestiero, che elle ze maffejévene (che sulla spiaggia ostentavano eleganza).

L'idea si rivelò talmente proficua che l’anno appresso Michele, sulle ali dell'entusiamo, durante l'inverno successivo, ne costruì altri 7 di casotti. Ma questa volta, purtroppo per lui, non aveva fatto bene i suoi calcoli: li signiure z’ave' finìute (i signori erano terminati) e ave' 'rmise sole le cafìune (ed erano rimasti solo i contadini) e così i suoi nuovi casotti rimasero spéccie (vuoti).

Per niente avvilito, ebbe un'idea: installarli nella vicina marina di Petacciato, ma anche qui fece cilecca: era chiù la 'mpràse che la spàse (era più l'impresa che la spesa), per cui l'anno dopo se li riportò a San Salvo, sperando in un incremento demografico signorile.

Da sin. in piedi Beatrice, figlia di Zia Vitalina, Milena e Delia Artese, appartenenti a chelle de Don Pitre, e Zia Vitalina Torricella. Seduta a sin. sulla sdraio, la nipote Annina Fabrizio in De Nicolis, ed alla sua destra Venerina, figlia maggiore di Zia Vitalina. Sullo sfondo si intravede un pilastro del chioschetto di Emilio Del Villano.


E così, mentre qualche contadino continuava ancora ad andare al mare nghe lu trajéne, mettendo un lenzuolo tra le sdanghe (le stanghe del carretto) per creare un po' d'ombra, i signori trascorrevano felici e spensierati le loro giornate balneari dinanzi ai casotti, come in un oasi non tra le palme, ma tra le jngie (ammophila arenaria, arbusto selvatico, come quelli ricresciuti nella sabbia nell'attuale biotopo).

Senonché... una notte, mentre i loro costumi dormivano sonni tranquilli dentro i casotti, ecco a la spruvvéste (all'improvviso) ca ze chìude ciìle e terre (chiudersi cielo e terra, nel senso di forte tempesta).

Finaziàune de mànne!!! (Sembrava la fine del mondo, un apocalisse). L'acque a zeffìnne! (Una pioggia tempestosa). Vìmmute e silìstre (tuoni e fulmini). Sembrava ca lu Patratérne z'ave' caliti le cazzìune e 'nze l'arzave chije! (che il Patreterno si fosse calato i pantaloni e non se li rialzava più - modo di dire quando non smette mai di piovere).

Il vento si fece impetuoso e ahimè spazzò via come fuscelli i casotti, mentre li cavallìune (onde giganti), buttarono per terra, per l'ennesima volta, il piccolo bar di Zio Emilio.

Che sensazione, il giorno seguente: 'na rése e nu chiante! (una risata ed un pianto).

Zio Emilio arneháve (bestemmiava). Il povero Michele, tutto sconsolato, andava raccogliendo pezzi di casotto che erano volati al di là del lungomare; i signori, invece, javéne arcujénne le costume spatrijte pe lu mare a fóre (andavano raccogliendo i loro costumi da bagno sparsi per l'arenile), molti dei quali ave' vulite féne a la pinéte (erano volati via sin dentro alla pineta).

La tempesta, nonostante il logico scoramento che assalì i nostri due balneatori, non sconvolse più di tanto i loro piani: Zio Emilio ricostrui per l'ennesima volta il suo chioschetto, mentre l'intraprendente Michele, escogitò un nuovo sostegno alla base dei suoi casotti, applicandovi dei paletti in legno, inseriti nella sabbia, come delle palafitte insabbiate.

Poi, forse per farsi perdonare dai signori, che erano andati arcóje le costume a la pinéte, realizzò, sempre in legno, dei portaombrelloni color celeste, che conficcò nella sabbia, dentro i quali li signìure potevano infilare le mazze de lu 'mbrullàune (il paletto inferiore del'ombrellone) senza fareze ascie' lu pallàune (farsi uscire l'ernia per la fatica).

Ma le novità non finirono qui.

Non tardò tempo che acquistò due mosconi, i primi nella storia della spiaggia sansalvese, che arrivarono con il treno, alla vecchia stazione ferroviaria, da Senigallia.

I loro nomi? Lella e Patricia.

Quei mosconi andavano a ruba. I giovani facevano la colletta per farsi un giro su quei pattini e fare un tuffo al largo. Spesso, tra il disappunto di Za' Vetaléne, vi salivano sopra più bagnanti del numero consentito, con qualcuno anche attaccato dietro, e qualche altro che non sapeva neppure nuotare.


11 agosto 1963 - Beatrice. ai remi, con due amiche sul moscone Patricia.


Eh sì ! Doveva essere davvero un uomo all'avanguardia Mastre Micchéle. Aveva tante idee che j ferluccujèvene (gli frullavano) in testa. Figuratevi che nell'immediato dopoguerra, con i pezzi dei relitti dei carri armati abbandonati, realizzò dei macchinari elettrici per la sua bottega da falegname, avvalendosi della collaborazione di Don Secondo Artese, il padre del futuro onorevole Vitale Artese, che era esperto in elettricità avendo realizzato, prima della guerra, una centrale idro elettrica lungo il fiume Trigno, con la quale irrogava elettricità prima nei Comuni di Lentella e Fresagrandinaria, e poi a San Salvo.

Seduto sopra ad un banchetto, mentre legge il giornale, di spalle, Mastro Michele Colecchia. Da destra le figlie Beatrice e Venerina, con un amica.


Chissà cosa avrebbe combinato ancora a quei tempi il signor Michele se non avesse avuto, per modo di dire, un freno, che erano un po' i suoi figli, che avevano ben altre aspirazioni nella mente.

In una società che stava mutando, in cui tutti i giovani cominciavano ad andare a scuola a Vasto per prendersi il diploma, e si iniziavano ad intravvedere altri tipi di occupazione, anche i suoi figli avevano ben altro per la testa e non mostravano, così come tanti altri ragazzi compaesani, molto entusiasmo nel continuare le attività dei genitori.

Lilline, che poi diverrà professore universitario, era studente, sua figlia Venerina faciave la majàre (aveva aperto a casa uno dei primi laboratori per la manifattura artigianale delle maglie), Beatrice, l'ultima, era studentessa in ragioneria a Vasto ed aspirava ad entrare a lavorare come impiegata, come poi avverrà, alla costruenda SIV e giustamente... i figli, non avevano molta intenzione di je' schumue' sanghe a lu mare (di andare al mare per lavorare). Era meglio andarci solo pe fa' li bbagne (era meglio andarci per fare i bagni, come normali bagnanti).

Nonostante i suoi figli, a quanto pare, non credessero molto nello sviluppo futuro di quella attività al mare, forse anche a causa di una spiaggia quotidianamente quasi sempre semideserta, il seme del balneatore, in loro, era stato però piantato.

Oggi quello stabilimento balneare, un tempo costituito da soli casotti, è ancora lì ed è all'avanguardia: il suo nome è IL CORALLO ed è gestito dagli eredi di Za'Vetaléne e Michele, fatta eccezione per Lellino, il professore universitario, che vive a Milano.

Sulla destra una parte dei casotti di Zia Vitalina. In primo piano il genero Enzo D'Ambrosio, marito di Beatrice e sullo sfondo, di spalle, che si allontana, mastro Michele Colecchia.


Eh si! Sono davvero lontani i tempi in cui al mare non ci andava nessuno o quasi e che Za'Vetaléne affittava i casotti solo a li signìure (ai signori), come se fossero dei piccoli chalet in legno, giù al mare.

Ed a proposito di chalet, una volta successe pure nu scialàtte (una piccola lite, parola dialettale sansalvese forse derivante da siparietto o dall'inglese "piccolo show").

Successe che una famiglia di signori ave' magnate nu citràune (aveva mangiato il cocomero) e ave' jttìte li scórcie (aveva buttato le buccie), dinanzi al suo casotto.

“Ma chi sono questi zulu!", esclamò Lillino, con il suo raffinato italiano, alla vista di quello spettacolo indecente.

Apriti cielo. Non l'avesse mai detto.

Si sfiorò l’incidente diplomatico e non solo. Pare che il cocomero se l’era mangiato una famiglia che si diceva annoverasse tra le sue fila anche una famosa fattucchiera.

A nulla valsero le scuse e le suppliche de Za' Vetaléne.

Si temette addirittura per l’incolumità fisica del povero Lillino, a cui, si dice, pare succedessero di notte ed alla guida della sua auto, cose strane.

Erano davvero altri tempi quelli.

Tra il progresso e credenze popolari.

Tempi belli.

Irrepetibili, come la mia gioventù.


San Salvo, 6 Agosto 2016






I racconti del mare

di Fernando Sparvieri


(clicca sulle foto)

I pionieri del mare


Emilie de Felicìlle
(Emilio Del Villano)



Za' Vetaléne
(Vitalina Torricella)




Nicola e Gilda
Una storia d'amare




Dancing Bar Valentino



Scandalo al sole



El Domingo
(Domenico Angelini)




Altri racconti


Al passaggio a livello




Il mar rosso




La ve' de Nascie
(La via di Nasci)


Poesia

Mare me

(di Evaristo Sparvieri)



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Il mare di una volta


Quando se faciave
le bagne a lappe de mare




Il primo giorno
di primavera (2014)



Quando i sansalvesi
erano un po' gelosi




Il mare di una volta


Video
Il mare del 2000


1° tentativo di intervista
al mare al Don Peppino de Vito




2° tentativo di intervista
al mare al Don Peppino de Vito




Finalmente! 2 chiacchiere
al mare con Don Peppine.



E gne' auánne pìure auánnechebbe'.
Al mare con Don Peppine.



A jtta' lu sanghe a lu muáre.



Lu svuntulaturie



La fortuna diEvaristo


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Lo sbarco di San Nicola


Il barcaiolo di San Nicola



In mare con San Nicola
video di marco Granata



Lo sbarco di San Nicola


Notte rosa 2013






Scorci di mare


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Ciao Mare

Nostalgia- lockdown COVID19


I racconti di Fernando Sparvieri

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Gente, usi e costumi del mio paese




Un libro sul web

MA CHI SAREBBERO
LI SALVANESE

di Fernando Sparvieri

Indice

I forestieri a San Salvo
















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