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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti del mare

di Fernando Sparvieri

Un po' di storia locale raccontando personaggi








Nicola e Gilda
(Una storia d'amare)


Correva l'anno 1965 ed anche San Salvo finalmente si era messa a correre.

Correvano le automobili sulla litoranea, dove Virgilio Cilli nel 1964 aveva aperto una moderna stazione di servizio Agip, correvano sui binari a la staziàune (alla stazione ferroviaria) le prime locomotive elettriche, che da qualche anno avevano sostituito i treni a carbone, correvano gli operai della SIV che proprio in quell'anno aveva aperto i battenti, correvano per tornare a casa giovani emigranti con la speranza di un posto di lavoro, insomma correvano un po' tutti a San Salvo, insieme all'Italia, che dopo lungo torpore, con il boom economico di quegli anni, sembrava essersi finalmente destata.

Chi dormiva sonni profondi, o meglio correva pianissimo, era ancora il nostro mare, nonostante il lungomare.

Il lungomare! Croce e delizia.

Da qualche anno in costruzione, con il suo muro in mattoni ed il fondo stradale bianco e brecciato, sembrava una ferita, lunga un chilometro, alla vegetazione selvaggia, un' incompiuta perenne nel deserto.

Non era facile arrivarvi. Un viottolo battuto sulla sabbia (attuale Via. A. Doria), era l'unica stradina per giungervi e dopo circa 700 metri di selvaggio arenile, giunti più su, dopo una folta ed inestricabile pineta, che la Forestale aveva piantato, decretando  per sempre la vicinanza della costruenda strada alla riva, finalmente il lungomare, che si rialzava all'improvviso dal livello del mare, da cui si sgorgeva in solitario il barretto in mattoni di zio Emilio Del Villano.

Più in lontananza, ma solo d'estate, si intravvedevano i casotti di Za' Vetaléne Torricella e ancor più giù, tra lo sfarfallio dell'aria al sole, la baracca delle monache, che qualcuno ogni anno montava, per riparare, le suore ed i bambini della colonia, dal sole che 'ntunuáve (che picchiava).


Vista del lungomare, ancora in corso di realizzazione. Il primo tratto partiva dalla pineta della forestale e si concludeva alla piazza in fondo (attuale zona dello stabilimento balneare LA CARAVELLA) . In primo piano , sulla sinistra,  alcuni casotti de Za' Vetalene Torricella e sullo sfondo la baracca delle monache per la colonia.



Bambini sansalvesi alla colonia marina delle suore. In primo piano la bellissima suor Rosa, molto ammirata dai sansalvesi.



L'imbocco del lungomare in costruzione, nel tratto in cui saliva di qualche metro dal livello del mare, per renderlo sopraelevato. Il lungomare venne realizzato prima di Via Arenile, oggi Via A. Doria, che all'epoca, come già scritto, era ancora una stradina in sabbia battuta, a livello del mare. A destra si intravedono kil chiosco di Emilio Del Villano con la bandiera italiana sul tetto, appena ricostruita dopo l'ennesima mareggiata, i due casotti dei maestri Ugo Marzocchetti e Aldo Germani e due auto: la FIAT 500 di Emilio Del Villano ed il 1100 nero FIAT del maestro Ugo Marzocchetti.




ANNO 1964 - La stagione di servizio AGIP del Cav. Virgilio Cilli, realizzata sull'arenile, aperta quasi in contemporanea con l'inaugurazione del tratto di S.S. 16 S.Salvo - Punta Penna di Vasto. Nella foto a destra, non visibile, vicino alla Masseria, vi era il viottolo sulla sabbia battuta (oggi Via A. Doria), che declinava in pochi metri a livello del mare, che conduceva al 1° tratto del lungomare per molti anni rimasto brecciato in fase di ultimazione.


Quanta desolazione in quel mare.

Non vi era un solo palazzo nel raggio di chilometri, una sola luce a squarciarne il buio pesto della notte.

Solo la luna.

E che luna!

Ma chi andava a guardarla quella luna!

Nessuno.

All'imbrunire, tutti a casa.

A Vasto Marina, invece era diverso.

Vi erano le villette signorili, la chiesetta di Stella Maris, il lungomare con le sue case, negozi e negozietti, alcuni alberghi, il mercato ittico, il pontile ed una bellissima spiaggia da far invidia a località turistiche molto più famose, come Rimini e Riccione, in cui tutti i giovani sognavano di andare a far conquiste. La sera si ballava al Dancing da Mimì con cantanti ed ospiti che conoscevamo per averli visti in bianco e nero in televisione, si organizzavano gare di complessi beat a la Ciucculella, insomma Vasto Marina stava avanti anni luce ed era tutto un altro pianeta.

Checché se ne dica, vi era un abisso, incolmabile in quel periodo, tra le due spiagge e non solo.

Nonostante noi sansalvesi avessimo forse la spiaggia più larga e più lunga del mondo, 2 Km di lunghezza e quasi un chilometro di larghezza, pagavamo ancora lo scotto di una secolare mentalità contadina, di un'atavica ritrosia nei confronti del mare, al contrario dei vastesi, che da sempre, con i pescatori, avevano avuto un rapporto diretto e d'amore con il loro mare.

La spiaggia di Vasto Marina nei primi anni '60 -In primo piano "La rotonda sul mare "Dancing da Mimì". Sullo sfondo l'immenso arenile di San Salvo ancora ricoperto da vegetazione selvatica.


San Salvo Marina non c'era, proprio non esisteva.

Nessuno, infatti, si sarebbe mai sognato, all'epoca, di chiamarla con questo nome. Si chiamava a lu muàre (al mare) e basta. Prima del mare, nel senso d'orientamento dei sansalvesi, c'era la staziàune (la stazione ferrovaria) e poi, passato il passaggio a livello,  lu muáre (il mare), con le sue terre aride e sabbiose (C.da Marinelle), che negli anni '30, ancor prima dei terreni del Bosco Motticce, erano state date in enfiteusi dal Comune ai contadini, che non avevano capito un accidenti del valore futuro di quella sabbia e ne avevano ceduto il possesso ad altri venuti da fuori, che già da allora avevano l'occhio lungo (è lunga e complessa la storia di San Salvo Marina).

In un contesto sociale, economico e culturale appena descritto, in cui nessun altro sansalvese, ad eccezione di zio Emilio e za' Vetalene, avrebbe avuto il coraggio di scommettere una sola lira sul futuro del nostro mare, ecco un bel giorno arrivare una giovane coppia di sposi, forestieri, che scriveranno un'altra pagina indelebile della storia della nostra marina.

I due giovani si chiamavano Nicola Scafetta e Gilda Smargiassi e guarda caso, erano vastesi.

Lui, Nicola, era un bel ragazzo, con un fisico armonico ed i muscoli giusti. Gilda, invece, era semplicemente bellissima, una specie di Venere bruna, sbarcata per caso sulla nostra spiaggia.

Si erano giurati eterno amore quand'ella aveva compiuto sedici anni appena e da allora avevano deciso di navigare insieme nel mare della vita.

Ed il mare della loro vita, il mare in cui avrebbero trascorso insieme gli anni più belli della loro gioventù, era il nostro mare, che il destino, a loro insaputa, aveva loro riservato in sorte, e che da quel giorno sarebbe divenuto per sempre, per l'eternita, il loro mare.

La storia di Nicola e Gilda, giovani pionieri del nostro mare, inizia più o meno così.

Un giorno, Zi' Fióre, noto balneatore vastese, si recò nella bottega di Nicola, che faceva il falegname, ordinandogli di costruirgli dei casotti. Nicola, entusiasta per la commissione, si mise al lavoro e "casotti casotti" facendo, forse perché così gli disse la testa o perché così aveva deciso il destino, ne realizzò cinque in più.

Grande fu la sua delusione quando si rese conto che a Vasto li púste (i posti spiaggia) ze l’avévene già tutte carnijte (se li erano già tutti accaparrati - deriv. da carne sbranata come lupi famelici).

"E mo’ ‘ndo vi?" (E adesso dove andrai?), gli disse Gilda in dialetto vastese, parafrasando il famoso cartello che era apparso nel 1959 in diretta televisiva RAI da Piazza Rossetti, in occasione della memorabile sfida a “Campanile sera” tra Vasto e Mondovì (TO), vinta dai vastesi.

Nicola, le rispose: "Me ne vaje a Sante Salve, addo’ ci sta tutte lu láreche che vu!" (Me ne andrò al mare di San Salvo dove c’è tutto il largo che vuoi).

Ma ti si sciminàte!”, gli rispose Gilda, “A léche è nu duserte!” (Ma sei diventato pazzo! Lì e un deserto!).

Tu 'nti ni ‘ncarica'! Ci penze jàje” (Tu non preoccuparti! Ci penserò io), concluse Nicola.

E Nicola ci penso davvero. Tornò in bottega, realizzò un chiosco per il bar, che aggiunse ai cinque casotti che già aveva, e l'estate successiva, con un camioncino carico di sogni e di speranza, approdò al nostro mare.

Chiamò la sua creatura IL GAMBERO.

La sua ubicazione? Tra Zio Emilio e Za' Vetalene.

Nicola e Gilda seduti dinanzi al chiosco bar del"Il Gambero".alle loro spalle il bancone: una finestra sul mare.


Non so quale fu la reazione di Zio Emilio e de Za' Vetaléne, i nostri due unici balneatori, all'arrivo di quel camioncino, ma immagino che una certa apprensione iniziale in loro si determinò.

Il fatto che Nicola, avesse il bar, così come l'aveva zio Emilio, e contemporaneamente affittasse anche i casotti, così come li affittava Za' Vetaléne, probabilmente un certo timore concorrenziale nei due, almeno all'inizio, lo provocò.

"Tante!", forse pensava Zio Emilio, che vendeva una diecina di birre, quattro aranciate e tre gazzose al giorno, " Li clijnd'a mi' è tutte salvanése. E chi vo' fa'!!!" (Tanto! I miei clienti sono tutti salsalvanesi. Cosa vuoi che faccia!"

"Tante!", forse pensava Za' Vetalene, che riusciva ad affittare i casotti solo ai signori del paese, "li signiure a stu pajase z'è finìute. E chi vo' fa'!!!" (Tanto! I signori del paese sono finiti. Cosa vuoi che faccia!")

Ed invece Nicola fece.

Anzi, fece talmente in fretta che non ebbe il tempo manco di posarli sulla sabbia quei casotti, che subito li affittò.

Ma chi erano questi suoi clienti, che, come si dice a San Salvo, non gli fecero dire manghe Gisì (non gli fecero esclamare neanche Gesù), nel senso che non gli fecero neppur aprir bocca?

Erano li tuschuéne (i toscani), operai specializzati nel settore vetrario che si erano trasferiti proprio in quel periodo a San Salvo, dalla Saint Gobain di Pisa, per lavorarare alla SIV.

A riempire il bar, invece, ci pensarono subito i giovani, che arrivarono come cavallette, attratti dalla novità e dal profumo di gioventù.

E come dar loro torto.

Era davvero un gioiello IL GAMBERO, piccolo ma carino.

Il chiosco era come una finestra che si affacciava sul mare, con il davanzale che fungeva da bancone, sul quale la bellissima Gilda, poggiava le bibite per i clienti. A darle una mano, dietro il bancone, vi era Grazia, sua sorella minore, che in fatto di grazia era più graziosa del suo nome ed ogni tanto arrivava Tonino, il fratello di Nicola, un ragazzo alto e biondo, che in fatto di bellezza, naturalmente maschile, era anch’egli un bel campione.

A destra Grazia, sorella di Gilda. Al suo fianco Tonino, fratello di Nicola.


Per dargli un tocco di classe, Nicola gli aveva appeso du' násse (due nasse in giungo), che pendevano dalla copertura de cannézze (cannuccie) del portichetto anteriore, che conferiva al chioschetto l’aspetto di una casetta da pescatore.

L’ allegria dei giovani e la presenza dei toscani, che parlavano in italiano, o almeno così pareva, iniziò a far mutare, soprattutto nei ragazzi, il modo di trascorrere il tempo al mare. Qualche giovane iniziò addirittura a spizzichije’ (a non parlare più in dialetto), e tutti insieme, in sintonia anche con i primi programmi della RAI, che proprio in quegli anni trasmetteva “Giochi senza frontiere" in eurovisione, iniziarono a divertirsi in giochi di gruppo, tra cui la mitica “Caccia al Tesoro”, che divenne per certi versi un vero tormentone.

Nicola, intanto, non è che se ne stava lì con le mani in mano, anzi. Era lui che aveva in mano tutta l’organizzazione e provvedeva anche alla manutenzione.

Solo ogni tanto si concedeva una distrazione, colpa di una sua antica passione.

Ogni tanto, lasciava barrácche e burattàjne (baracca e burattini), e jav’acchiappa’ li cannille (se ne andava per cannolicchi), per i quali nutriva una grande predilezione.

Insomma, con l'arrivo dei toscani, che affittarono i cinque casotti di Nicola, l’allegria dei giovani, e la presenza costante di Gilda e Grazia dietro il bancone, quello spicchio d'arenile iniziò a mutare volto. Era come se non si stesse più al mare di San Salvo, ma in un'altra dimensione. Sembrava di stare a Viareggio o a Lido di Camaiore, come se in quella spiaggia, ancora semideserta, non vi fosse più desolazione.

Nicola mentre effettua operazioni di pulizia dell'arenile.


Ma alla desolazione stava per aggiungersi la disperazione.

Un fenomeno imprevedibile, inimmaginabile, si stava lentamente impossessando del nostro mare: l'erosione marina.

Il mare incominciò a mangiarsi metri e metri di spiaggia ed un giorno le onde si infransero contro il lungomare.

Il lungomare!

Croce e delizia.

Con tutto lo spazio che c'era, era stato realizzato proprio lì, a due passi dal mare.

Intanto, alle sue spalle erano sorti i primi palazzoni, poi altri, e poi altri ancora.

Centinaia di lampioni offuscavano di notte il chiarore della luna ed anche il lungomare era stato prolungato sino a lu mare de Nascie (a Buonanotte), dove un tempo andavano a fa li bagne (al mare) solo li cafùne (solo i contadini).

Era trascorso più di un decennio e tutto era mutato, anche il volto di Nicola, che qualche ruga aveva segnato.

Un giorno le onde lambirono IL GAMBERO.

Era tempo di migrare.

"E mo’ ‘ndo vi?" (E adesso dove andrai?), gli disse Gilda.

"Me ne vajè chiu' mmànte, a li Nereidi, addo' ci sta chiù láreche  e faccie 'na chése grósse grósse" (Me ne andrò più sopra, alle Nereidi, dove c'è più spiaggia e realizzerò una struttura molto più grande), le rispose Nicola.

Ma ti si sciminàte!!!” (ma sei diventato pazzo), l'ammonì Gilda in dialetto vastese “a elle ci vo' na váreche de quatráine!!” (lì ci vorrà una barca di denaro).

Tu 'nti ni ‘ncarica'! Ci penze jàje” (Tu non incaricartene, ci penserò io), concluse Nicola.

E anche questa volta ci pensò Nicola.

Fu così che Nicola, così come già aveva fatto zio Emilio qualche anno prima, che aveva dovuto abbandonare in tutta fretta il suo barretto invaso dalle onde, emigrando più a nord per costruire la sua Caravella, se ne andò anch'egli, ancora più a nord, vicino alle NEREIDI, dove vi era più arenile, per coronare un altro suo sogno: l' HAPPY DAIS.


HAPPY DAYS, lo stabilimento balneare realizzato nel 1978 da Nicola Scafetta.


Eh... sì... sono davvero lontani i tempi in cui quel ragazzo vastese, carico di sogni, casotti e gioventù, arrivò a lu muáre de Sante Salve (al mare di San Salvo), perché c'era tutto il largo che voleva.

Oggi, ringraziando Iddio, sotto gli ombrelloni stame gne' sardélle (stiamo come sardine), e ze spréchene frastíre e bancarélle (ed è pieno di turisti e bancarelle).

La notte ze cante e ze sóne (si canta e si suona) e pare da sta' a Rimene o a Riccióne (sembra di stare a Rimini o a Riccione.

Canda è belle lu muàre de Sante Salve me!!! (Quanto è bello il mare della mia San Salvo).

A me... però... sarà che sono un sognatore, mi è rimasto un chioschetto, nell'anima e nel cuore, una specie di casetta di un pescatore.

Lo conservo, lì, in un angolo del mio cuore... come un antico quadretto d'autore.


Nicola Scafetta seduto dinanzi al suo "Il GAMBERO".





San Salvo 11/8/2016







I racconti del mare

di Fernando Sparvieri


(clicca sulle foto)

I pionieri del mare


Emilie de Felicìlle
(Emilio Del Villano)



Za' Vetaléne
(Vitalina Torricella)




Nicola e Gilda
Una storia d'amare



Dancing Bar Valentino



Scandalo al sole



El Domingo
(Domenico Angelini)




Altri racconti


Al passaggio a livello




Il mar rosso




La ve' de Nascie
(La via di Nasci)


Poesia

Mare me

(di Evaristo Sparvieri)



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Il mare di una volta


Quando se faciave
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Il primo giorno
di primavera (2014)



Quando i sansalvesi
erano un po' gelosi




Il mare di una volta


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Il mare del 2000


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2° tentativo di intervista
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Finalmente! 2 chiacchiere
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Al mare con Don Peppine.



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La fortuna diEvaristo


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Il barcaiolo di San Nicola



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Gente, usi e costumi del mio paese




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MA CHI SAREBBERO
LI SALVANESE

di Fernando Sparvieri

Indice

I forestieri a San Salvo
















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