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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti del mare

di Fernando Sparvieri

Un po' di storia locale raccontando personaggi









EL DOMINGO
(L'ultimo antico pioniere del nostro mare)

La spiaggia delle incompiute


L'insegna dello stabilimento balneare El Domingo


Caramba que sorpresa!!!”, esclamò El Domingo, quando per la prima volta in vita sua vide la nostra playa (spiaggia).

Vamos hombre”, aggiunse subito dopo, a significare che quella playa dorada (spiaggia dorata), mai vista prima di allora, era davvero un cielo en la tierra (paradiso) per insediarvi una casa de baños (uno stabilimento balneare).

Si rimise il sombrero en la capeza (in testa) ed a cavalle, non su un vero caballo, ma a bordo della sua coche (automobile), se ne tornò a la Autoridad Portuaria (alla Capitaneria di Porto) di Pescara, da dove era partito qualche ora prima, chiedendo al suo ritorno in concessione un tratto di arenile, dinanzi alle NEREIDI, che proprio in quei giorni stava stagliando i suoi piani alti verso l'azzurro del cielo.

Correva l'anno 1974.

Finzione cinematografica messicana a parte, qualcuno a questo punto potrebbe obiettarmi:” Scusa! Ma è mai possibile che Domenico Angelini (classe 1941), alias EL DOMINGO, sansalvese purosangue, il noto gestore, oggi in pensione, dell’omonimo stabilimento balneare, prima di allora, cioè dell'anno 1974, non era mai sceso giù al mare, neppure per fare almeno un po' di jogging, come fa oggi quasi tutti i giorni?”. Aggiungendo: “Vuoi vedere che questo pseudo scrittore da strapazzo, che poi sarei io, che scrive mezzo italiano e mezzo in dialetto e ora pure spagnolo, parlando del nostro mare, ha preso proprio un bel granchio?”.

Ed invece granchio non è, e adesso vi spiego il perchè.

Il motivo è semplice: l'EL DOMINGO di cui sto parlando io, non è l'EL DOMINGO che pensate voi, cioè il nostro Domenico Angelini, che all'epoca per i sansalvesi era ancora Dumuéneche Rudéne o tutt'al più Dumuéneche La Cornice, essendo stato il primo in assoluto nel nostro paese ad aprire 'na puteche (bottega) di cornici per quadri e mazze de tendéne (aste per tende), chiamata per l'appunto La Cornice, ma è invece Domenico Verratti (classe 1944), originario di Sant'Eusanio del Sangro, che fu colui che per primo, in quel lontano 1974, realizzò l'ormai antico e storico stabilimento balneare della riviera sansalvese.

A quei tempi ancora molta acqua doveva passare sotto il ponte del fiume Trigno, prima che il nostro Domenico Angelini, sfociasse allegoricamente anch'egli nel nostro mare.

Sperando di aver chiarito l'equivoco di omonimia, prima di raccontarvi un po' di storia di questo ormai antico stabilimento balneare, l'ultimo prima dell'avvento del grande slam, che alle soglie del 2000 vide spuntarne ben altri 13 sulla spiaggia, credo sia opportuno, per onor di cronaca, rifare un po' di cronistoria, su cosa stesse effettivamente accadendo, in quel lontano 1974, nel nostro mare.

Giù alla marina, era ancora un cantiere aperto.

La costruzione delle Nereidi era in dirittura d'arrivo e la stagione dello "Scandalo al sole", che bloccherà sino agli inizi degli anni '80, il completamento di decine di palazzi al grezzo, era già nell'aria.

Ogni giorno, al di là del lungomare, sulla sabbia, spuntavano come funghi, nuove strutture in cemento armato e sul lungomare era un via vai di camion e de betunìre de Muléne (di betoniere della ditta F.lli Molino), che trasportavano calcestruzzo ed altro materiale edile.

Sulla spiaggia però nessuna novità. A nessuno pareva interessare la balneazione.

A parte zio Emilio Del Villano, il primo dei pionieri del nostro mare, che nell'estate del '72, a causa dell'erosione marina, dopo che il suo chioschetto gli era caduto per ben 7 volte a terra, si era trasferito a ridosso della piazza centrale del lungomare con la sua inaffondabile "La Caravella", gli altri tre balneatori erano rimasti tutti fermi ai loro posti.

Za' Vetalene Torricella (attuale IL CORALLO), era sempre lì, 'nceme (a sud est), nel primo tratto del lungomare e continuava ad affittare i suoi casotti ai signori del paese. Stessa ubicazione per il GAMBERO di Michele Scafetta, che solo nel '79, anch'egli a causa dell'erosione marina, realizzarà il suo nuovo HAPPY DAYS, spostandosi capabbálle (a nord-est) nelle vicinanze delle Nereidi, e dulcis in fundo, perchè era stato realizzato per ultimo, vi era il DANCING BAR VALENTINO, di Valentino Ottaviano, che lo aveva realizzato nel '71, a qualche centinaio di metri dall'imbocco del 2° tratto del lungomare.

L’unica novità, se di novità si può parlare, Giuseppe DiStefano era il casotto personale di Peppine la guardie (Giuseppe Di Stefano, all'epoca comandante dei vigili urbani), che l'aveva costruito egli stesso con le sue mani, essendo un ex falegname. Ci aveva scritto sulla porta “VIGILI URBANI”, così nessuno gli avrebbe detto che ci fi a hesse (cosa ci fai lì), dandogli anche una funzione istituzionale. Di colore a strisce biancoazzurre, come le maglie della U.S. San Salvo, il povero Peppino ne costruì tre in tre anni perché ogni anno il suo casotto j ze le purtave lu muáre (gli veniva portato via dal mare) e jave a sbatte a la Jugoslavie (andava a finire in Jugoslavia), modo di dire in sansalvese quando, specialmente con il garbino, qualcosa in mare viene spinto a largo. Povero Peppino, fu costretto anch'egli a ricomprarsi un ombrellone, abbandonando ogni velleità di bagnante istituzionale.

Inizi anni '70 - La Caravella dio Zio Emilio Del Villano da poco realizzata. Sulla destra la barracche della colonia marina comunale. Sullo sfonfo Le Nereidi ed alla sinistra si intravvedono alcune strutture in cemento armato.


Ciò che restava dell'immensa spiaggia di San Salvo, un tempo 2 Km x 1 di arenile (iniziava alla S.S.16), intorno alla prima metà degli anni '70, La battigia era piena di sassi che provenivano dal fiume Trigno, dopo la realizzazione dei lavaggi (i primi frantoi di pietre di fiume). Quel lungomare era divenuto una barriera ormai insormontabile. Sullo sfondo IL GAMBERO di Nicola Scafetta, prima che si trasferisse a nord realizzando l'HAPPY DAYS.


Eppure l'affluenza di bagnanti era aumentata.

Sopratutto la domenica, la spiaggia, che era ancora quasi tutta libera, si riempiva di ombrelloni, che la gente, nonostante fosse già iniziata da poco l'era degli ombreggi negli stabilimenti balneari, si portava in gran parte da casa.

Che i tempi stessero mutando, lo dimostravano decine e decine di automobili parcheggiate sul lungomare, ancora quasi tutte targate CH (Chieti), ad eccezione di qualche CB (Campobasso), che veniva dal Congo Belga o da lu pajase de le turtarélle (come veniva chiamata per sfottò la vicina provincia molisana), di qualche IS (Isernia), che aveva pochi numeri sulla targa perchè solo dal 1970 la provincia era nata, e di sporadiche FG (Foggia), città che a quei tempi era abbastanza lontana, nella mente più che nei chilometri.

A dire il vero qualche timida apparizione di targhe NA, CE, BN e compagnia napoletana bella, dopo la realizzazione della Bifernina e qualche anno dopo con il completamento della Trignina, già preannunciava il grande esodo estivo degli anni '80, ma a farla da padrone erano ancora per lo più le prime auto dei paesani e di cacche muntagnole (di qualche abitante dell'entroterra), a cui ad agosto si aggiungevano quelle degli emigrati, specialmente di quelli che erano all'estero, che tornavano a casa per le vacanze.

Che belle che erano quelle auto straniere. Tutte con un adesivo bianco, gne' n'ove allesse (come un uovo lesso) vicino alla targa, su cui c'era scritto CH (Svizzera), F (Francia) o D (Germania), obbligatorie per indicare lo Stato di provenienza, ci portavano con la fantasia in paesi lontani, quando l'Europa unita era solo un'utopia, un sogno lontanissimo da realizzare.

Erano inconfondibili quelle auto estere. Si riconoscevano ad un miglio marino di distanza.

Quelle francesi, ad esempio, in gran parte scaricarìlle (auto non di grandissima cilindrata, derivante da trappola per uccelli), come la Dauphine, la Simca 1000, l'Anglia, ad eccezione della Citroen Pallas, che a San Salvo ce l'aveva uguale lu medeche Tille (il dott. Goffredo Tilli, medico condotto), avevano tutte i fari gialli, obbligatori in Francia per la nebbia (manco se la Gallia fosse la Padania), mentre quelle tedesche, Ford Taunus e Escort, Opel Kadett, BMW e sopratutto qualche lussuoso Mercedes, che a San Salvo ce l'aveva solo Don Peppine (il dr. de Vito) ed era in procinto di comprarsela anche lu nutuáre (il notaio, soprannome di un noto commerciante benestante locale), erano quasi tutte super accessoriate, con l'autoradio della Grunding o della Philips sulla plancia. Tra le tante ve ne era anche qualcuna, generalmente Mercedes,  che si vedeva lontano un miglio terrestre che era di seconda mano, accessoriata, compreso il copristerzo, con quei soffici coprisedili di lana di pecora bianca artificiale, che facevano scappare solo a guardarli, con il caldo che faceva, rivoli di sudore sulla fronte e sulla schiena.

Per la gioia degli autisti e piccini, inoltre, non mancava lu cáccinélle che muvuàve la cóccie (cagnolino gadget con testa oscillante a 360° quando l'auto era in movimento), posto in bella vista sul ripiano posteriore del lunotto, che quando la macchina era ferma i bambini toccavano con il ditino pe farele trezzeca' (per fargli dondolare la testa), e quei portafoto calamitati sul cruscotto, con le fotografie dei propri familiari o della fidanzata, sui quali era scritto "Vai piano", "Proteggi me e la mia famiglia", con l'immancabile San Cristoforo, patrono degli automobilisti, che doveva salvare la pelle in caso di incidenti.

Allora le macchine si pensava dovessero durare una vita e si lavavano dinanzi casa con un bel tubo di plastica, da qualche anno in uso, che raramente però aveva la pressione giusta dell'acqua, che si cercava di crearla piazzandoci dinanzi all'uscita il dito indice o pollice, per farla sprizzare più forte, bagnando con gli schizzi prima i pantaloni, e poi la camicia con sotto la cannottiera, nel tentativo di affilare la direzione giusta.

Tutte, automobili italiane e straniere, nghe lu cáccinélle o senza, trovavano un posto gratis al sole, magari a fianche a 'na laparélle o a nu bidaune de la minnàzze (a fianco di un'Ape Piaggio o ad un cassonetto di plasticone verde dell'immondizia), mentre il lungomare, man mano che le auto parcheggiavano, si riempiva di colori.

Era davvero bella quella spiaggia la domenica: vista in lontananza sembrava un lungo vestito beige colorato a pois, un lunghissimo abito di Arlecchino sotto il solleone.

Il lungomare negli anni '70, pieno di auto parcheggiate, con il piano stradale elevato rispetto alla quota dell'arenile. A destra. sulla spiaggia notare l'erosione marina sopratutto a sud-est, con l'acqua che arrivò in quegli anni ad infrangersi contro il muro del lungomare. Al di là del lungomare una vasta distesa di sabbia, che a quei tempi era ancora selvaggio arenile. In fondo si scorgono le Nereidi.


In un clima estivo, più o meno di questo tipo, ecco un bel giorno arrivare, lui, EL DOMINGO.

Non so se abbia davvero esclamato “Caramba que sorpresa" quando arrivò per la prima volta nel nostro mare Domenico Verratti, alias El Domingo, anche perchè non era stato ancora ribattezzato con questo nome d'arte, ma qualcosa di simile certamente lo pronunciò. Ciò che lo colpì fu subito il lungomare, bello, lungo, asflatato, pareva una superstrada. Poi vide LE NEREIDI, appena imbiancate e subito pensò: "Se mi daranno un posto proprio qui davanti farò pepite d’oro”.

"Allora ti piace il mare di San Salvo?", gli chiese al suo ritorno in Capitaneria, il capitano.

"Bellissimo. Non c'ero mai stato", gli rispose Domenico Verratti.

Sembrerà strano, ma Domenico, nonostante San Salvo già fosse un affermato polo industriale, non ci era mai stato ed a dire il vero non sapeva neppure dove fosse. Era da poco ritornato dall'Australia e si era stabilito a Villa Andreoli, una frazione di Lanciano, da dove d'estate, se ne scendeva giù al mare alle Morge, nel Comune di Torino di Sangro, in cui aveva pensato di aprire un lido balneare.

Era stato proprio il capitano a consigliargli la nostra spiaggia, dopo aver constatato che alle Morge era già tutto occupato, e Domenico, ora che per la prima volta aveva conosciuto il nostro mare, se ne era letteralmente innamorato, e per nessun altro posto al mondo lo avrebbe mai cambiato.

"Signor capitano", gli chiese Domenico, "ho visto Le Nereidi. Mi piacerebbe avere un posto spiaggia proprio lì."

"Vediamo un po'!", gli aveva risposto sflogliando le carte il capitano:"Dunque, dunque, dunque, dunque... SI!".

Ed invece no.

A Domenico quel posto non toccò.

Era come se una forza misteriosa avesse mischiato all'improvviso le carte. La sensazione era che anche se lì davanti c'era tutto il largo che uno voleva, non si poteva, come se a qualcuno j'ammantave (gli nascondesse) la visuale, gli pregiudicasse un'idea futura, che so... di un qualcosa di grande ancora da progettare.

Pensandoci bene, però, a Domenico, non gli andò affatto male.

Gli assegnarono un posto lì vicino, dinanzi alla famosa particella catastale n. 18 del Foglio di mappa 1, che dal 1989 era ritornata ad essere di proprietà comunale, l'unica isola di arenile tutt'oggi sopravissuta al cemento, che osservandola dal lungomare, sino alla statale, dà ancora un'idea di quanta sabbia vi fosse un tempo nel nostro mare.

Per la cronaca la particella catastale n. 18 del foglio di mappa 1, estesa circa di due ettari di arenile, è stata reintegrata dal Commissario agli Usi Civici al patrimonio del nostro Comune nel 1989, dopo una lunga causa iniziata nel 1953 contro la SABAM, una società della famiglia Scio'.


Particella 18, a parte, che tanto ha fatto e continua a far litigare i nostri amministratori comunali, perchè uno ci vuole fare un'altra colata di cemento ed un altro pure, fu proprio lì dinanzi che il nostro Domenico realizzò il suo piccolo stabilimento balneare, costituito da un chioschetto-bar in legno ed alcuni casotti.

Ora ci voleva il moscone.

Come si chiama il tuo stabilimento balneare?”, gli chiese il sig. Martini, titolare di una fabbrica di pattini di San Giorgio di Cesena, all'epoca in Provincia di Forlì, volendo scrivere il nome dello stabilimento sul moscone di salvataggio che Domenico doveva acquistare.

Bohh!!, gli rispose Domenico, che a tutto aveva pensato all'infuori di dargli un nome.

"Tu come ti chiami?", gli domandò a questo punto il sig. Martini.

"Domenico", rispose naturalmente Domenico.

"Ed allora lo chiamerò EL DOMINGO".

Doveva essere davvero un genio quel sig. Martini. In un sol colpo aveva preso tre pesci con un amo: primo, aveva battezzato quel piccolo stabilimento con il nome del suo padrone; secondo, quel nome ricordava le spiagge caraibiche di Santo Domingo; e terzo, aveva previsto in anticipo anche il nome del futuro socio di Domenico Verratti, che a distanza di qualche anno sarebbe diventato il nostro Domenico Angelini, l'El Domingo nostrano.

La storia di Domenico Angelini, che di lì a poco avrebbe mutato per sempre i suoi soprannomi sansalvesi di Dumuéneche Ruduéne o Dumuéneche La Cornice, in quello di Dumuéneche El Domingo, non è una storia importante, come quelle che si studiano sui libri di scuola, ma è pur sempre una bella storia di vita, semplice, simile a quella di molti altri ragazzi della sua stessa generazione.

Adesso ve la racconterò, anche se si allunga notevolmente lu fecatazze (il fegatazzo, in questo caso sinonimo di discorso).

Domenico da ragazzo aveva imparato a fare il falegname.

Dopo aver difeso verso la fine anni degli anni '50 i pali della Tenax, la squadretta locale di calcio che giocava in un campo sportivo che si trovava dopo la vecchia caserma dei carabinieri, su C.so Garibaldi, si era ficcato in testa di emigrare in Germania.

Ma quanta fatica prima di ottenere il passaporto.

Eravamo intorno al 1958, per intenderci ai tempi dei films di Don Camillo e Peppone, e da poco la D.C. era andata per la prima volta in Comune (1956).

Volendo o nolendo bisognava fare una trafila burocratica e clientelare.

L'Ufficio di Collocamento era ubicato in Via Roma, a la case de Necole Panzalonghe, dirimpetto al Monumento ai Caduti, e lu cullucatàure (il collocatore) era Do' Lelle (il futuro on. Vitale Artese), il quale ave' cumunzate a mastrejé' a Chijte (stava iniziando la sua carriera politica a Chieti), sotto le ali protettrici di Don Pumbè (Pompeo) Suriani, democristiano, Presidente della Provincia, benestante di Montedorisio (suoi erano i terreni dove negli anni '60 sorgerà il villaggio SIV). Gli dava una mano in ufficio, nel senso che lo aiutava, Angiuline de Fioravante (Angelo De Fanis), un bel ragazzo, chitarrista, somigliante a Rossano Brazzi, che nonostante fosse un povero diavolo anch'egli, faciàve parte a lu buttàune (faceva parte del bottone, nel senso che era amico, abbottonato a chi comandava).

Fu lì, in quell'ufficio, che Domenico si recò, insieme ad altri suoi giovanissimi coetanei, tra cui Micchele Carnadasene e Umbérte Marinìlle, che come lui volevano je' a fatejè a la Germanie (andare a lavorare in Germania).

Il copione era più o meno sempre lo stesso.

"Sta Do' Lelle?" (c'è Don Lello), chiese Domenico a Angiuline de Fioravante.

"No, sta a Chijti" (No, sta a Chieti), gli rispose Angiuline.

"E cand'arve'? Avessàma fa lu passapurte." (E quando torna. Dovremmo fare il passaporto), gli spiegò Domenico.

"N'arve' a mo" (non torna subito), rispose di nuovo Angiuline.

"E gna ma fa?'" (e come possiamo fare in sua assenza), gli chiese nuovamente.

" Ci...ama' je' " (dobbiamo recarci a Chieti), consigliò Angiuline.

Il giorno appresso, si misero in viaggio e nghe la pustale (con la corriera), insieme a Angiuline Fioravante, andarono a Chieti.

Angiuline li presentò a Do' Lélle, che riceveva nel suo Ufficio della Democrazia Cristiana provinciale, che stava vicino alla caserma Spinucci di Chieti, che tutti conoscevano perchè lì si passava la visita militare, ed iniziò un interrogatorio.

"Chi si lu feje?" (A chi sei figlio?), chiese Do' Lelle a Umberto Marinelli.

"Je' so' lu feje de Peppine Marinìlle", rispose Umberto.

"E ti?" (e tu), chiese rivolgendosi a Domenico Angelini.

"Je' so lu feje di Micchele Ruduéne", rispose a sua volta Domenico.

"E ti?" (e tu), chiese rivolgendosi a Micchele Carnadasene.

"Je' so lu feje di 'Ntonie Carnada....", il povero Michele non fece in tempo neppure a pronunciare il suo soprannome che Do' Lelle, tutte 'ncazzate (arrabbiatissimo), sbraitò:

Ahhh!! Vu' sàte fameje de cumuneste! (Voi appartenete a famiglie comuniste)." Ed allora per voi il passaporto nix arbait (nulla da fare), li gelò all'istante. E poi, facendo 'na cazzìjéte (una ramanzina) a Angiuline Fioravante, che li aveva accompagnati: "E ti che me purte aécche! (E tu chi mi porti qui!). "'Ngi vede ca chésse è tutte contrapartéte?" (non vedi che questi sono tutti contro il nostro partito?), concluse accigliato.

Ma Do’ Le'! A ni' je serve!" (Ma Do' Lello, a noi ci serve), gli rispose Domenico, cercando di dargli una calmata. "Je' ne rije e ni mije” (io non raglio e non muggisco), volendo fargli intendere che si faceva i cavoli suoi. “Custuéddre” (quest'altro), aggiunse indicando Michele Carnadase, “ni irre e nè arre” (non parla), anche perchè non aveva avuto nemmeno il tempo di aprir bocca. “Do' Le' daje", concluse Domenico,"'nti cazzà, faje ssu piaciàre (dai, non arrabbiarti, facci questo favore). Ni' a ma jè a ruscuje’ a la Germanie... miche ce vulàme fa' la zille!” (noi dobbiamo andare a lavorare in Germania, mica ci serve il passaporto per giocarci).

Umberte Marinìlle, nel frattempo z'ave' 'ncazzate e ze n'ave' scìùte (si era arrabbiato ed era andato via).

Vabbune! Vabbune! (va bene), disse a questo punto Do' Lélle, dandosi una calmata ed interpretando l'ultimo atto di un noto copione clientelare: "Dumane matene, però... passáte preme a Don Peppine e faciàteve fa 'na bella téssere de la demucrazze’. E doppe armenete a ecche !!!” (Domani mattina, però, passate prima da Don Peppino de Vito, che era segretario della locale sezione della D.C., fatevi fare una bella tessera della Democrazia Cristiana e dopo tornate qui).

Da quel che mi risulta, Umberte Marinìlle, non si fece la tessera e quindi non partì, facendo poi qui la sua fortuna negli anni a venire; non so se Micchéle Carnadasene parti o meno; quel che è certo è che Domenico, andò da Don Peppino, si fece fare gratis una bella tessera della D.C. e partì per la Germania.

Fine anni '50. Un ancor giovanissimo Vitale Artese, il secondo seduto a destranella foto, agli inizi della sua carriera politica, durante una cena con altri rappresentanti della D.C., tra cui si riconosce l'on. Remo Gaspari, il terzo seduto a sinistra nella foto.


Ma gli incontri di Domenico con Do’ Lélle, non si esaurirono qui.

Qualche anno dopo, nel 1966...

Ue’ Dumue’! Si' 'rminìute? (Ciao Domenico! Sei tornato?), lo salutò Do’ Lélle, incontrandolo in piazza.

"Scie' Do Le'! So' rmeniute", gli rispose Domenico, che nel frattempo nel '64 si era sposato e sua moglie era in attesa della primogenita Maria. "Vulasse fa feje' majeme che è préne a Sande Salve" (Mia moglie è incinta e vorrei farla partorire a San Salvo), aggiunse.

"Ue!!! Auguri Dome'!" gli disse Do' Lelle, che poi gli propose:"Dumue'! Vu 'ntra' a la S.I.V.?” (Domenico! Vuoi entrare a lavorare alla SIV), quasi forse a volersi far perdonare, ricordandosi di quella proverbiale e provinciale sceneggiata.

"Scie'! Ma m’aja fa’ n’addra téssere?",  si informò Domenico a scanso di equivoci.

“No! Una ne basta e avanza”, lo rassicurò sorridendo questa volta Do’ Lélle, che poi gli spiegò: “Abbiamo da poco costituito la società Sportiva, di cui sono Presidente onorario. Sciamande (un anziano tornato dall'Argentina) z'è fatte vicchie (si è fatto vecchio) e mi serve un nuovo custode per il campo sportivo. Lu vu' fua' ti? (vuoi farlo tu). Ti do duecentomila lire al mese”, concluse Do' Lelle.

Domenico non se lo fece ripetere due volte ed accettò, iniziando una nuova vita. Per 4 anni lavorò come operaio alla SIV, che da poco aveva aperto i battenti, mentre per 34 consecutivi fu custode unico del campo sportivo e di molti segreti dello spogliatoio della U.S. San Salvo.

Per una strana sorte del destino, anche se Domenico non le cercava, gli capitava di incrociare persone che si chiamavano Lélle o con il diminutivo di Lélline, oppure qualcuno che aveva il nome o il cognome che cominciavano o finivano con le sillabe elle.

Un primo esempio: “Ue’ Dumue’!”, gli disse un altro giorno Lélline Balduzze (Leone Balduzzi), che aveva da poco aperto il Circolo Commercianti in 1° vico piazza San Vitale, di cui era presidente, “Vu fua’ lu barreste a lu circulàtte che so ‘perte je’? Le vu fua'?” (vuoi fare il barista al circolo che ho aperto io? Vuoi farlo?").

"Scie'!" , gli rispose Domenico, che imparò così anche il mestiere del barista.

Altro esempio.

Ue’ Dumue’!”, gli chiese un altro giorno Felice Tortelle (Tortella), "Vuoi vendermi La Cornice?"

"Scie'!", gli rispose Domenico,"Affare fatte", forse perchè era già nell'aria l'affare con Dumuéniche Verratte.

Insomma, il nostro Domenico Angelini, prima di diventare EL DOMINGO, ne aveva già fatti tanti di mestieri e si dava un gran da fare.

Per esempio, all'epoca in cui gestiva il piccolo bar del Circolo Commercianti e contemporaneamente era custode del campo sportivo, siccome da cosa nasce cosa, aprì anche un chioschetto per la vendita di bibite allo stadio durante le partite, e siccome solo con il campo non è che poi ci campasse proprio da gran signore, aprì anche un bar in Via Fontana, che chiamò MOKAMBO, a significare che con bar più il campo, “mo kambava”.

E finalmente arrivò il tempo di EL DOMINGO.

Sullo sfondo, dietro le belle bagnanti, lo stabilimento balneare El Domingo. Più in là è visibile l'altro stabilimento balneare Happy Days di Nicola Scafetta.


Eravamo ormai giunti agli inizi degli anni '80, ed in quel periodo Domenico Verratti, l'El Domingo originario, aveva aperto nu trappéte (un frantoio) a Villa Andreoli e questo gli creava qualche difficoltà al termine della stagione balneare, quando a fine settembre, doveva smontare lo stabilimento, chiudere i conti, pagare le bibite ecc., mentre già incombeva, a Ottobre, la raccolta delle olive.

Il nostro Domenico, che ze n'ave addunuáte (che se ne era accorto), ave' nnasate lu manaje (aveva fiutato l'affare) ed un giorno gli disse: “Dumue'! Si ti le vu' vànne quàsse, tìnime presente” (Domenico, se hai intezione di vendere il tuo stabilimento balneare, tienimi presente).

E non passò tempo che Domenico Verratti, lo tenne veramente presente, ma talmente presente, che si presentò un giorno a casa sua, e tutto sconsolato gli disse: "Ciao Dome'. Eccoti le chiavi. Vai giù al mare e fai quel che vuoi”.

Era successo che il nuovo prefabbricato-bar con il quale Domenico Verratti aveva sostituito l'anno precedente il chioschetto in legno, ormai fatiscente, durante l'inverno, avè state arbelate (era stato sommerso) dalla sabbia, e in un momento di scoramento, aveva deciso di venderglielo.

Domenico, che forse non aspettava altro, si armo' di pala ed entusiamo e se ne scese giù al mare.

Sbéle e sbéle (scava e scava) lo riportò alla luce.

Ma a lu stràgne de le fìrre (al momento di concludere l'affare) El Domingo originario, ci ripensò.

Era ormai troppo legato a quel suo stabilimento balneare e non voleva, all'improvviso, del tutto distaccarsene.

Alla fine si misero d'accoro. Era il 1982 quando i due Domenico formarono una società, che chiamarono Soc. EL DOMINGO di Verratti Domenico & C. s.r.l.

Finalmente il nostro Domenico Angelini, ave' 'mpezzéte a lu muare (aveva messo un pezzetto di piede al mare) e presto sarebbe diventato El Domingo, seppure in comproprietà nominativa con il socio.

Con l'El Domingo originario che gli lasciò campo libero, il nostro Domenico iniziò a mastreje' hàsse (a prendere sempre maggiore confidenza con l'attività di balneatore).

Una svolta importante, avvenne nell' 84.

Successe che Valentino Ottaviano demolì il Dancing Bar Valentino e lo sostituì con IL MIRAGE, struttura totalmente diversa da quella precedente, con ampio ristorante, e nessuno organizzava più serate danzanti giù al mare.

"Mo màtte balle je'"
(organizzerò io serate di ballo), pensò Domenico.

L'idea si rivelò geniale. Sfruttando parte della pavimentazione dello stabilimento come pista da ballo, iniziò ad organizzare serate di ballo di liscio romagnolo, tornato in voga proprio in quegli anni, trasformando l'EL DOMINGO, di giorno, in placido stabilimento balneare e di notte in una balera abruzzese-romagnola in riva al mare.

Fu un successone. Ogni sera il pienone.

C'era qualcosa, però, che giù non gli andava.

Nelle serate in cui non si ballava, la gente, a parte i clienti fissi, da lui al bar non ci andava. Era stato fatto il primo raddoppio del lungomare e la gente parcheggiava lì, passeggiando e frequentando di notte solo i bar di quei lidi a sud o nella parte centrale.

Sebbene ne avesse parlato con gli amministratori comunali, si accorse che a costoro a 'na racchie j 'ndrave e n'andre iascéve (nessuno lo ascoltava).

E fu così, che tite ze me' e tite ze me', che non è un ballo sudamericano, ma significa, in dialetto sansalvese, dopo tanto pazientare perdere la pazienza, un giorno cambiò musica, cercando di far ballare la tarantella a chi di dovere.

"LA SPIAGGIA DELLE INCOMPIUTE", titolò un mattino d'estate un noto giornale, in cui Domenico, intervistato, faceva notare, gravi carenze che secondo lui affliggevano il litorale.

L'articolo con il quale Domenico glie ne cantò di tutti i colori agli amministratori pro-tempore.


Ma è storia del passato.

Oggi Domenico Angelini è in pensione, ed in quella spiaggia delle incompiute, chissà quante cose ancora in futuro si compiranno e ne combineranno i nostri politici, specialmente su quella famosa part. 18, in cui uno ci vuole fare un'altra colata di cemento ed un altro pure.

La sua missione, così come quella di Domenico Verratti, è ormai compiuta.

Dal 2010, i due Domenico, hanno ceduto entrambi la proprietà dello stabilimento balneare a Maria, Sabrina e Nicola, figli di Domenico Angelini, ed ai suoi due generi Gaetano e Gabriello (i nomi che finiscono per ello, come Do' Lello, evidentemente sono nel suo destino).

Ai due Domenico El DOMINGO, resta la soddisfazione di aver condiviso insieme, in amicizia, momenti belli della loro vita e della gioventù.

Ed a proposito di giuventù, con l'acquisizione dello stabilimento da parte dei nuovi soci, è rientrato in ballo prepotentemente il ballo.

La pista da ballo dell'EL DOMIGO ospita settimanalmente, ormai dal 2012, durante l'estate, il giovedì il PACHUKA BEACH, musica e divertimento al ritmo di balli caraibici ed in quelle del venerdì LA PERLA DEI CARAIBI, di cui Sabrina e Gaetano, maestri di ballo, insieme ad altri artisti, sono gli artefici principali delle serate.

Centinaia e centinaia di giovani affollano le notti d’estate di quell'antico e ormai storico lido, che a dispetto degli anni sembra mai invecchiare.

Una serata da ballo allo stabilimento balneare El DOmingo.


Doveva essere davvero un mago quel signor Martini, quel fabbricante cesenate di mosconi, che quando, nel lontano '74, chiese a Domenico Verratti, il nome dello stabilimento balneare, per scriverlo sul pattino, si sentì rispondere "Bo!!!".

"Lo chiamerò EL DOMINGO", fu la sua intuizione. 

Era come se già avesse previsto il futuro, come se già sapesse che un giorno lontano, la musica caraibica sarebbe partita da Santo Domingo, per approdare lontano.  

E dove poteva approdare, partendo da Santo Domingo?

A EL DOMINGO, la pista da ballo sul nostro mare.

San Salvo, 30/8/2016



NOTE:

  • Interpretare il nord e sud, per i sansalvesi, è stato sempre un po' complicato. Spesso il nord veniva confuso con il sud e viceversa, come avveniva nello stesso capoluogo pe lu quart'abballe (a nord) e lu quartammante (a sud). Anche per il lungomare, essendo stato realizzato per primo il tratto a sud-est (verso il Molise), veniva da molti ubicato mentalmente 'nceme (sopra), mentre il secondo tratto a nord-est veniva chiamato a capabballe (giù).
  • A proposito del fatto che Domenico Verratti avrebbe preferito ubicare il suo stabilimento balneare in corrispondenza delle Nereidi, ne seppe qualcosa nel '79 anche Michele Scafetta. Infatti, quando Nicola si spostò a capabballe con il suo Gambero, realizzando l'Happy Days, sbagliò ubicazione, piazzandolo dinanzi alle Nereidi. Non vi fu nulla da fare, né sanatorie, né altre soluzioni. Fu costretto a smam...mare, a smontare e rimontare dinanzi ai complessi residenziali Lo Zodiaco e l'Aretusa, all'epoca ancora solo con pilastri, a seguito delle vicissitutini dello "Scandalo al sole".

  • 'Lu fucàtázze, modo di dire sansalvese, parafrasando 'na capàzze (una corda) di salsiccia di fegato, usato allegoricamente per indicare anche un discorso o qualcosa che diventa più lungo rispetto al tempo previsto.
  • Nix arbait, modo di dire in sansalvese " niente da fare", molto usato dalla gioventù degli anni '60, che era stata a lavorare in Germania, derivante dal tedesco"nix arbeit".

  • Marino Sciamante, citato nel racconto, era un italo argentino al quale, dopo essere rimpatriato in tarda età in Italia, gli era stata affidata la custodia del campo sportivo appena realizzato. Era un tipo buono, ma anche un po' pecchielànte (spesso si lamentava), come se tutto a lui qualcosa di storto gli capitasse E non aveva tutti i torti. Si racconta che un giorno, durante un allenamento della squadra del San Salvo, mentre era salito su un trabiccolo per ridipingere qualcosa al campo sportivo, venne centrato in pieno da una pallonata, che lo fece cadere a terra gne' nu pàre sàcche (come un pero secco), facendo je' scrizzénne (volare in aria) lu stagnarìlle de lu culàure (il barattolino del colore), tra l'ilarità generale. Non la prese proprio bene. La pallonata invece si. (fonte Michele Molino, ex calciatore del San Salvo).
  • “La Cornice”, era un laboratorio artigianale di piccola falegnameria, il primo aperto a San Salvo e per la sua originalità anche nel comprensorio, da Domenico Angelini negli anni '70. La sua sede era sàprue a lu murajàunede la fànta vicchie (sul muraglione di Via Fontana), in un antico localone di proprietà della famiglia de Vito, in cui anticamente vi era stato uno dei primi frantoi sansalvesi, senza macine, ma con un'enorma pressa in legno, che squacchiáve la leve (che macinava le olive), che veniva alzata e scesa a mano, avvitandola e svintandola su una filettatura di un enorme palo che arrivava sino al solaio. "La cornice" di Angelini Domenico, produceva principalmente cornici per quadri e ritratti, aste per tende, ed altra oggettistica minuta in legno per la casa.




I racconti del mare

di Fernando Sparvieri


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(Vitalina Torricella)




Nicola e Gilda
Una storia d'amare




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(Domenico Angelini)




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Al passaggio a livello




Il mar rosso




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(La via di Nasci)


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Mare me

(di Evaristo Sparvieri)



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Quando se faciave
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Quando i sansalvesi
erano un po' gelosi




Il mare di una volta


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Il mare del 2000


1° tentativo di intervista
al mare al Don Peppino de Vito




2° tentativo di intervista
al mare al Don Peppino de Vito




Finalmente! 2 chiacchiere
al mare con Don Peppine.



E gne' auánne pìure auánnechebbe'.
Al mare con Don Peppine.



A jtta' lu sanghe a lu muáre.



Lu svuntulaturie



La fortuna diEvaristo


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