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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Gente del mio paese




di Michele Molino




La storia di Nicola Marchesani

In prima fila agli scioperi, escluso dall’assegnazione dei terreni comunali del Bosco Motticce

di Michele Molino

Nicola Marchesani


Nicola Marchesani ha 90 anni ed abita a San Salvo dal 1950 in via dei Cipressi. Ha il viso sottile e intelligente, gli occhi neri e profondi. E’ una persona schiva, semplice, sincera, cordiale. La perdita della sua sposa gli ha segnato la vita. Infatti non ancora riesce a superare il dolore per la morte del suo punto di riferimento. Ha due figlie Lidia e Rosa che l’accudiscono con estrema cura e attenzione.


Ecco una descrizione sommaria della sua vita. Nicola, quarto di dieci figli (sei maschi e quattro femmine) nasce a Vasto da una famiglia di contadini. “Sfamare” dieci bocche non è una bazzecola. I suoi genitori non rispondono negativamente appena si presenta l’occasione di prendere a mezzadria ventuno ettari di terreno della famiglia dei Suriani. Per rendere produttivo quelle terre impervie e ostiche occorre la forza muscolare di tutti i membri familiari. Nessuno dei dieci fratelli si sottrae al dovere di collaborare. Nicola a cinque anni è impegnato a governare il gregge di famiglia. Ha tanta voglia di avere un’istruzione, ma i suoi genitori fanno di tutto per fargli cambiare idea. Nicola, mano a mano che cresce, si fa robusto e forte, per guadagnare va a “giornate”. Un suo cugino lo informa che un maestro ogni sabato insegnerà a leggere e a scrivere in uno scantinato poco lontano dalla sua masseria. Nicola dopo aver pattuito il prezzo, inizia ad andare a scuola. Per sdebitarsi con il maestro, gli cura l’ orticello.

Purtroppo, dopo qualche anno scoppia la seconda guerra mondiale, il ragazzo non può continuare a studiare. La guerra fra le potenze dell’ Asse e quelle dei Paesi Alleati, si fa, giorno dopo giorno, più feroce. Monteodorisio e Cupello sono continuamente sottoposte a violenti bombardamenti aerei. Un giorno, prima del tramonto, una pattuglia di tedeschi, circonda la masseria Marchesani e in poco tempo fa razzia di polli, tacchini, conigli, oche, agnelli. Nicola e i suoi fratelli, per la paura di essere fatti prigionieri, trovano rifugio sotto i materassi di foglie. Un soldato tedesco, mentre sta per inserire le sue chiavi nel cruscotto del camioncino, sente un grugnito. Salta a terra, sfonda il cancello del fienile e sotto un cumulo di paglia trova un maiale. Estrae la rivoltella e gli spara in testa. Quattro soldati alti e robusti alzano il porco da terra e lo depositano sul braciere acceso dalla famiglia Trivilini.

Comincia una baldoria infernale. Il vino scorre in gran copia. Canzoni e schiamazzi continuano fino all’ alba del giorno dopo. Nicola riesce a sfuggire ai tedeschi, ma non agli inglesi. Infatti è precettato dal comandante degli inglesi per le operazioni di scarico di materiale bellico nell’arenile di San Salvo. Il compenso giornaliero è 50 lire, oltre a due pagnotte. E’ l’occasione per riabbracciare gli amici che non vedeva da un pezzo: Secondino Artese, Antonio Napolitano, Alessandro Di Iorio e Antonio Di Falco. Mentre i lavori di scarico procedono a buon ritmo, un colonnello fa chiamare Nicola in una tenda e gli riferisce che il sottomarino dove militava il fratello, era affondato dopo un’ aspra battaglia sotto i colpi dei siluri. Il dolore della perdita del fratello lo accompagnerà per sempre.

Passata la bufera della guerra, un po’ alla volta riprende la vita di un tempo. Nicola decide di andarsene dall’Italia, nella speranza di trovare un guadagno che consenta di elevare il tenore di vita bassissimo e di aiutare la propria famiglia. Inoltra la pratica per emigrare in Belgio, ma gli viene respinta. Soltanto due anni dopo può utilizzare il suo passaporto. Il primo controllo medico avviene a Chieti. Da lì raggiunge Milano dove viene sottoposto ad una nuova visita da parte dei medici belgi. Viene assunto per estrarre il carbon fossile dalle miniere. Il primo impatto è traumatico: le facce nere dei minatori, la gabbia dell’ascensore, il buio, i cunicoli, il rumore dei martelli pneumatici, la polvere di carbone che sembrava togliere il respiro. Nicola, comunque, piano piano si abitua a quelle condizioni rischiose. Dopo aver raggranellato un po’ di franchi, decide di rientrare in Italia. Le aziende sono disseminate in tutti i nuclei industriali, eppure una valanga di curriculum inviati non vengono mai giudicati.

Si arrangia come può. Nel periodo estivo fa il trebbiatore, in autunno va a lavorare nelle cantine sociali e nei frantoi. Nella primavera del 1950 iniziano le sommosse per l’appoderamento del bosco Motticce. Nicola è sempre in prima fila, comunque paga a caro prezzo la sua esuberanza giovanile. La sua richiesta di assegnazione del terreno, infatti, viene scartata dalla commissione comunale. Nicola non sa cosa fare. All’improvviso decide di partire per la Francia, dove trova un lavoro, ma dopo nove anni torna di nuovo in Italia. Resta disoccupato per diverso tempo e torna a fare il contadino. Parte prima dell’alba per vendere i prodotti della sua terra nei paesi limitrofi. Continuerà a fare questo mestiere fino a quando la forza delle braccia non l’abbandonerà definitivamente. Le sue condizioni fisiche non gli permettono di uscire come faceva di solito, anche se viene bene accudito da Lidia e Rosa. “Nsò vute niende da niscìhune - ha affermato Nicola prima di salutarci - quàlle che so riscihùte a ffa durònde la véte li so fatte nghi li vracce mì. ‘Nsò state ma attaccate a li quatréne, aringrazie Ddé”. (Non ho avuto mai niente da nessuno, quello che sono riuscito a costruire l’ho fatto con l’aiuto delle mie braccia. Non sono stato mai attaccato ai soldi. Ringrazio Dio).

Michele Molino






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