E’ uno dei temi del corso
unitre che ho frequentato appena arrivata a Rivoli prima
che mi invitassero a tenere il mio. Circa dieci anni
addietro.
Ho rimandato di qualche settimana l’argomento poiché
ritenevo di non avere nulla da scrivere a riguardo.
Ma uno di quei famosi cassettini della memoria si è
prepotentemente aperto e mi ha ricordato che non solo un
principe azzurro lo avevo sognato, ma era esistito nella
realtà dei miei undici o dodici anni.
Mi rivedo ancora in quella terza navata a sinistra della
chiesa parrocchiale dove la nostra “scuola cantorum”,
della quale facevo parte, si riuniva attorno all’armonium
per cantare gli inni del caso e negli intervalli di canto
il mio sguardo era rivolto verso la terza navata, in fondo
a destra, da dove due occhi mi guardavano al di sopra
delle teste che riempivano la chiesa.
Tutte le domeniche i miei sguardi si incontravano con i
suoi e quanto soffrivo se qualche volta non li trovavo.
Bello, il vero principe dei miei sogni.
Quando uscivo dalla chiesa, con la mia amica del cuore, lo
trovavo all’uscita e ancora lo incontravo nelle
passeggiate per il paese. Ma neppure alla mia amica
permettevo si avvedesse di quegli sguardi, né con lei ne
avrei mai parlato, avvicinarsi non era neppure pensabile,
il paese intero avrebbe mormorato e ne sarei morta di
vergogna.
Quegli sguardi innocenti potevano provocare uno scandalo.
Un giorno, uscendo dalla chiesa per una funzione
pomeridiana, da una casa vicina, sentimmo arrivare della
musica e una ragazzina come noi ci invitò ad entrare. Io e
la mia amica, quasi furtivamente, ci infilammo in quella
porta ed in una stanza con le finestre accuratamente
chiuse verso la strada, vi erano persone che ballavano.
Il mio principe era tra loro e il mio cuore sussultò dalla
gioia quando mi si avvicinò per invitarmi a ballare.
Il primo e forse ultimo ballo della mia vita.
Non sapevo ballare e glielo dissi: non preoccuparti, ti
insegno io e felice tra le sue braccia ascoltavo il suo
dirmi due passi a destra, un passo a sinistra, forse era
così che diceva, ma tutto quello che ancora ricordo è che
si trattava di un tango e che volavo tra le sue braccia.
Avevo i capelli lunghi con la riga da una parte così che
per metà essi scendevano sul viso coprendomi in parte la
fronte e lui per farmi un complimento mi disse: sei
pettinata alla Veronica Lake. Non vi erano sale
cinematografiche in paese ma sapevo che la nominata era
un’attrice.
Era la prima ed unica volta che l’ho visto da vicino e il
mio principe aveva i capelli ricci e neri (non era biondo
come nella tradizione), ma aveva gli occhi chiari.
Avrei voluto che quel pomeriggio non finisse mai, ma come
nelle fiabe, prima dell’imbrunire, abbandonammo
frettolosamente quella casa per tornare a casa in tempo da
non perdere la fiducia che i nostri genitori ci
accordavano.
Neppure in quel caso confidai il mio segreto all’amica,
tornai a casa a fantasticare e mi ricordai un episodio
accaduto in seconda elementare quando lo stesso ragazzino
fu punito dall’insegnante per aver lanciato un biglietto
sul mio banco e denunciato dalla bimba che mi sedeva
accanto.
Sognavo di incontrarlo ancora e questo avveniva spesso
essendo il paese piccolo, ma il nostro era sempre un
incrociarsi di sguardi innocenti.
Sembra che questi sguardi siano stati notati da altri che
non li hanno giudicati tanto innocenti se un giorno la mia
amica del cuore addusse un pretesto per non uscire
insieme.
Siccome anche lei pativa questa nostra separazione, sedute
sullo scalino dietro la casa di Lella, all’ombra della
nostra chiesa, mi confidò: “Mammà non vuole che esca con
te perché ha saputo che tu vedi… fece il nome del
ragazzino.
Non era vero ma quel gioco di sguardi era diventato uno
scandalo di dominio pubblico.
Mi cadde il mondo addosso, la pregai di riferire a sua
madre che non era vero niente e che mai ne avrebbe fatto
parola con mia madre poiché me ne sarei vergognata. Poi
lei che era sempre con me, sapeva che l’unica volta che ci
eravamo avvicinati era stato a quel ballo in cui c’era
anche lei e del quale nessuna di noi poteva riferire.
Soffrii la mia prima pena d’amore, ma il terrore di essere
giudicata male mi impedì di continuare a ricambiare quegli
sguardi ed evitare di girarmi in chiesa verso quella
navata in fondo.
Passati pochi anni, il mio principe si trasferì a Roma per
i suoi studi, io a Torino così, le nostre strade presero
direzioni diverse e non ci incontrammo mai più.
Aprendo oggi quel cassettino ho provato una tenerezza
infinita per quella innocente prima inconsapevole pena
d’amore.
Maria Mastrocola in Dulbecco
Agosto 2018