La prima casa che ricordo di
aver abitato era sita sulla strada più larga del paese,
via Roma. Il posto era quasi all’inizio di questa strada
dove il marciapiedi si allargava notevolmente dopo un
inizio a spigolo dall’angolo della strada precedente dove
c’era il negozio di un orefice: Piscicelli.
Era ad un solo piano con una porta ed una finestra che
davano sul davanti della casa, verso la strada; esse
illuminavano le due stanze che servivano da cucina , poi
pranzo e da laboratorio per l’attività di mia madre e
forse anche come camera per mia nonna Caterina.
In questo versante il sole batteva al mattino ma nel
pomeriggio, l’ombra regnava a regalare frescura in estate
dove con la mia preziosa sediolina impagliata, avevo il
permesso di sedermi a giocare vicino all’uscio di casa.
Nel versante opposto c’era la grande camera da letto della
mamma, da quella parte vi era un finestrino non molto
grande ed una porta che davano sull’orto-giardino.
Ricordo poco di quell’orto. Nel centro vi era una piccola
casetta che attirava la mia attenzione, ma la mamma non mi
mandava volentieri forse perché d’estate era il posto più
assolato e aveva anche il timore che potessi pungermi con
le ortiche che, non so se è solo la mia fantasia a
ricordarlo, abbondava in quell’orto coltivato solo in
minima parte.
Il mio ricordare non può essere molto preciso se da quella
casa andammo via poco prima che compissi sei anni. Era
l’anno in cui cominciai ad andare a scuola ed in virtù di
una legge che ammetteva l’iscrizione alla prima elementare
in anticipo per tutti quelli che compivano gli anni entro
l’anno vecchio.
Non avevo frequentato l’asilo poiché ricordo di non aver
sopportato il rumore che il vocio dei bambini faceva
rimbombare in quella grande aula di S. Nicola che era
stata una vecchia chiesa. Mi accompagnava la maestra
Candalina e aveva riferito alla mamma il mio non
sopportare l’ambiente tanto che mi ero seduta al banco
tappandomi le orecchie.
Quindi la mia esperienza all’asilo, durò due giorni.
Altra esperienza fu la scuola che mi attirò subito e che
frequentai con piacere e profitto.
Avevo una sorella più grande, ma lei andava già a scuola.
anzi, terminava proprio quell’anno le elementari e quei
cinque anni in più facevano si che non la considerassi una
compagna di giochi. Lei, ai miei occhi, era una signorina.
Poi con i suoi vestitini così belli e con cappellini e
berrettini, messi di traverso sulla fronte ... era
veramente grande e la guardavo con ammirazione.
Conservo ancora alcune fotografie di quel periodo appunto
con me che ero un piccolo imbronciato frugoletto nero (per
via dei miei capelli nerissimi) issata su una sedia al
centro, con mia madre da un lato e dall’altra mia sorella
con il suo soprabitino elegante, le calzine bianche e il
berrettino pure bianco con un’aria da donnina piena di
sussiego.
In quella foto, fatta da un fotografo ambulante di
passaggio che stendeva una coperta sul muro per fare da
sfondo e qualche volta, come in questo caso, il suo
obiettivo saliva al di sopra di quello sfondo improvvisato
e coglieva i mattoni che formavano il muro retrostante.
Questi fotografi ambulanti giravano con una macchina
fotografica grande e nera, issata su un trespolo che poi
appoggiavano con cura per terra e per sviluppare le foto,
chiedevano una bacinella piena di acqua dove immergevano
quei rettangoli di carta dai quali vedevamo apparire le
immagini scattate tra lo stupore e l’ammirazione per
quell’uomo che operava un tale prodigio con le sue strane
magie.
Ricordo nitidamente queste scene anche se ero
piccolissima, evidentemente mi avevano impressionata
moltissimo.
In seguito, sempre in quella casa, arrivò il fratellino
che ebbe il buon senso di arrivare in primavera, il
quattordici Marzo ma
stranamente, quel giorno arrivò anche una nevicata fuori
programma, era il 1939 ed arrivò alcuni mesi prima che ci
trasferissimo nel nuovo quartiere in Corso Garibaldi in
una casa di tre piani.
Mamma ha comprato questa casa in un quartiere dove non
passavano tante macchine perché, a suo dire, temeva per la
nostra incolumità nella vecchia casa (non so sen passavano
cinque o sei auto al giorno!
Ricordo che prima di comprarla, una sera, mamma mi prese
per mano e mi portò a vederla.
Era situata nel III vicolo corso Garibaldi, al terzo piano
aveva anche una camera con un balcone che dava alla
“ruall” (vicolo) successiva e i due balconi avevano una
inferriata particolarmente bella e io cominciai a pensare
che avrei trascorso molto tempo su quei balconi, (fu
veramente così).
Quella casa aveva un portone importante munito pure di
“tuzzulataur” battocchio per chiamarci da sotto.
Pensavo già che da quel balcone potevo aspettare la mia
amichetta (mi era stata assegnata senza conoscerla ) si
chiamava Maria, come me, e fu poi così che per cinque anni
fummo compagne di banco ed in seguito, diventando
adolescenti in paese ci chiamavano le due Marie.
Lei abitava in corso Garibaldi in un palazzo, vicino alla
vecchia chiesa S. Nicola, dove dividevano gli alloggi con
i suoi zii, il suo era all’ultimo piano.
Aveva anche un orto dietro con un albero di gelsi dove ci
arrampicavamo con i quaderni per preparare le lezioni.
Di lei ricordo molto anche la sua mamma, donna Giuseppina
che mi ha voluto molto bene e quando uscivamo ci
raccomandava il modo in cui dovevamo comportarci.
Quelle poche volte che abbiamo preso il pulman per andare
dalla pettinatrice, a Vasto, ci raccomandava di salutare
quando vi salivamo, cosa che ci faceva sorridere e proprio
non lo facevamo.
Il mio paese e i miei ricordi, sono un fiume in piena e ne
ho parlato molto in altri racconti.
Per ora mi fermo.