Eccezionale ritrovamento
quello di Carlo Tedeschi, di otto chartulae (degli anni
1019-1065) custodite ad Atessa, presso la chiesa di S.
Leucio, e a Parigi, presso la Bibliothèque Nationale de
France, riguardanti i monasteri di S. Martino di Paglieta,
SS. Giovanni, Nazario e Celso di Archiano, S. Stefano in
Lucana, S. Clemente di Lastiniano (nel territorio di
Pianella), S. Vito de Furca Pennensis e Santo Salvo.
Secondo lo studioso, la storia archivistica di tali
documenti potrebbe essere iniziata proprio nell’abbazia
cistercense dei SS. Vito e Salvo del Trigno. Infatti, i
monasteri di S. Martino di Paglieta, S. Stefano in Lucana
(nei pressi di Tornareccio), S. Giovanni di Archi e S.
Vito di Forca di Penne - come conferma nel suo libro
Cirlllo Piovesan – verso la fine del XIII secolo erano
tutti aggregati e soggetti all’abbazia di S. Vito del
Trigno (fondata intorno al 1269), poi divenuta dei SS.
Vito e Salvo, infine tornata ad essere semplicemente di S.
Salvo. Quanto a S. Clemente di Lastiniano, dopo essere
stato soggetto a Farfa, comunque dovette interagire con le
rifondazioni cistercensi; peraltro S. Vito del Trigno
sarebbe entrata in possesso, non molto lontano, anche
dell’importante chiesa di S. Maria di Catignano. Le
pergamene della Bibliothèque Nationale de France - sono
tre in originale ed uno in copia del XII-XIII secolo -,
rimaste in Italia fino al XVII-XVIII secolo, furono
trasferite in Francia forse in età napoleonica, comunque
tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento.
Sullo studio degli otto documenti, membranacei e cartacei,
Carlo Tedeschi ha prodotto un saggio, che ora compare sul
n. 128-2/2016 della prestigiosa rivista di studi storici
“Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Age” , con
il titolo “Monasteri dell’Abruzzo adriatico: un dossier
documentario (1019-1065)”. Il saggio ci è stato segnalato
da Davide Aquilano, archeologo medievalista, che tra
l’altro (insieme alla dott.ssa Amalia Faustoferri) ha
collaborato con il Tedeschi, fornendogli notizie
sull’abbazia dei SS. Vito e Salvo del Trigno e sulla
localizzazione di altri monasteri (perlopiù scomparsi).
La pergamena che si riferisce a S. Salvo è del giugno 1031
e si colloca nell’archivio parigino. Si tratta di un atto,
rogato dal notaio Mainardo a Bisaccia (castello Bisactie o
Visactie), attraverso il quale i fratelli Lupo e Roffo,
figli del fu Transarico, offrono alla chiesa di Santo
Salvo, per la salvezza delle anime loro e dei genitori,
dodici moggi di terreno situati in località S. Martino, in
vocabolo Rigo Cupo, nell’agro di Bisaccia [casale
abbandonato - nel XIV sec. - nei pressi della Grotta della
Madonna di Bisaccia, oggi in comune di Montenero]. Eravamo
al tempo dell’imperatore Corrado II (eletto nel 1027), che
viene citato nel testo. Interessante in questo documento è
il passo in cui ci si riferisce alla chiesa [e monastero]
di Santo Salvo. E’ il seguente: “[…] in ecclesie Beati
Sancti Salbi, qui edificatum est videtur infra comitato
Teatino, propinquorum est de Salabento, sub tenporibus
domni Stefani vir veneravilis abbas […]”. In esso cogliamo
l’informazione che la chiesa di San Salvo si trovava
prossima, confinante con Salavento. In effetti, la chiesa
medievale più antica del territorio odierno di San Salvo
non è quella eponima, che ha dato il nome al paese, bensì
S. Angelo in Salavento (Sancti Angeli in Salabento), che
sappiamo essere sorta esattamente sul sito della diruta
villa romana di via S. Rocco. Questa chiesa era farfense
(come molte delle altre nelle chartulae di cui parla il
Tedeschi) e passò all’abbazia di S. Vincenzo al Volturno
nel 994, a seguito di una donazione del conte di Teate,
Trasmondo II, che vi aggiunse le terre del luogo detto
Rosiliano (attuale Piana Sant’Angelo, che evidentemente ha
preso il nome proprio dalla chiesa e monastero di
Sant’Angelo). S. Angelo in Salavento fu poi riconfermata
ai volturnensi nel 1023 (quando il Conte Pandolfo donò e
aggregò altri 550 moggi di terreno “dentro i confini della
Mucleta”) e nel 1059. Il casale di Salavento - di cui
restano tracce della fortificazione, Lu Castellano, si
trovava nei pressi dell’attuale Piano di Marco - su di un
colle che domina la confluenza di un affluente di destra
con il vallone Buonanotte. Il territorio di Salavento si
estendeva invece lungo la media valle di Bonanotte,
soprattutto alla destra del corso d’acqua. Dopo la
desertificazione del casale (a seguito della crisi del XIV
secolo), il territorio di Salavento passò alla Contea di
Monteodorisio; e, nel 1417, venne definitivamente
acquistato da Vasto. Nel documento è presente il nome
dell’abate che reggeva al tempo la chiesa di S. Salvo:
Stefano.
Tuttavia, è soprattutto la data dell’atto a costituire la
grande novità del testo scoperto: l’anno 1031.
Sull’origine della chiesa e monastero di Santo Salvo si
avevano finora solo supposizioni e ipotesi di storici
locali, che la datavano al IX-X secolo (Betti, Piovesan,
Slade). I documenti esistenti l’attestavano invece nel
1208, nel 1204, nel 1173 e, il più antico, nel 1095,
stando ad una donazione “di terreni, chiese e altri beni
fatta dal conte di Loritello, Roberto I, al vescovo
Rainulfo”. Grazie al Tedeschi, abbiamo dunque compiuto un
ulteriore passo in avanti nella ricostruzione della
vicenda storica della chiesa e monastero di Santo Salvo,
in un anno, il 2016, che era già stato rivelatore di
un’altra insospettata novità, attraverso la prima fase di
scavo della cripta di San Giuseppe (già chiesa - dedicata
a S. Maria - del Monasterium Sancti Salvi). In precedenza
si supponeva infatti che i perimetri della chiesa
benedettina (secc. X-XIII), della chiesa cistercense
(secc. XIV-XV ) e di quella del 1860 coincidessero, pur
nelle ristrutturazioni e riedificazioni succedutesi.
Attraverso la scoperta degli alzati orientali della chiesa
benedettina, si è invece compreso che questa era di circa
un metro più corta nonché leggermente più stretta di
quella trecentesca cistercense. Lo studio archeologico è
ancora in atto, ma le murature - in pietra di fiume
spaccata e ricorsi di laterizi - suggeriscono senza dubbio
una edificazione prossima all’anno 1000.
Non resta che ringraziare gli studiosi, gli archeologi e i
sostenitori dei restauri di San Giuseppe perché in questi
tre ultimi decenni davvero la conoscenza della storia di
San Salvo, sia romana che medievale, ha compiuto passi
giganteschi, rivelando una realtà urbana molto più
complessa di quanto ci si aspettasse e, soprattutto, ben
inserita (come del resto avviene oggi) nei circuiti della
grande Storia.
Giovanni Artese
Giovanni Artese
Immagine di Sancti
Salvi, vescovo e confessore diAmiens, in una
miniatura del XII secolo conservata presso la
Biblioteca Laurenziana di Firenze. L’ultima statua
esposta nella chiesaparrocchiale di San Salvo,
descritta nel 1803, lo presentava proprio in abiti
vescovilie con in mano il libro della Regola di San
Benedetto.
Muro del periodo
benedettino della chiesa di San Salvo,scoperto
durante la prima fase di lavori nella cripta di San
Giuseppe.