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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










Lu Sante Sabbastìjane
(Il San Sebastiano - canto tradizionale)

di Fernando Sparvieri

L'antica statua di San Sebastiano

Audio
Il San Sebastiano
(anonimo)
Ialacceria



"Li sbatte je' li jnúcchie 'ndérre! Li sbatte je' li jnúcchie 'ndérre!" (trad. Sbatterò io le mie ginocchia per terra!), ripeteva sconsolato e adirato Mastre Spedite (Espedito Malatesta), mastro muratore, ai suoi colleghi Virginio Di Pierro, Ercolino Della Penna, Paolo Malatesta, Mastr'Antonie Piccinciàlle (Antonio De Filippis), tutti méstre frabbicatìure (mastri muratori) come lui.

Ma cosa era successo?

Era successo che Don Cirillo Piovesan, il prete, fedele al vecchio detto "Senza so' 'nze cante màsse" (senza soldi non si cantan messe), aveva chiesto 100 lire per dire messa il 20 Gennaio a San Sebastiano, che era il patrono dei muratori, lasciando di stucco (e mai come in questo caso l'affermazione è consona), tutta la categoria de le frabbricatìure sansalvesi, che ritenevano la prubbénie (la prebenda) troppo esosa per le loro tasche.

Mastre Spedite, allo scoramento che aveva assalito i suoi colleghi, tentò di risollevarne il morale, dicendo: "Li sbatte je' li jnúcchie 'ndérre!", a significare che avrebbe celebrato lui stesso la messa il giorno di San Sebastiano, inginocchiandosi e quindi sbattendo egli le ginocchia a terra al posto di Don Cirillo, ma che nessun ostacolo avrebbe potuto impedire loro di far festa in onore del loro santo protettore.

Insomma, il famoso detto popolare "Senza so' 'nze cante màsse" (senza soldi non si cantano messe), rischiò di vacillare seriamente dinanzi alle ginocchia di Mastre Spedite, davvero espedito a sostituirsi a Don Cirillo.

Eh! Sì! Perché li frabbicatìure (i muratori) ci tenevano davvero tantissimo al loro San Sebastiano (Narbona, 256 – Roma, 20 gennaio 288), che era un militare romano, martire per aver sostenuto la fede cristiana.

Il 20 gennaio era per la loro categoria la ricorrenza più importante dell'anno e deponevano la cucchiére (la cazzuola), nel senso che non lavoravano anche due giorni di seguito, per festeggiare il loro amato santo patrono.

I festeggiamenti iniziavano la sera del 19 gennaio, vigilia della festa, con il canto, per le case, de lu Sande Sabbastijane" (del San Sebastiano). Lì, nelle misere case dei sansalvesi, dopo aver cantato, facevano a bicchijre (bevevano vino) e davano libero sfogo a la hanghe (alla mascella), bevendo e mangiando a crepapelle sino all'alba.

L'euforia arrivava alle stelle. Dopo aver intonato e narrato lunghe strofe sulla vita ed il martirio del santo (che potrete ascoltare nel file musicale di sopra), il canto si concludeva con un'altra "arie" (melodia), che diceva: "E noi ci veniamo nghe lu sone e cante pe' l'onore di quel gran sante e Gesù Criste e Sante Sabbastìjane, patron de febbre e d'ogne 'nfermità".

E sulla melodia di quest'ultimo motivo partivano composizione poetiche ed improvvisate dei mastri muratori, che avevano poco di sacro e molto di profano, come quella rimasta famosa di cui fu autore Mastre Spedite Malatesta, che cantava: "Vurrei salire in ciel se io potesse, nghe 'na scalelle de 60 passe. Vurrei ca la scalelle pu' ze rumpesse, le braccie de la mia bbelle te rebbracciasse". E poi ripartiva il coro dicendo: "E noi ci veniamo nghe lu sone e cante pe l'onore di quel gran sante e Gesù Criste... ecc. ecc.".

Insomma dopo aver cantato il San Sebastiano, una volta entrati nella case, i muratori partivano con estemporanee loro composizioni, che nulla avevano a che fare con il canto vero e proprio, tipiche della cultura artigiana dell'epoca.

Dovevano essere davvero bravi i nostri antichi mastri muratori, non solo a fa' le lammie (a costruire le volte a botte ed a crociera), che quelli di oggi si sognano di realizzare nonostante l'ausilio degli architetti, ma anche come autori di improvvisate strofe musicali, spesso dettate dal vino cotto e da la miscardélle (vino moscato).

Il 20 Gennaio, il giorno celebrativo della ricorrenza del martirio del santo, ancora nghe le péchere ngúrpe (con le sbornie in corpo) rimediate nella serata precedente, e non ancora del tutto sbollite, facevano dire la messa.

Ciò che vi ho appena descritto accadeva ancora nell'immediato dopoguerra.

Sul finire degli anni '50, invece, la forma di venerazione di San Sebastiano, perse molto del suo fascino e della sua poesia, complice il fenomeno dell'emigrazione che raggiunse proprio in quegli anni livelli altissimi, che vide anche i figli degli antichi maestri muratori, scegliere le vie della Francia, della Germania e della Svizzera.

In quel periodo non si dissero più le messe a San Sebastiano e rimasero a cantarlo per le case la sera della vigilia qualche mezza cucchiére (discreto muratore) e le mannébbele (ragazzi manovali muratori), che sulle orme degli antichi maestri, tentarono in qualche modo di emularli, facendo però più commedia che altro. Alcuni si sbilanciarono persino con qualche coreografia, indossando delle tonache bianche con raffigurata una grossa croce rossa sul petto, tipo costume da crociato o attuale diacono, ma non era certamente l'abito a fare il muratore.

Nonostante la lenta agonia che in quegli anni sembrò portare alla fine della tradizione, il San Sebastiano, così come era capitato al santo in vita, fu duro a morire.

Infatti, benché nuovamente ferito, questa volta dai nuovi tempi e dal progresso, il suo canto riuscì a sopravvivere ancora per qualche decennio alle mutata realtà sociale, grazie sopratutto ai bambini.

Furono loro a tenere alto il fronte nei primi anni '60.

In un epoca in cui non c'erano le televisioni e l'unica forma di svago, oltre ai giochi di strada, erano li giurnalétte (i fumetti), peraltro anche difficili da procurarsi, San Sebastiano rappresentava per i bambini, più che un martire, un mito, una leggenda.

A dire il vero era un San Sebastiano semplificato quello dei bambini, che non aveva nulla a che vedere con quello dei padri muratori, o della versione, ancora diversa, cantata dai soliti fratelli Vitarille, Angiuline, Dichidore e 'Ntonie Ialacci, che pur non essendo frabbicatìure, cantavano di tutto: dai canti di gennaio alle strofe di canzoni popolari paesane.

Quello cantato dei bambini, era in realtà una specie di Pasquetta, anzi direi che la musica era proprio quella, con un testo che ricalcava, con qualche variante, quella degli adulti.

I bambini lo cantavano accompagnati da nu rucunàtte (armonica a bocca giocattolo) e dagli immancabili stagnarílle, che altro non erano che tappi metallici delle bottiglie delle prime hazzóse (gazzose), che appiattiti con un martello e forati al centro, venivano fissati con un chiodo, a gruppi di quattro cinque, lungo una stecca di legno, producendo, con il movimento della mano e battendo tra di loro, un suono metallico.

Qualche altro bambino accompagnava il canto nghe lu sfruculatàure anche chiamato in dialetto tavele de le pènne (con una tavola per lavare i panni), che aveva fregato alla mamma che l'ave' lassate vicéne a lu tinéccie (temporaneamente lasciata dalla mamma vicino al tino per lavare i panni). Lu sfruculatàure, fregata alla mamma e sfregata a ritmo con con una sottile stecca di legno, procurava un suono simile, ma più marcato del guiro, strumento a raschiamento latino-americano, di origine africana.

Per poter cantare erano inoltre necessari 'na copie (una copia del testo canto)  ed una candela, per poterla leggere nell'oscurità della notte. Le pile, a batteria, all'epoca, erano ancora lontane anni luce dalla diffusione di massa e pur essendo in commercio, solo qualcuno se le poteva permettere di comprare.

Anch'io, da bambino, andavo cantando lu Sante Sabbastìjane, con gli amichetti del quartiere.

Erano sette parti, in un italiano che risentiva ancora molto di influenze dialettali.

La strofa più famosa e la più struggente, che ci feriva vedendo il nostro eroe soccombere dinanzi ai soldati romani, era questa: "Sebastiano giovanotto per la fede lui è morto vicino a 'na quercie l'honno (l'hanno) legato e cinque frecce j'onno (gli hanno) tirato",

Ma lo scoramento per il martirio subìto passava súbito dopo, quando intonavamo: "Sebastiano dalla Francia con la spada e con la lancia e con la spada e con la luna è lu patrone de la pinture (guaritore delle malattie)", che noi bambini, non conoscendo il significato de la pinture, dicevamo de la pintune per fargli fare rima con luna.

Era in questa strofa che lo vedevamo forte ed invincibile con la sua spada e con la sua lancia, pronto a difendere l'umanità dal male, dalle ingiustizie e dalla malattia.

Vi era poi una strofa, a ripensarci oggi la più simpatica, che lo riconduceva alla nostra dimensione di bambini e di scolari.

Era questa: "Sebastiano piccolino andava a scuola sera e matino, tutto quello che sapeva tutto coso gli diceva".

Quel "tutto coso", cioè il fatto che San Sebastiano piccolino sapeva tutto di ciò che gli chiedeva il maestro, era fantastico. Ce lo faceva apparire ai nostri occhi come un portento a scuola, il primo della classe, insuperabile, tutto il contrario di molti di noi, che preferendo giocare per le strade, eravamo sovente in difficoltà durante le interrogazioni da parte del maestro, che ci bacchettava, ci tirava le orecchie, ci metteva in castigo, facendoci inginocchiare dietro la lavagna, spesso con i ceci sotto le ginocchia. Era una strofa che lo avvicinava molto alla nostra condizione di scolari e per questo motivo il santo lo sentivamo ancor più vicino a noi. 

Con la generazione, degli anni '50, che divenne adoloscente, e con le prime novità tecnologiche che mutarono le abitudini dei giovani sansalvesi negli anni '60 (motorette 48 di cilindrata, flipper, jukebox, mangiadischi ecc.), anche il nostro San Sebastiano finì per essere considerato roba d'altri tempi.

Come accadde per tutti i canti di gennaio, compresi il Capodanno, la Pasquetta ed il Sant'Antonio, anche il San Sebastiano fini nel dimenticatoio.

Ma per fortuna, dopo lungo letargo, vi fu un primo risveglio nei primi anni '80, quasi in contemporanea con il ritorno del Sant'Antonio Abate.

Tra i fautori della rinascita vi fu certamente Ennio Di Pierro, mastro muratore, da giovane emigrato in Francia ed al ritorno fra i primi imprenditori edili locali, figlio di Mastre Virginie De Prìre, che in quel periodo si prodigò affinchè tornasse in vita anche lu Sante Sabbástejáne.

Evidentemente era troppo forte per lui la nostalgia di quelle serate vissute durante la sua fanciullezza, quando, ancora bambino, seguiva suo padre Virginio e gli altri méstre frabbicatìure, durante le serate del 19 gennaio.

Il gruppo, che riportò ai fasti di un tempo lu Sante Sabbastìjáne dei padri muratori, era costituito oltre che da Ennio, da Augusto Giustino Iezzi, suo socio nella successiva omonima impresa, e da tutti gli amici che il 15 gennaio andavano cantando anche il Sant'Antonio. Tra i partecipanti spiccavano due baldi "giovanotti" interpreti dell'antico San Sebastiano dei padri muratori, ormai anziani, e precisamente Mastre Antonie Piccinciàlle (Antonio De Filippis), detto "piccinciàlle", cioè piccioncino, per la sua piccola statura, che cantava solo in controcanto, e suo fratello Zi Umbuertúccie De Filippis, che si alternava alla chitarra ed al mandolino. L'orchestrina musicale era costituita da Leone Balduzzi al violino, da Olindo Palucci al mandolino banjo, da Tonino Masciale alla fisarmonica e spesso anche da me con il mandolino o il violino.

Fu allora che ascoltai per la prima volta la versione originale del San Sebastiano e ne rimasi, com'era prevedibile, affascinato.

A sin. in piedi Ennio Di Pierro, con in mano un registratore, mentre registra un assolo di Mastr'Andonie piccingiàlle (Mastro Antonio De Filippis) che cantava unicamente in controcanto. Dietro Mastr'Antonio si intravede Vitarìlle (Vito Ialacci), voce solista della famiglia Ialacci. Sulla sinistra si intravedono, visto da dietro, i capelli di Renato Artese e di profilo Augusto Iezzi, altro mastro mutratore. Seguono Tonino Marisciàlle (Masciale) alla fisarmonica, Leone Balduzzi al violino, il già citato Ennio Di Pierro, il rag. Angiolino Ciavatta, al suo fianco, seduto, Donato Corrado ed al centro, con il mandolino, Zi Umburtúccie De Filippis, anch'egli mastro muratore, fratello di Mastro Antonio.


Ed a proposito di muratori, è un vero peccato che da qualche anno a questa parte, la categoria dei muratori moderni non canti più "Lu Sante Sabbastìjàne".

Evidentemente le giovani leve dell'imprenditoria edile locale, non sentono più il fascino del santo protettore dei loro avi, presi come sono dal logorio della vita moderna, così come diceva in televisione Ernesto Calindri in una vecchia pubblicità della Cynar degli anni '60.

Ma il San Sebastiano, come nella leggenda della sua vita, è duro da morire.

Da qualche anno è tornato in auge.

Sono gli "Amici della Tradizione", capitanati da Cesario Raspa, che hanno raccolto la staffetta ed ogni anno ripropongono il tradizionale canto. Agli "Amici della tradizione" va il merito di aver rivitalizzato non solo lu "Sante Sabbastijáne", ma numerosi canti tradizionali, che curano anche dal punto di vista scenografico, portando in scena, anche nei paesi limitrofi, gli antichi usi e costumi della nostra civiltà contadina.

Grande merito va anche ai ragazzi della New Generation, gruppo di giovani amici che rappresenta un bel futuro per le nostre antiche tradizioni, che da qualche anno è impegnato alla ricerca costante delle canzoni folcloristiche locali, tra cui i canti di gennaio,

Prima di concludere, però, debbo svelarvi qualcosa che tornando per un attimo al patrono dei muratori, ha lasciato, questa volta a me, di stucco.

Tratto da Wikipedia:

"A Roma, il 12 Maggio 1957, venne organizzato il Raduno Nazionale dei Vigili Urbani, ricevuti, poi, da S.S. Pio XII. Fu in quella occasione che il Papa proclamò il Martire cristiano San Sebastiano, con le storiche e commuoventi parole “per essere stato custode di tutti i preposti all’ordine pubblico che in Italia sono chiamati Vigili Urbani. San Sebastiano è patrono degli Agenti di Polizia Locale e dei loro comandanti, ufficiali e sottufficiali (Breve apostolico del 3 maggio 1957 di sua santità il Venerabile Pio XII)".

Praticamente, fra la quale, cioè, come intercalavano i loro discorsi un periodo molti sansalvesi parlando in italiano, San Sebastiano è il santo patrono di mezzo mondo, ad eccezione de li frabbicatìure (dei muratori).

"Vattele a pésche" (Vattela a pescare la verità), modo di dire sansalvese, a significare che la verità non è mai certa.

NOTA:

Nella "biografia-leggenda" ufficiale del santo, si legge che San Sebastiano non morì dopo essere stato ferito dalle frecce scagliate contro di lui dai soldati romani, in quanto, quando tutti lo credevano morto, sopravvisse grazie a Santa Irene che si accorse che era ancora vivo e lo curò. La sua morte avvenne anni dopo quando venne flagellato a morte a Roma."



Fernando Sparvieri


 






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