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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










La Pasquetta
(Canto tradizionale)

Tra nostalgia e riedizioni
 

di Fernando Sparvieri




Eravamo intorno alla fine degli anni '50.

Per i vicoli non ancora si era spenta l'eco del ritornello del tradizionale canto augurale del buon Capodanno, che già era tempo di uscire nuovamente per le vie del paese per intonare, sotto le case degli amici e parenti, le note della Pasquetta.

La notte del 5 gennaio, infatti, quella che la tradizione vuole che arrivi la befana, si cantava per le case la "Pasquetta" (in vero dialetto sansalvese la Pasquarélle), un canto tradizionale che annunciava l'arrivo a Betlemme dei Re Magi, i quali, seguendo la stella cometa, giunti alla Sacra Grotta, portarono in dono oro incenso e mirra a Gesù Bambino.

Il testo, per dare maggiore risalto ed importanza all'evento, era espresso in un italiano che risultava all'ascolto piuttosto maccheronico, in una società contadina ancora semianalfabeta, in cui la lingua ufficiale era quasi per tutti il dialetto.

L'arie (il motivo musicale) della canzone ed il testo, potete ascoltarlo e leggerlo di seguito:

Audio
Interpretazione degli amici della Pasquetta

Alla fisarmonica Ivo Balduzzi, alla chitarra Ergilio Monaco ed al mandolino Fernando Sparvieri.

La Pasquetta

Noi veniamo in questa sera
con la nuova più che vera
domattina è la Pasquetta
che sia santa e benedetta.

Si riempiono i nostri cuori
di contenti e di stupore
vanno gli angioli cantando
ed i pastori van festeggiando

Van dicendo per la via
oggi è nato il Gran Messia
i tre re dall'oriente
se ne partirono allegramente.

Grande stella rifulgeva
per la via li dirigeva
arrivata ad un tal luogo
si fermò la stella un poco.

Si fermò la bella stella
sopra rozza capannella
dove c'era il Gran Signore
Dio è nato, il Redentore.

Ivi giunti i santi re
genuflessi tutti e tre
al bambino Redentore
diedero mirra, incenso e oro.

Adorato il Dio Bambino
si rimisero in cammino
e devoti rimarranno
e dal tempio se ne vanno.

Or che detto abbiamo il vero
di un grandissimo mistero
noi di qui non ce ne andremo
se di doni non ne avremo.

Dateci a noi un gallinaccio
o salsiccia o sanguinaccio
o prosciutto o mortadella
o buon cacio o scamorzella.

E se ora non potete
domattina ce li darete
ed intanto vi auguriamo
Buona Pasqua e ce ne andiamo.


In realtà, anche se il testo aveva la pretesa di trattare un tema religioso, com'era nella tradizione di tutti i canti di gennaio, come quelli a seguire del Sant'Antonio (la notte del 16 gennaio) e del San Sebastiano (in quella del 19), vi era molto di profano e poco di sacro.

L'occasione era ghiotta per trascorrere un'altra nottata in allegra compagnia, sperando nella generosità delle famiglie sansalvesi a cui ci si rivolgeva, senza mezzi termini, nelle ultime 3 strofe del canto, per ottenere prelibatezze culinarie di ogni tipo, preferibilmente saggecce, lummille, fecatezze, sprisciate e mendrecene, salami tipici della nostra zona.

Era un appuntamento irrinunciabile a cui si davano convegno bambini ed adulti.

Partivano prima, all'imbrunire, i bambini, che non avevano mete prefissate. Andavano un po' all'avventura, sperando che qualcuno, dopo aver cantato, aprisse la porta e donasse loro qualche cagginàtte (calcinetto), féchera sàcche (fico secco) o al massimo qualche stózze de saggéccie (un pezzo di salsiccia).

A tal proposito, ricordo che una sera, io ero bambino ed abitavo in IV Vico Savoia, entrambi i miei genitori erano indaffarati in cucina a preparare lu rusórie o resólie (rosolio), liquore fatto in casa, di colore giallo, come il famoso Strega di Benevento, di cui negli anni '50 un po' tutte le famiglie ne facevano provvista, pe cácciárele (per offrirlo) a li frastìre (agli ospiti), che sarebbero venuti a far visita durante l'anno.

Mentre i miei genitori erano indaffarati a preparare lu resólie, all'improvviso un gruppo di ragazzini, tra cui c'era Marie di Kichinìlle (Mario Del Carlo) e Vite Neciarélle (Vito Bracciale), iniziò a cantare fuori dalla porta. Quando terminarono, i miei genitori li fecero entrare in cucina, dove in bella evidenza vi erano bottiglie appena riempite de resolie, sparse qua e là sul tavolo e sopra la credenze, che profumavano l'aria.

Non essendo la mia una famiglia in cui z'accidàve lu pórcie (si ammazzava il maiale) e non essendoci capàzze de saggecce appese a le mazze ( nelle mazze) nel solaio, dopo che mia madre offrì ai ragazzini qualche dolcetto, mio padre tirò fuori dalla tasca 100 lire, una bella sommetta per i bambini dell'epoca (un gelato costava appena 5 lire) e li diede a Marie de Kichinìlle, in modo che potessero il giorno dopo comprare qualche caramella e cioccolatini a la putéche de Mastre Uìde (Guido Monacelli), che aveva un negozio di generi alimentari in C.so Garibaldi.

Tutti sembravano soddisfatti per il dono ricevuto e stavano per andar via.

Fu allora che Vite Neciarélle, si fece coraggio e disse a mio padre, che era un maestro elementare: "Signore maje' ! Lu luquore fa bbene" (Signor maestro! Il liquore fa bene alla salute).

Com'era consuetudine, dopo i bambini, uscivano i grandi. Tra questi, era rinomata la squadre (il gruppo) di Vetarìlle (Vito Ialacci) che con i fratelli Angiulìne alla fisarmonica e Dichidóre (Teodoro) a la du bbotte, insieme ad un numeroso gruppo di amici, cantavano seri, come se stessero interpretando un pezzo d'obbro (un'opera lirica).

Anche la Pasquetta, così come tutti canti folcloristici del mese di Gennaio, per moltissimi anni era finita nel cassetto del dimenticatoio, a causa del progresso e dell'avvento negli anni '70 della televisione, che ha letteralmente mutato nell'ultimo quarantennio del secolo scorso le abitudini serali degli italiani.

Dopo un lungo periodo di silenzio è tornata in auge grazie all'impegno di Nicola Iannace, il quale ormai da circa un ventennio, cura in ogni aspetto la manifestazione, avendo creato un gruppo, "Gli amici della Pasquetta", che la sera del 5 gennaio esce puntuale per le vie del paese, cantando in punti prestabiliti il tradizionale canto. Dall' edizione del 2011 Nicola ha voluto dedicare la manifestazione al maestro Evaristo Sparvieri, al quale si era rivolto per ricostruire il testo ed il motivo musicale, di cui se ne erano perse ogni traccia.

La manifestazione, a cui partecipa un numero elevato di cantori, si svolge per le vie del paese, con tappe ormai consolidate, che richiamano annualmente una folta schiera di appassionati spettatori. E' frequente vedere la commozione, sopratutto tra le persone anziane, che intonano insieme al coro l'antico canto.

Era diventato d'obbligo, passando per C.so Umberto, soffermarsi sotto il balcone dell'ormai anziano Lillìne(Leone) Balduzzi, dove il gruppo, con Leone affacciato al balcone, intonava in suo onore le note della sua canzone "Sante Salve bbelle", momento molto commovente, che dal 2015, anno della sua dipartita in cielo, viene vissuto con mestizia e nostalgia.

Con i tempi che sono mutati e considerato il grande numero dei partecipanti, la manifestazione termina in un ristorante del paese, ove si danno appuntamento amici e parenti dei cantori per una serata in compagnia e allegria, all'insegna della solidarietà.

Nicola Iannace, infatti, ha voluto abbinare a questa ricorrenza il tema della solidarietà verso una persona bisognosa.

Grazie a Nicola, una tradizione che pareva totalmente scomparsa, è risorta.

Fernando Sparvieri

 






I racconti di Fernando Sparvieri

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