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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










Don Giuseppe Cnquina
(Una stella cometa nella notte sansalvese)

di Fernando Sparvieri




Don Giuseppe, a bordo di un camion, gravemente malato, giunto in prossimità delle ultime case, si voltò e benedisse per l’ultima volta la sua amata San Salvo. Sapeva che non sarebbe mai più tornato.

Sono rimasto letteralmente affascinato dalla figura di Don Giuseppe Cinquina, un giovane prete vastese, parroco di San Salvo dal 28 ottobre 1944 al 6 gennaio 1945, costretto ad abbandonare la sua missione pastorale, quasi appena arrivato, a causa di una grave malattia che lo avrebbe condotto dopo qualche mese alla morte.

Ricordo che una volta, chiesi a mio padre:”Chi è stato parroco di San Salvo prima di Don Cirillo?”.

E mio padre, senza esitazioni, mi rispose queste testuali parole: “Don Giuseppe Cinquina. Quanto era bravo. Era di Vasto. Un santo. Purtroppo è morto giovane dopo qualche mese dal suo arrivo a San Salvo! Aveva 27 anni”.

Sulla vita e l’opera di Don Giuseppe, ha scritto un libro D. Gaetano Meaolo , dal titolo “Una vita con Maria sulle orme di Gesù - D. Giuseppe Cinquina - 1918-1945”, edito da C. Marchionne – Chieti, nel quale ripercorre in un viaggio biografico il breve tragitto terreno del sacerdote, evidenziando le straordinarie doti umane e spirituali di questo servo di Dio, vero pastore delle anime, alla soglia della Santità.

Anche il Prof. Giovanni Artese, studioso e storico sansalvese, nel suo libro "Storia di San Salvo (dalle origini al 1994), edito da Edigrafital S.p.a. - Teramo, si occupa della breve permanenza a San Salvo di Don Giuseppe Cinquina, nell'immediato dopoguerra.

Come si legge nel libro del Prof. Artese, Don Giuseppe arrivò a San Salvo tra l’indifferenza generale, insieme a sua sorella Michelina, il 28 ottobre del 1944, sconsigliato da tutti ad accettare l’infausto incarico. In quegli anni San Salvo godeva davvero di una brutta nomea, sopratutto tra le alte gerarchie ecclesiastiche. Nella lettera che Mons. Venturi scrisse al Prefetto di Chieti, che di seguito leggerete, viene fuori una descrizione alquanto raccapricciante della condizione sociale, culturale e religiosa della popolazione sansalvese, anche se a me piace pensare che il Monsignore calcò volutamente la mano al fine di sollecitare un urgente intervento istituzionale per aiutare la popolazione ancora stremata dal passaggio della guerra nell' Ottobre 1943.

Tenetevi forte.

Tratto dal libro "Storia di San Salvo" del Prof. Giovanni Artese:

Così scriveva Mons. Venturi al Prefetto di Chieti, Romualdi: “Non so se conosciate quel paese veramente disgraziato (San Salvo). Conta 5 mila abitanti. E’ un paese abbastanza ricco, ma quanto a civiltà, a Religione, è purtroppo, come un quartiere dell’Albania. Bambini sporchi, sudici, stracciati, abbandonati a se stessi, sono sempre in gironzoloni per le strade, offrendo ai forestieri il più desolante spettacolo. Quando si presenta una macchina, è come se si presentasse una delle sette meraviglie del mondo. Non ve n’è uno che si levi il cappello o faccia un qualunque atti di ossequio. Tali fanciulli di oggi saranno sicuramente i delinquenti di domani, destinati a portare un largo contributo alle prigioni, ai sanatori ed ospedali. Nulla (i genitori) fanno per i figli. Lo farebbero per le pecore, per le galline, ma per i figli no”.

Sempre a detta del Prof. Artese, non solo Mons. Venturi la pensava in questo modo. Anche moltri confratelli di Don Giuseppe, forse spaventati, a mio avviso a torto, dalla fama dei sansalvesi di essere un popolo di "mangiapreti", anticlericali e comunisti, tentarono in ogni modo di dissuaderlo dall'accettare l'incarico, così dicendogli:

“Lo sai che significa San Salvo? Si salvi chi può! Chi si salva salva”.
“Povero Don Peppino, che brutta Parrocchia ti hanno dato”.

Don Cinquina, invece, che già da chierichetto aveva ricevuto il dono della vocazione ed aveva voluto con tutte le sue forze diventare prete, non li ascoltò affatto, e convocato da Monsignor Venturi, alle parole del superiore che lo mettevano in guardia sulle difficoltà che avrebbe incontrato a San Salvo, dopo essere stato informato anche sulla scarsa "rendita parrocchiale" della Parrocchia di San Giuseppe, così gli rispose:”Non mi son fatto prete per comodità, ma per salvare le anime”.


Tratto dal libro "Storia di San Salvo" del Prof. Giovanni Artese:

A Don Peppno non interessava ‘la bellezza’ della parrocchia né la sua ricchezza (la rendita della Parrocchia di San Giuseppe a San Salvo era in effetti scarsa). Egli voleva realizzare la sua fede, mettere alla prova la sua capacità. Gli ostacoli erano però reali. Il giorno 28 ottobre 1944, quando con la sorella Michelina si portò in baroccio da Vasto (sua città natale) a San Salvo, le difficoltà si evidenziarono da subito per strada e dopo. Il viaggio fu disastroso (a motivo delle strade rovinate dalla guerra e continuamente percorse da mezzi militari); e all’arrivo, nessuno, asolutamente nessuno, volle prestarsi a scaricare quel po’ di mobilio che Don Peppino aveva portato con sè. Il sacerdote che aveva affittato un paio di camere come alloggio, dovette farsi aiutare dalla sorella Michelina in tutto. Un giorno, quest’ultima, dal macellaio raccolse una confidenza: “Noi non abbiamo mai avuto stima dei preti perché quelli che abbiamo conosciuto non hanno dato buon esempio. A quanto pare vostro fratello ha fatto presa...; ma lo si vedrà alla prova dei fatti! Altrimenti se la passa brutta!”.

In effetti, già da pochi giorni dopo il suo arrivo , Don Giuseppe Cinquina aveva dato prova di essere diverso dai suoi predecessori tanto da incrinare l’opinione corrente sul clero.

Egli stesso era consapevole quando affermava:” Questo popolo non è cattivo! E solo male abituato” e quando il 3 novembre, in una lettera al Vicario, scriveva:”Mi sono messo al lavoro subito, organizzando il servizio religioso in chiesa e l’istruzione degli adulti. Mi sembra che il popolo abbia intenzione di seguire”.

Già verso la fine di novembre, a poche settimane dall’arrivo a San Salvo, grazie all’impegno (si era “costituito il circolo della Gioventù maschile di Azione Cattolica”, organizzato il catechismo per adulti e piccoli e si stava riattivando l’asilo, affidato alle suore della Nigrizia), alla generosità e alla premura verso i suoi parrocchiani, il sacerdote poteva registrare di “vedere maggiore frequenza della Chiesa” ed un desiderio di istruirsi del popolo, Quanto ai sansalvesi parecchi ammettevano di non aver mai incontrato un prete così disponibile, un prete che si interessava “dei poveri, dei sofferenti, dei malati, dei prigionieri di guerra, di tutti” insomma.

Persino i comunisti, inzialmente molto ostici, furono colpiti dal suo modo fermo ma pacato di discutere, L’attività dell’arciprete procedeva dunque con crescente successo; sicchè egli volle approffittare “dell’entusiasmo suscitato anche per riparare la Chiesa parrocchiale".

”Questa infatti, oltre ad essere stata danneggiata dalla guerra, anche per inerzia dei predecessori, presentava larghe macchie ed aveva il tetto pericolante (anche a causa di un piccolo ciclone che si era avuto in quello stesso anno): occorreva perciò provvedere, e subito. Don Peppino , che si era acquistato il cuore di tutti, parlò del progetto: la sua idea fu come una scintilla destinata ad alimentare una gran fiamma. Ci fu subito un pullulare ed un fervore di inziative: sembrò che la popolazione fosse stata “mobilitata” più che a portare la proprie offerta in denaro, ciascuno sentì il bisogno di prestarsi a lavorare con le proprie braccia e a portare la “sua” tegola, anzi ciascuno ne porto due. Insomma, in brevissimo tempo il lavoro fu sistemato decorosamente e bene”.

Intanto si arrivava già al Natale, il Natale del 1944, l’ultimo di guerra. L’arciprete Cinquina celebrò le funzioni natalizie, in un clima nevoso, lavorando più del solito e ben poco concedendo a se stesso, neppure quel riposo di cui abbisognava, La sua salute, già precaria, peggiorò. Dal 1 gennaio cominciò ad avere febbre alta, eppure insistette nel voler far almeno l’indispensabile per i suoi parrocchiani. Il 6 gennaio, festa dell’Epifania, era ridotto ad uno “straccio”; e a stento fu convinto a farsi trasportare a Vasto per essere adeguatamente curato. Il suo fisico non era però consunto solo dai soliti acciacchi: i medici diagnosticarono un tumore, che nel giro di pochi mesi l’avrebbe condotto alla morte.

Don Giuseppe cessò di vivere il 14 marzo 1945, senza aver potuto rivedere i suoi parrocchiani di San Salvo (tranne alcuni che erano andati a trovarlo a Vasto) lasciando un grande rimpianto a Vasto, San Salvo e nell’intera Diocesi.”


In una dichiarazione rilasciata a www.sansalvo.net in occasione di una giornata commemorativa del pio sacerdote, tenutasi il 9 marzo 2012 alla Casa della Cultura - Porta della Terra, il Prof. Artese, attuale Assessore alla Cultura del Comune di San Salvo, così sintetizzò il suo pensiero sulla figura di Don Giuseppe :

La sua disponibilità e il suo spirito di servizio vennero immediatamente percepiti dalla comunità parrocchiale e cittadina tanto che quella breve presenza sarebbe ben presto divenuta degna di memoria per molti. Ancora oggi, a distanza di 68 anni dalla sua morte, vivono, attraverso i testimoni sansalvesi rimasti, i gesti, gli atti di quel giovane sacerdote che, nonostante la malattia, appariva sempre sorridente e fiducioso nella sua opera, diretta principalmente ai giovani, ai malati e ai più deboli”.

In questo Santo Natale 2013, ricordando quell’unico Natale 1943 in cui Don Giuseppe Cinquina, gravemente malato, fece baciare il Bambinello ai sansalvesi, ho voluto ricordarLo per tramite questo sito per renderGli, come si suol dire, “onore e gloria”.

La pagina del libro di Giovanni Artese, che vi ho appena trascritta, estrapolata dalla sua "Storia di San Salvo", trattandosi di un opera che si occupa della nostra cittadina dalle origini al 1994, non aveva lo scopo principale di raccontare la vita di Don Giuseppe, ma di descrivere, attraverso testimonianze, in un contesto storico, il suo periodo di permanenza a San Salvo, in qualità di Parroco della Parrocchia di San Giuseppe.

Di tutt'altra natura è invece il libro di D. Gaetano Meaolo , dal titolo “Una vita con Maria sulle orme di Gesù - D. Giuseppe Cinquina - 1918-1945”, che ripercorrendo la biografia di Don Giuseppe, da quando era chierichetto alla Sua morte, racconta la grande fede e spiritualtà di questo Servo di Dio, lodando la grandezza morale e spirituale di un uomo di Chiesa, alle soglie della santità.

Io credo che Don Giuseppe, con poco fece molto.

Non fu una meteora che illuminò il cielo buio e nevoso di quel Natale del 1944.

Fu stella cometa.

Fernando Sparvieri

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