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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










Bionde o brune baste che ze bàve
(Bionda o bruna basta che si beva)

di Fernando Sparvieri





Bionde o brune! Baste che ze bàve!” (traduzione: bionda o bruna, basta che si beva), disse una volta Pierine Rasannelle.

Il buon Pierino (all'anagrafe Pierino Argentieri), mio amico, esilissimo di corporatura e gran bevitore, pronunciò questa frase al bar-gelateria di Gabriele Onofrillo in Via Roma, locale in cui oggi vi è il bar Biondo, che Gabriele aveva preso in affitto negli anni '80 dalla famiglia Tomeo.

Era un afoso pomeriggio estivo e successe che mentre insieme aspettavamo al banco che la signora Antonia, moglie di Gabriele, si sbrigasse a riempire i coni di gelato a due signore piuttosto attempate, una delle due le domandasse con insistenza: “Ma sua mamma è bionda?”.

“No!”, rispondeva la signora Antonia, “mia madre è bruna”.

“Possibile!”, insisteva l’altra,” io me la ricordo bionda!”.

“No!!! Mia madre è stata sempre bruna”, riaffermava convinta la signora Antonia e meglio di lei chi avrebbe potuto saperlo.

Nell’attesa, né io e né Pierino sembravamo interessati all’ argomento, anche se incosciamente entrambi avevamo interiorizzato l’importante discorso.

Quando finalmente dopo 4-5 minuti, le due signore, con i coni dei gelati in mano, ci passarono dinanzi per uscire, in una specie di pertugio tra il bancone ed il muro, fu allora che Pierino, scansandosi per farle passare, disse loro, che non capirono tirando dritte: “Bionde o brune, baste che ze bàve!”, volendo alludere al fatto che per lui il colore dei capelli della mamma della barista era ininfluente rispetto al vero motivo per il quale era lì con me in attesa: farsi un buon bicchiere di vermouth.

Ho preso in prestito la frase di Pierino per parlarvi delle “Sagne”, di quella manifestazione culinaria che ogni anno, nel mese di Aprile, si svolge per devozione di San Vitale Martire, Patrono di San Salvo, nell’imminenza della festa patronale .

Certamente vi starete chiedendo : “Ma cosa c’entra la frase di Pierino con le Sagne?”

A mio avviso c’entra e come, e se avrete la compiacenza e sopratutto la pazienza di continuare a leggere sino all’ultimo lo scoprirete.

Dunque, nel corso di questi ultimi anni, con la riscoperta e la valorizzazione delle tradizioni, sono stati pubblicati numerosi articoli, che cercano di fare chiarezza sulle origini dell'usanza delle “Sagne".

L'hanno fatta da padrone due tesi apparentemente contrastanti di due vecchi amici, anzi “amicissimi” tra di loro, che non ci sono più, e cioè quella di Don Cirillo Piovesan, il prete, autore del libro “Città di San Salvo” (il primo libro che si occupa della storia di San Salvo, ancor prima di “Storia di San Salvo” di Giovanni Artese), e poi quella sostenuta dal maestro elementare Evaristo Sparvieri, mio padre, il quale, nonostante di libri non ne abbia pubblicato nemmeno uno, è un po’ considerato dalla memoria collettiva paesana una specie di Socrate nostrano, i cui insegnamenti sono stati demandati ai posteri dai suoi numerosi allievi, come avveniva nella famosa scuola peripatetica aristotelica.

Orbene la differenza tra le due tesi, in sintesi, è la seguente.

Don Cirillo, nel suo libro "Città di San Salvo", pubblicato nel 1978, sostiene che la tradizione delle “Sagne”, deriva da un originario pranzo per i poveri, offerto dal Cardinale Pier Luigi Carafa a seguito dell'arrivo in San Salvo delle reliquie di San Vitale Martire (20/21 Dicembre 1745).

Il maestro Evaristo, invece, come si rileva in un suo articolo del 1986, pubblicato sul giornalino locale "Il Nodo'', sostiene che questa tradizione non ha nulla di religioso, ma nacque dal fatto che i deputati alla festa, non esistendo anticamente in paese i mulini, per macinare il grano che serviva per fare le pircilléte (i taralli), si recavano al mattino al mulino Pantanella di proprietà comunale (nei pressi del passaggio a livello in C.da Stazione), distante circa 5 chilometri dal paese. Quì impossibilitati a tornare a mangiare a casa a mezzogiorno, iniziarono ad essere ospiti del mugnaio, dando così origine ad un pranzo che negli anni successivi assunse man mano carattere popolare, quando i ragazzi ed alcuni beoni del paese, appurando che lì si mangiava, iniziarono affeléreze (a seguire) il corteo dei cavalli che partiva con le some in groppa per il mulino, con la speranza che venisse offerto anche a loro un piatto di sagne. Secondo il maestro Evaristo, quand'egli era giovane, era addirittura un disonore recarsi al mulino senza essere invitati.

Avrà ragione l’uno o l’altro?

Lasciando il compito di appurarlo ai veri storiografi, e tornando al nostro amico Pierino, ritengo che a quello sparuto gruppo di giovani, che durante il pranzo delle sagne si ubriaca e va in escandescenze, interessi davvero poco.

A loro interessa che “Bionde o brune, baste che ze bàve!” (Bionda o bruna, basta che si beva).


10 aprile 2014





I racconti di Fernando Sparvieri

Indice

Gente, usi e costumi del mio paese



Un libro sul web

MA CHI SAREBBERO
LI SALVANESE

di Fernando Sparvieri

Indice

I forestieri a San Salvo



I racconti del mare

I pionieri del mare ed altro


di Fernando Sparvieri
Indice

Emilie de Felicìlle
(Emilio Del Villano)















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