di Fernando Sparvieri
"E quélle è stìpute!" (E
quel ragazzo è uno stupido!)
"E peccà?" (E perchè?)
"Ne fimue!" (Non fuma!)
Sembrerà paradossale quanto sto per raccontarvi, ma un
tempo un ragazzo che non fumava era considerato uno
stupido, un sempliciotto.
Il problema era che a considerarlo uno sciocco, un mezzo
cretino, non erano i suoi coetanei, che fumavano, ma le
ragazze, alle quali evidentemente piaceva il fumo negli
occhi, nel senso che preferivano fidanzati fumatori.
Mi raccontò Vitale D'Adamo, il commerciante di frutta e
ortaggi, che quando si fidanzò, nei lontani anni '50, la
fidanzata, dopo qualche giorno, gli chiese: "
Ma tu ne
fimue?" (Ma tu non fumi?)
"
Nàune" (No), le rispose Vitale.
"E peccà?" (E perché), gli domandò la fidanzata.
"
Aje pruvuate" (Ho provato), le rispose Vitale,
quasi per giustificarsi, "
ma a mà ne me piace" (A
me non piace).
"
E coma ma'? Fimue tutte quinte!" (E come mai?
Fumano tutti!)
Il povero Vitale si rese conto a cosa volesse alludere la
fidanzata e così il giorno appresso si comprò un bel
pacchetto di sigarette e se ne andò a fare mercato
nghe
la laparélle (con un' Ape Piaggio) a Scerni.
Mentre era lì, pensò di accendersi una sigaretta. L'accese
e cominciò
a spuppuje' (a fumare), ma non tirò
neppure due tre boccate, che gli venne
nu voddacére (un
capogiro).
Per sua fortuna c'era accanto a lui un albero. Si
abbracciò al tronco e rimase lì avvinghiato sino a quando
non gli passò il malore. Prese le sigarette, le stritolò
tutte, e decise di non fumare mai più.
La sera,
al ritorno, andò a trovare a casa
la
spose (la fidanzata) e le disse:"
Ue' a mà lu
fimue me fa male. Mo' se me vu' accusce' gna so' è
bbene, senna' fa gna vu ti" (Ascolta! A me fumare fa
male. Adesso se mi vuoi sposare così come sono va bene,
altrimenti fai come vuoi).
La fidanzata capì la difficoltà del ragazzo e non gli
disse più nulla. Il risultato fu che Vitale, campò più di
novantanni, senza mai più toccare una sigaretta,
risparmiandosi tra l'altro un sacco di soldi, cosa non
trascurabile e chi scrive ne sa qualcosa.
La storiella di Vitale appena raccontata è emblematica.
Era proprio così. Negli anni '50, ma anche prima, i
ragazzi che non fumavano partivano svantaggiati nel
corteggiare le ragazze, che li volevano belli e pimpanti.
A tal proposito mi torna in mente un concetto espresso da
mio zio Mimì Napolitano che un giorno mi disse sorridendo:
"
Le famméne, preme vanne truvuénne lu spóse celléne e
doppe che ze sposene vónne ca le maréte ammàccuene le
'ràcchie" (Le donne, prima cercano fidanzati vispi,
alla moda e poi, dopo il matrimonio, vogliono che i mariti
abbassino le orecchie).
Ed i ragazzi, pur di dimostrarsi
céllene alle
ragazze, fumavano di tutto: da
le popolare (marca
di sigarette chiamate Popolari)
a le ciarìlle
(sigarette realizzate a mano con cartine e tabacco). E
quando non avevano di che fumare ci pensava la
paje de
sìggele (l'impagliatura delle sedie), che molti
tagliavano, di nascosto dai genitori, sotto il pianale
delle sedie, avvolgendole alla carta dei giornali. Il
risultato era che, taglia oggi e taglia domani, le sedie
prima o poi si sfondavano, facendo imprecare qualcuno che
sedendosi si ritrovava all'improvviso con il culo che
toccava quasi per terra.
Erano tempi neri quelli per i ragazzi, ancor più neri del
fumo di quelle sigarette fatte con
la paje de sìggele.
I giovanotti stavano quasi sempre
sfasciulìti
(senza una lira in tasca) e sebbene le sigarette si
vendessero sfuse allo spaccio
de Micchelìne de
Crapacotte, l'unico del paese, a volte non
riuscivano a comprarne nemmeno una, manco facendo tra di
loro una colletta. Quando ci riuscivano, se la passavano
quella sigaretta di bocca in bocca, tirando una boccata
ciascuno.
"
Ue'! Faciàteme tere' 'na buccate pure a mà" (Ue'!
Fatemi fare una boccata anche a me), chiedeva loro qualche
amico che non aveva partecipato alla colletta.
Per fortuna arrivava in loro soccorso
Nonsaccie (Luigi
Nuzzaci)
. Rubavano qualche uovo dal pollaio di
famiglia ed andavano a rivenderlo a
Nonsaccie,
lu
ove a ove, commerciante che acquistava le uova ed
altri prodotti della misera economia agricola, originario
di Soleto (LE), trapiantato a San Salvo, la cui storia,
originalissima, potrete leggerla
cliccando
qui.
E tornando alle ragazze, che oggi sono diventate per molti
versi, compreso il fumo, più
céllene di tanti
maschi, anche se questo termine dialettale non si addice
ad una donna derivando da una denominazione del sesso
maschile, i ragazzi del paese le aspettavano la domenica,
a mezzogiorno, quando uscivano da messa, sotto l'arco
della Porta de la Terra. Lì dovevano ripassare e lì si
appostavano con le sigarette in bocca, nella speranza di
far colpo su di esse. Mi raccontò Sebastiano Valentini che
i giovani, mentre passavano le ragazze, accompagnate dai
genitori, le guardavano con occhio furtivo, e fumando e
fantasticando dentro di loro, pensavano "
Canda è belle
càlle. Me le spusasse" (Quanto è bella quella
ragazza. Me la sposerei), aggiungendo poi sconsolato:
"Ma chelle a ni', ne j penzave manghe pe sunne" (Ma
quelle, le ragazze, non ci pensavano manco per sogno),
almeno questo gli sembrava in apparenza, anche se, a
quanto pare, restavano inebriate da quel profumo forte di
tabacco e non solo.
E si! Erano tempi davvero neri, quelli, per i nostri
ragazzi ed anche per le ragazze. La mentalità sansalvese
era molto più retrograda rispetto a quella di altri paesi
del circondario. Molti giovani se ne andavano a ballare
nelle vicina Montenero di Bisaccia, dove con una
fisarmonica o con una
du' botte, sopratutto nelle
masserie
, i genitori delle ragazze erano molto più
consenzianti e
ze mettàve bbálle (si ballava).
A dire il vero, qualcuno di loro,
jàve pure a Scìrne (Scerni).
Cosa andasse a fare?
Per scoprirlo guardatevi il video di sotto. Forse è
meglio. Vi anticipo solo che era un modo di dire, da non
dire, in cui Scerni, paese, in qualche modo c'entra, o
meglio in qualche modo c'entrava.