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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










Quando i bambini facevano óje
(La scuola elementare negli anni '50)



di Fernando Sparvieri


Anno scolastico 1958-59 - Il maestro Evaristo Sparvieri con una sua classe dinanzi al palazzo scolastico. La sua bacchetta si chiamava "Za' Catarine". A detta dei suoi alunni la usava raramente.


Arrivavano certe bacchettate sulle mani!!! Alcuni scolari, per alleviare il dolore, già alla prima bacchettata si mettevano la mano colpita tra le gambe, altri ci soffiavano sopra. Spesso era solo l’inizio del supplizio perché il maestro, per niente impietosito, doveva completare il suo ciclo mentale di bacchettate che aveva stabilito per pena. Altre volte, invece, all’improvviso, da dietro le spalle, a tradimento, il maestro, tirava a qualche alunno le orecchie che parevano elasticizzarsi sino al soffitto, per poi tornare, lasciata la presa, al loro posto, restando rosse per ore intere.

Dopo 4 mesi di vacanza era dura, sopratutto per i maschietti, compreso me, prendere la “balisciàtte” (la cartella), rimettersi il grembiule e colletto bianco e tornare a sedere sui banchi di scuola dove c’era il maestro e sopratutto la sua bacchetta ad attenderli. Le scolare, invece, che frequentavano rigorosamente classi solo femminili in cui vi era la maestra, vivevano il ritorno a scuola con maggiore predisposizione al dovere rispetto a noi maschietti, frequentando con più diligenza e migliori risultati.

Per i maschietti, invece era un po' diverso.

Erano gli anni in cui era ancora molto diffuso l’analfabetismo e gli scolari, la gran parte figli di gente che sapeva a malapena mettere la propria firma su un foglio, percepivano l’ambiente scolastico come un luogo ostile, come una specie di "prigione" in cui era obbligatorio andare perché così volevano gli adulti. La scuola dell’obbligo, che bisognava frequentare almeno fino a quattordici anni (se qualcuno non frequentava la scuola arrivavano i carabinieri a casa con il rischio di andare a finire in casa di correzione), era la meta massima che molte famiglie si prefiggevano per la cultura dei propri figli. Dopo la scuola dell'obbligo, sopratutto a causa degli scarsi mezzi economici a disposizione, era normale per molti ragazzi e ragazze abbandonare gli studi per intraprendere i lavori nei campi o imparare l'arte nelle botteghe artigiane (jávene a lu muástre o a la màstre).

I maestri elementari dell’epoca, che erano delle vere autorità paesane, cercavano di insegnarci a scrivere, a saper far di conto, a farci apprendere la storia, la geografia, e sopratutto, ad inculcarci il senso civico e del dovere; ma era un’impresa ardua: eravamo un po' tutti dei Pinocchio che sognavamo il paese dei balocchi.

La soluzione, quando lo scopo non lo si raggiungeva con i metodi d’insegnamento tradizionali, diveniva quindi il castigo dell’alunno, la punizione del “somaro”, in ginocchio dietro la lavagna, un sonoro ceffone ed immancabilmente qualche bacchettata sulle mani.

Tra i vari castighi era però la bacchetta, il vero simbolo della punizione, lo strumento principe di "tortura" più usuale e quindi anche il più temuto dagli scolari. Parcheggiata lì, sulla cattedra, come una normale stecca di legno senz’anima, di colpo, allo scatto d'ira del maestro, prendeva anima e corpo per umiliare dolorosamente dinanzi a tutti il "somaro".

Insomma alla bacchetta era demandato il compito di coadiuvare l’insegnante nell’educazione e nell’erudizione scolastica dell’alunno, il quale era conscio che prima o poi avrebbe fatto l’incontro con quel mezzo punitivo, che era parte integrante dell’arredo scolastico.

Anzi erano gli stessi genitori ad invogliare i maestri a bacchettare i propri figli, istituzionalizzando in un certo qual modo il suo uso. Era frequente infatti vedere qualche padre che recandosi a scuola per informarsi sull’andamento scolastico della propria prole e ricevendo dal maestro un giudizio non proprio lusinghiero, dapprima lanciava al figlio uno sguardo feroce dicendogli “gnàrvi’ a la cáse!!!” (come torni a casa!) a significare che al ritorno a casa avrebbe ricevuto “ 'na puche de cintrinánne” (colpi dati a mò di frusta con la cintura dei pantaloni), e poi aggiungeva: “Signore Majé’! Dáje a quésse!!” (Signor maestro, non faccia complimenti! Lo riempia pure di botte a mio figlio!).

Mázze e panìille fanne le féje bbìlle” (botte e pani fanno i figli sani), diceva un antico proverbio delle nostre parti e questa era la mentalità diffusa e ricorrente nelle nostre famiglie.

Spesso mi sono chiesto se l'uso di queste punizioni, a scuola, sia stato un bene o un male per le passate generazioni di scolari. Ognuno giudichi secondo la sua personale convinzione.

Devo però ammettere, a distanza di più di mezzo secolo, che certamente i nostri genitori ed i maestri di quel tempo sono riusciti ad inculcarci il rispetto delle regole, del prossimo e sopratutto il senso dell’educazione civica, materia il cui studio era obbligatorio nelle scuole.

Oggi per fortuna delle nuove generazioni le cose sono cambiate.

I nostri figli ed i nostri nipoti vanno a scuola con l’automobile, accompagnati premurosamente dai genitori e dai nonni. Non hanno più la “balisciàtte” piena di libri, ma zaini costosi e firmati tra cui abbondano oltre che i libri, altrettando costosi smartphones, tablet, figurine, merendine e chi ne ha più ne metta.

Le metodologie scolastiche sono moderne ed è moderno anche il modo di educare gli alunni. Vi sono psicologi e specialisti che coadiuvano l’insegnante per aiutare gli alunni in difficoltà. Guai se un insegnante non comprende un alunno! Succede il finimondo.

La bacchetta è solo un agrodolce ricordo di un tempo che fu.

Io, però, rimetterei obbligatoriamente nelle scuole, lo studio VERO dell’educazione civica.

Fernando Sparvieri

15 maggio 2013




I racconti di Fernando Sparvieri

Indice

Gente, usi e costumi del mio paese



Un libro sul web

MA CHI SAREBBERO
LI SALVANESE

di Fernando Sparvieri

Indice

I forestieri a San Salvo



I racconti del mare

I pionieri del mare ed altro


di Fernando Sparvieri
Indice

Emilie de Felicìlle
(Emilio Del Villano)















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