Alcuni aneddoti scritti da
Fernando Sparvieri
La vita è un'illusiono
fesso
LO STUPIDO DI SAPERE
Mastro Luigi quando si imbatteva con qualche persona saputa,
che credeva di sapere tutto lui e di capire tutto lui, così lo
definiva in italiano: “Quesse è uno stupido di sapere!”.
LU FULOSEFE GRECHE
Lu fulosefe gréche, secondo Mastro Lugi, era persona che si
atteggiava ad essere un intellettuale, sfiorando
argomentazioni fuori dalla sua portata conoscitiva, che voleva
dimostrare agli altri di essere un grande pensatore. In
dialetto sansalvése il filosofo veniva anche chiamato "
lu
fuloseme".
E PARLATE GNA
L'AMMENDATE CRESTE!
Durante la 2^ guerra mondiale Mastro Luigi sentendo gli
inglesi parlare naturalmente in inglese, così se ne uscì: ”E
parlate gna parlave Creste!” (trad. E parlate come parlava il
Cristo). Per lui Cristo parlava a “la salvanase” (in
sansalvese).
NON SI RATTIEN LO STRANO
QUANDO DALL’ARCO USCI’
Mastro Luigi da qualcuno aveva sentito la famosa frase di
Pietro Metastasio: “Non si trattien lo strale quando dall'arco
uscì” ed ogni tanto lo ripeteva ai presenti mentre lavorava
nella sua bottega, dicendo in questo modo: “Non si rattien lo
strano quando dall’arco uscì”.
Un giorno gli chiesero: ”Mastre Luè! Ma che segnefeche?” trad.
(Mastro Luigi! Ma cosa significa?)
“Lo strano”, spiegava, “ è lu struanze” (è lo stronzo). Canda
è sciute fore ne l’arfecche chiu’ dantre!” (trad. Quando è
uscito fuori non lo rificchi più dentro).
ALTRO CHE STRALE!!!
UE'! A MA MI SA' CA SI
MAMMUCCIE A NI J'ARFRECHE
Un tempo, quando non c'era la televisione, l'unico svago era
il cinema. A San Salvo in quel periodo non vi era nessun
cinematografo e quindi i giovani, con le bicilette, si
recavano al politeama Ruzzi di Vasto per assistere a qualche
film (javene a lu cineme).
Mastro Luigi, una sera, durante una proiezione, disse
all'amico che gli sedeva a fianco: "Uè! A ma mi sa ca a nì si
mammuccie j'arfreche" (trad. A me mi sa che questi mammocci
che vediamo sullo schermo ci rifregano).
IL MESTIERE DEL PRETE
Mastro Luigi abitava proprio sotto il campanile della chiesa e
quindi, per via delle campane che gli suonavano sin dalla
nascita sulla testa, aveva per il prete sentimenti
contrastanti. Da un lato lo rispettava per il fatto che era
un' autorità religiosa, in grado in qualche modo di
garantirgli il passaporto buono per l'aldilà, e dall'altro
assumeva nei suoi confronti atteggiamenti scherzosi con frasi
ironiche, paragonandolo ad un comune commerciante.
Una volta, riferendosi a Don Cirillo che passava dinanzi alla
sua bottega, ironicamente disse: "Quesse! Lu predde! Vanne le
chiecchiere." (trad.Quello! Il prete! Vende le chiacchiere).
Un'altra volta invece, riferendosi al fatto che i fedeli
facevano le offerte per aggiustare la chiesa o per comprare ad
esempio le candele, disse: "Lu predde a la puteca sò cia da
pinzà asse, picca a la puteche ma ci penze je! A ma se me ze
rampue la frucie miche ve deche:<<Uè me ze ratte la
frucie faciate na culluatte!... Me l'arcatte je e
zette>>" (trad. Il prete alla sua bottega ci deve
pensare lui perchè alla mia bottega ci penso io. A me se mi si
rompono le forbici mica vi dico: "Uè, mi si sono rotte le
forbici fate una colletta! Me la ricompro io in silenzio".
Sempre restando nel tema, in un'altra circostanza disse: "Je
ne capesce piccà a la Chiscie, ni a ma fa tutte qualle che fa
lu predde! Ze fa lu suagne de la craucie e ze l'ama fa puri
ni! Z'agginucchie e z'ama 'nginucchiè pure ni! Dece li prihire
e l'ama dece pure ni!". Poi concludeva: "Pi ma lu predde lu
suagne de la craucie ze la da fa sole asse, za da 'ngenucchiè
sole asse e li prihire l'a da dece sole asse piccà è lu
mistire sò! Stame fresche se a la puteche ma je taje 'nghe la
frucie e tutte vi avete tajà 'nzimbre a ma o je chiusce e vi
avete cuciè 'nzimbre a ma!"(trad. Io non capisco perchè in
Chiesa noi dobbiamo fare tutto ciò che fa il prete. Si fa il
segno della croce e ce lo dobbiamo fare anche noi, si
inginocchia e ci dobbiamo inginocchiare pure noi, dice le
preghiere e le dobbiamo dire anche noi. Per me il prete il
segno di croce lo dovrebbe fare da solo, si dovrebbe
inginocchiare solo lui e le preghiere dovrebbe dirle da solo
perchè quello è il suo mestiere. Stiamo freschi se alla mia
bottega io taglio la stoffa con le forbici e voi dovete
tagliarla insieme a me oppure io cucio un vestito e voi dovete
cucire insieme a me).
LARDO E PRISUTTO IL CAFONO
PACO TUTTO
Così scrisse Mastro Luigi, con il gessetto da sarto, su un
foglio di carta straccia che appiccò su una parete della sua
bottega, a significare che alla fine, volta e rigira, è sempre
il contadino, e quindi la povera gente che lavora, a pagare il
conto sociale.
MENE MALE CA TINAME STA
PANTIRE
“Mene male ca tinàme 'sta pantìre!”. (Trad."Meno male che
abbiamo questa pozzanghera"), disse un giorno Mastro Luigi
agli amici mentre facevano il bagno al mare, riferendosi al
fatto che a San Salvo di quei tempi, poverissima, non vi erano
altri divertimenti se non quello di andare a fare i bagni
d'estate al mare.
TRUMUAN
Tra le varie categorie di artigiani vi era sempre qualcuno che
si atteggiava a grande pensatore, assumendo portamento da
super uomo, ritenendosi il migliore in assoluto e persona
importantissima.
Mastro Luigi, che era un arguto osservatore, ne aveva
individuato uno per ogni categoria e ironicamente si divertiva
a paragonarli a Truman, all'epoca Presidente degli Stati
Uniti, definendoli: “Trumuan de le scarpere”, se l'artigiano
che si atteggiava era un calzolaio, o "Trumuan de le ferrere”,
se ad esempio era un fabbro, oppure "Trumuan de le barbire” se
si trattava di un barbiere.
LA MANCIA DI DON
PASQUALE
Tra i clienti di Mastro Luigi vi erano anche i ricchi del
paese.
Mastro Luigi non godeva di molta simpatia per le persone
ricche, da lui ritenute spilorcie, per cui, spesso, anche
rimettendoci di tasca propria, ne combinava una delle sue,
divertendosi a porne in evidenza l’avarizia.
Giovanni Bruno, all’epoca suo lavorante, mi ha raccontato che
un giorno Mastro Luigi lo incaricò di riportare il vestito a
casa di un noto ricco del paese e che prima di farlo andare
gli disse:
“Giuvuà arpurte stu vustete a Don Pasquale e se te dà cenghe
lere, tu 'nte le pejè, ma daje ste dece lere e deje: me la
dite pi ta Mastre Luegge”.
(Trad. "Giovanni, riporta questo vestito a Don Pasquale e se
ti dovesse dare 5 lire di mancia tu non accettarle, ma dagli
queste 10 lire dicendogli: “Me le ha date per te Mastro
Luigi”).
FEJE ME'! CRESTE
T'ACCIESE E JE....
Si racconta che un signore che aveva la gobba un giorno si
recò alla bottega di Mastro Luigi per farsi cucire un vestito
(all’epoca si comprava la stoffa e la si portava al sarto per
farlo cucire). Era usanza, in quel periodo che il sarto
facesse provare al cliente il vestito nelle settimane
successive per correggere eventuali errori durante la
cucitura.
La settimana dopo il gobbo tornò alla bottega per misurare il
vestito e fece notare a Mastro Luigi che secondo lui il
vestito non gli calzava proprio a pennello. Questa storia si
ripetè per qualche settimana sino a quanto Mastro Luigi, ormai
esausto, alle ennessime rimostranze del gobbo, così sbottò:
“Uè! Feje me! Creste t’accese e je t’aja rcuncià ? “ (trad.
Figlio mio, Cristo ti ha ucciso e io ti devo riaggiustare?).
CI CHIPI ?
Negli anni sessanta l’amministrazione comunale democristiana,
in cui era assessore anche mio padre Evaristo Sparvieri,
decise di demolire un gruppo di case del centro storico per
allargare la piazza. Erano altri tempi e l’amministrazione
dell’epoca pensò che per abbellire il vecchio centro e
realizzare una piazza più grande, fosse necessario procedere
alla demolizione della “Porte de la Terre” e di altri edifici.
Tra questi edifici da demolire vi capitarono anche la casa e
la bottega di Mastro Luigi, ubicata in pieno centro, a fianco
della Chiesa.
Mastro Luigi fu costretto ad andarsene di casa in Via Madonna
delle Grazie, senza apparente clamore.
Ogni tanto, però, forse preso dalla nostalgia, se ne tornava
al centro, in prossimità del luogo ove un tempo sorgevano la
sua vecchia casa e la bottega. Fu un giorno di questi che,
incontrando di lì mio padre, suo amico, che era amministratore
e quindi tra gli artefici delle demolizioni, così gli disse
ironicamente:“Uè! Evarì! Ci chipi?” (trad. Uè! Evaristo!
Adesso che avete fatto il largo (sottointeso), ci entri?).
LA CADUTA DI MASTRO
LUIGI
Mastro Luigi, dopo aver posseduto per anni la bicicletta, si
appassionò alle moto.
Ne ebbe diverse di cui la più famosa fu una Sertum 350,
marchio di una nota fabbrica motociclistica milanese. Le
strade erano dissestate motivo per cui erano frequenti anche
le cadute. Un giorno, per sua sfortuna, Mastro Luigi cadde
dalla sua moto in pieno centro cittadino, in prossimità della
Porte de La Terre (esattamente alla curva che da C.so
Garibaldi immette su C.so Umberto I), riportanto solo qualche
piccola escoriazione. La notizia si sparse in un baleno per
tutto il paese e cominciarono ad arrivare a frotte amici e
curiosi alla sua bottega, i quali gli rivolgevano tutti la
stessa domanda: “Mastre Luè! E' lu vuare ca si cascate” (trad.
Mastro Luigi è vero che sei caduto?). Mastro Luigi, un pò
imbarazzato, raccontava a tutti la dinamica dell'incidente,
cercando di trovare una spiegazione plausibile alla sua caduta
dalla moto. La storia si protrasse anche i giorni seguenti
sino a quando Mastro Luigi, ormai infastidito da tanta
gratuita notorietà, così rispose: “Core de Sante Vetale!
Casche tanta gente! La caschenne de Mastre Luegge mo' rmane a
la storie!” (trad. Cuore di .... Cade tanta gente, la caduta
di Mastro Luigi rimarrà nella storia).
BREVI ANEDDOTI UN PO’
SCONCI
CHI NON ...
"Chi non caca bene, torna a ricacà", così soleva dire Mastro
Luigi a significare che se qualcosa non era fatta bene,
bisognava inesorabilmente rifarla.
IL CARROZZINO
Mastro Luigi, come già detto, era un attento osservatore. Un
giorno dinanzi alla sua bottega passò una mamma che portava il
proprio bambino dentro il carrozzino (erano i primi e
sporadici passeggini che si vedevano in giro per il paese).
Mastro Luigi, la seguì attentamente con lo sguardo e poi
rivolgendosi con ironia ai suoi amici così disse: “Che te fa
lu cuazze, ah!!! A le fammene preme je fa sunuà lu tuamirre e
doppe je fa tirè la carrozze” (trad. cosa ti combina il pene,
eh!!! Alle donne fa prima suonare il tamburo, nel senso che
l'addome della donna incinta crescendo assume l'aspetto di un
tamburo, e poi le fa tirare la carrozza).
Per un certo periodo le ragazze, figlie di contadini,
preferivano fidanzarsi con ragazzi artigiani, pensando, che
sposandoli, avrebbero evitato il duro lavoro dei campi. Mastro
Luigi intuì questa nuova scuola di pensiero femminile ed un
giorno così se ne uscì: “ Li fammene de mo’, vanne truvuenne
lu cuazze de lusse.” (trad. le giovani di oggi cercano il pene
di lusso).
CHURCHILL IN VACANZA SUL
LAGO DI GARDA
Mastro Luigi d'estate, insieme ai suoi amici, spesso andava in
bicicletta al mare. La spiaggia era un deserto. I giovani,
dopo aver fatto il bagno, spesso nudi, si asciugavano al sole
arrotolandosi sulla sabbia e lì restavano, quasi a riposarsi,
parlando e scherzando tra di loro. Un giorno di questi, un
amico, mentre era sdraiato sulla sabbia a fianco di Mastro
Luigi, trovò per caso una pagina di un giornale e si mise a
leggerla . Il giornale parlava del soggiorno di Winston
Churchill nel 1949 sul lago di Garda e descriveva
minuziosamente come si era svolta la giornata del primo
ministro inglese. Per rendere partecipe della lettura Mastro
Luigi, l'amico si mise a leggere ad alta voce: "Churchill alle
ore... ha fatto colazione; alle ore ... è uscito dall'albergo
ed ha fatto una passeggiata in riva al lago, alle ore.... ha
fatto un giro in barca, alle ore ... è rientrato in albergo
incontrando Tizio e Caio, alle ore ...ha pranzato al
ristorante, alle ore ..." l'amico aggiunse di suo, "Churchill
è andato a cacare ed ha fatto un bel stronzo."
"Core de Sante Vetale!", esclamò a quel punto Mastro Luigi.
"Canda cache je ne faccie na mate e ne j n'importe niente a
nisciune, e quesse 'nghe nu stranze ca fatte pare ca saccie ca
fatte!" (trad. Core de ....! Quando vado io al bagno ne faccio
una quantità enorme, come una meta di paglia, e non glie ne
importa niente a nessuno, invece Churchill, per uno stronzo
che ha fatto, sembra che chissà che cosa eccezionale abbia
fatto), a voler significare che la stampa da sempre risalto
alle azioni più banali della gente famosa, disinteressandosi
di cose grandi che a volte compie la gente comune.
LA PIROTTI DI MAULUCCIE
Sempre a proposito di moto una volta Mastro Luigi, credendo di
fare un affare, ebbe la malaugurata idea di acquistarne una di
seconda mano a Mauluccie (diminuitivo di Mauro), di marca
Pirotti.
Dopo averla acquistata per una cifra irrisoria, si accorse
subito però che il motore faceva uno strano rumore.
Insospettitto, mandò a chiamare subito Mauluccie il quale, con
portamento serioso, dopo aver ascoltato quel rumore, senza
scomporsi, così gli rispose: “Su rumuaure! Quasse la da fa!”
(trad. Quel rumore! Lo deve fare, è di fabbrica!).
Mauluccie gli aveva rifilato la classica fregatura (come mi
confermò lo stesso Mauluccio molti anni dopo). Continuando a
sostenere con gli amici di aver fatto, nonostante tutto, un
affare, Mastro Luigi non si perse d’animo e decise di
scrivere, in gran segreto, di suo pugno una lettera alla ditta
della moto, per richiedere il pezzo di ricambio difettoso.
Siccome era un bravo sarto, ma un pessimo scrivano, prima di
spedirla però, la fece leggere a mio padre, non tanto per
farla correggere, ma per ascoltare il suo parere.
Mio padre mi raccontò che la lettera finiva all'incirca in
questo modo: "Pagherò quando mi arriva il pezzo per non
ricevere 'ngulature".
ALL'ITALIE 'NZE PO' JE
CHIU' MANGHE A ....
L’uso più frequente che Mastro Luigi faceva della moto,
tuttavia, era andare, fuori dal centro abitato al bagno
grande. A quei tempi la gran parte delle modeste abitazioni
non avevano i bagni in casa e bisognava arrangiarsi. I maschi,
chi a piedi e chi con le biciclette, da soli o in compagnia,
se ne andavano in campagna, appartandosi dietro "qualche
fratta" (qualche siepe), per espletare i bisogni corporei.
Mastro Luigi, invece, tutti i giorni, di primo pomeriggio,
prima di riaprire la bottega, prendeva la sua moto e se ne
andava “sotto il ponte di Buonanotte”, suo luogo preferito per
i bisogni.
Quando transitava però sotto al muraglione del giardinetto del
Monumento ai Caduti, avveniva un fatto che non gli faceva fare
bi...sogni tranquilli. Frotte di giovani, tra cui anche taluni
suoi lavoranti, appostati sopra il muraglione, senza farsi
scorgere, sottolineavano il suo passaggio con sonori fischi
alla “pecorale”.
A Mastro Luigi quei fischi all'inizio lo divertivano, mentre
dopo un pò di tempo cominciarono a dargli un certo fastidio
per una questione che oggi definiremmo di privacy: era come se
quei fischi annunciassero alla cittadinanza che Mastro Luigi
stava andando a... al bagno grande.
Un giorno, al fine di appurare chi erano i fischiatori, disse
a Giovanni Bruno, suo lavorante, di montare dietro di lui
sulla moto e di riferirgli chi erano quei giovani che gli
fischiavano dietro.
Giovanni, che era anch'egli tra i fischiatori quotidiani, quel
giorno fu costretto a sedersi dietro di Mastro Luigi sulla
sella della moto e quando giunsero in prossimità del Monumento
ai Caduti, sotto un borbardamento di fischi, anch'egli non
resistette alla tentazione di fischiare, emettendo un sibilo
talmente forte che per poco Mastro Luigi non perse
l'equilibrio.
Mastro Luigi, non accorgendosi tra i fischi assordanti di
avere un responsabile proprio alle sue spalle, così se ne
uscì:
“Core de Sante Vetale! All’Italie ‘nze po jè chiù manche a
cacà!” (trad. In Italia non si può neanche più andare a
c.....).
LA SERTUM CONFISCATA
La storia di Mastro Luigi con le moto fu alquanto travagliata
e finì davvero male.
Restando in tema di cadute dalla moto, pare che cadesse
davvero spesso. Si racconta che ogni tanto gli capitasse di
partire con una moto e ritornarne con due, a piedi, nel senso
che nella caduta gli si staccava qualche pezzo o glie se ne
usciva qualche ruota.
Nella sua ultima caduta, però, ebbe oltre al danno la beffa.
Un giorno, durante la guerra, gli arrivò una lettera dal
Ministero della Guerra in cui gli veniva ordinato di recarsi a
Chieti al fine di verificare se la sua Sertum 350 era idonea
all'uso militare.
Altra lettera simile arrivò anche a Don Oreste Sabatini,
sansalvese benestante, vecchio ed esperto motociclista, il
quale, a tal proposito mi raccontò che quel giorno si recò a
Chieti insieme a Mastro Luigi, ognuno con la sua moto.
Per strada, per far vedere la sua abilità di motociclista,
Mastro Luigi iniziò una sorta di tacita corsa con Don Oreste,
sino a quando, ad una curva, non cadde, escoriandosi un pò
ovunque. Giunti a Chieti, a Mastro Luigi, sanguinante "gnè
Sante Sabbastiane" (come San Sebastiano), gli confiscarono la
moto, mentre a Don Oreste no.
Questo fatto mandò su tutte le furie Mastro Luigi che non
riuscì mai ad ingoiare il rospo sopratutto per il fatto che,
finita la guerra, a distanza di dieci anni, ogni tanto si
vedeva recapitare qualche multa per infrazioni commesse da
qualcuno che era divenuto possessore della sua Sertum. Non
riuscì mai a sapere che fine avesse fatta la sua moto e
sopratutto chi se la godeva. "Puteve ma vancie la uerre
l'Italie?" (trad. Poteva mai vincere la guerra l'Italia?),
soleva ripetere tra il serio ed il faceto ricordando questo
fatto.
Deluso ritornò alla bicicletta, anche se era duro pedalare ad
una certa età, sopratutto per andare al ponte di Buonanotte.
Così in tarda età si comprò una piccola tre ruote “na
laparelle” senza targa, con la quale andava anche a caccia con
il suo fucile ad un solo colpo. A chi gli chiedeva il perchè
non si comprasse una doppietta, rispondeva: ”A lu cilluatte se
je cuje a preme bbotte è bbene, se na ci spriche la carticcie”
(trad. all’uccello se lo colpisci al primo colpo è fatta,
altrimenti ci sprechi solo la cartuccia).
Fernando Sparvieri