Alcuni aneddoti scritti da
Fernando Sparvieri
La vita è un'illusiono
fesso
LO STUPIDO DI SAPERE
Mastro Luigi quando si imbatteva con qualche saputone, che
credeva di sapere e di capire tutto lui, così lo definiva: “
Quésse
è uno stupido di sapere”.
LU FULOSEFE GRECHE
Lu fulosefe gréche, secondo Mastro Lugi, era persona
che si atteggiava ad essere un intellettuale, sfiorando
argomentazioni fuori dalla sua portata conoscitiva, volendo
dimostrare agli altri di essere un grande pensatore. In
dialetto sansalvése il filosofo veniva anche chiamato "
lu
fulóseme".
"LARDO E PRISUTTO IL
CAFONO PACO TUTTO"
Così scrisse Mastro Luigi, con il gessetto da sarto, su un
foglio di carta straccia che appiccò su una parete della sua
bottega, a significare che alla fine, volta e rigira, è sempre
il contadino, e quindi la povera gente che lavora, a pagare il
conto sociale.
TRUMUAN
Tra le varie categorie di artigiani vi era sempre qualcuno che
si atteggiava a grande pensatore, assumendo portamento da
super uomo, ritenendosi il migliore in assoluto e persona
importantissima. Mastro Luigi, che era un arguto osservatore,
ne aveva individuato uno per ogni categoria e ironicamente si
divertiva a paragonarli a Truman, all'epoca Presidente degli
Stati Uniti, definendoli: “Trumuan de le scarpère”, se
l'artigiano che si atteggiava era un calzolaio, "Trumuan de le
ferrère”, se era un fabbro, "Trumuan de le barbìre” se si
trattava di un barbiere.
E PARLATE GNA PARLAVE CRESTE!
Durante la 2^ guerra mondiale Mastro Luigi sentendo gli
inglesi parlare naturalmente in inglese, così se ne uscì: ”
E
parlate gna parlave Créste!” (trad. E parlate come
parlava il Cristo). Per lui Cristo parlava a “la salvanàse”
(in sansalvese).
CHI NON ...
"
Chi non caca bene, torna a ricacà", così soleva dire
Mastro Luigi a significare che se qualcosa non era fatta bene,
bisognava inesorabilmente rifarla.
A MA MI SA' CA A NI SI MAMMUCCIE J'ARFRECHE
Quando non c'era ancora la televisione, l'unico svago era il
cinema. A San Salvo in quel periodo non vi era nessun
cinematografo e quindi i giovani andavano con le biciclette
a lu cineme a lu Vuáste, al politeama Ruzzi di
Vasto per assistere a qualche film.
Mastro Luigi, durante una proiezione, disse all'amico che gli
sedeva a fianco: "
Uè! A ma mi sa ca a nì si mammúccie
j'arfréche" (A me mi sa che a noi questi mammocci ci
rifregano), riferendosi agli attori che apparivano sullo
schermo.
"MENE MALE CA TINAME STA
PANTIRE"
“Mene male ca tinàme 'sta pantìre!”. (Trad."Meno male
che abbiamo questa pozzanghera"), disse un giorno Mastro Luigi
agli amici mentre facevano il bagno al mare, riferendosi al
fatto che a San Salvo di quei tempi, poverissima, non vi erano
altri divertimenti se non quello di andare a fare i bagni
d'estate al mare.
IL MESTIERE DEL PRETE
Mastro Luigi abitava proprio sotto al campanile della vecchia
chiesa di San Giuseppe e quindi, per via delle campane che gli
rimbombavano sin dalla nascita nella testa, pur essendo
cattolico, nutriva per il prete sentimenti contrastanti. Da un
lato gli era amico e lo rispettava per il fatto che era
un'autorità religiosa, in grado in qualche modo di garantirgli
il passaporto buono per l'aldilà, e dall'altro, la sua vena
ironica, lo portava a fare considerazioni non propriamente
spirituali sul "mestiere di prete".
Un giorno, mentre Don Cirillo Piovesan, il prete, passava
dinanzi alla sua bottega per andare a dire messa, con la sua
solita ironia, così se ne uscì:
"Quésse, lu prédde vànne
le chiécchiere." (trad. Il prete vende le chiacchiere).
Sempre restando in tema, in un'altra circostanza, disse:
"Je
ne capéscie piccà ni' a la Chijscie, a ma fa' tutte quàlle
che fa lu prédde!" (Io non capisco perchè in Chiesa noi
dobbiamo fare tutto ciò che fa il prete).
E continuò
:
Dece le prehìre hàsse e l'ama dece pure nì" (Dice
le preghiere lui e dobbiamo dirle anche noi).
"Ze fa lu suàgne de la cràucie hàsse e ze l'ama fa puri ni!
(Si fa il segno della croce lui e ce lo dobbiamo fare
anche noi
).
Z'agginucchie 'ntérre hàsse e z'ama 'nginucchiè pure ni"
(Si inginocchia e ci dobbiamo inginocchiare pure noi).
Pe' mà lu predde", concluse,
"lu suàgne de la
cràucie ze la da fa sole hàsse, za da 'ngenucchiè 'ntérre
sole hàsse e li prihìre l'ha da dece sole hàsse piccà quàlle
è lu mistìre sò! Stame frésche se a la puteche ma jé
chìuscie e aveta cuscié' pure vi', jé taje nghe la frúscie e
avete tajà' pure vi'; jé stére e aveta steré' pure vi".
(Trad. "Per me il prete il segno di croce se lo dovrebbe fare
da solo, si dovrebbe inginocchiare da solo e le preghiere
dovrebbe dirle da solo perchè quello è il suo mestiere. Stiamo
freschi se alla mia bottega io cucio e voi dovete cucire
insieme a me, io taglio la stoffa e voi dovete tagliarla
insieme a me; io stiro e voi dovete stirare ainsieme a
me").
LA MANCIA DI DON
PASQUALE
Tra i clienti di Mastro Luigi vi erano anche i ricchi del
paese.
Mastro Luigi non godeva di molta simpatia per le persone
ricche, da lui ritenute spilorcie, per cui, spesso, anche
rimettendoci di tasca propria, ne combinava una delle sue,
divertendosi a porne in evidenza l’avarizia.
Giovanni Bruno, all’epoca suo lavorante, mi ha raccontato che
un giorno Mastro Luigi lo incaricò di riportare un vestito a
casa di un noto ricco del paese e che prima di farlo andare
gli diede 10 lire dicendogli:
“Giuvuá' arpurte stu vustete a Don Pasquale e se te dà
cénghe lére, tu 'nte le pejé', ma daje ste déce lere e déje:
me la dite pi' ta Mastre Lueggie”.
(Trad. "Giovanni, riporta questo vestito a Don Pasquale e se
ti dovesse dare 5 lire di mancia tu non accettarle, ma dagli
queste 10 lire dicendogli: “Me le ha date per te Mastro
Luigi”).
FEJE ME'! CRESTE
T'ACCESE E JE....
Si racconta che un signore che aveva la gobba un giorno si
recò alla bottega di Mastro Luigi per farsi cucire un vestito
(all’epoca si comprava la stoffa e la si portava al sarto per
farlo cucire). Era usanza, in quel periodo che il sarto
facesse provare al cliente il vestito nelle settimane
successive per correggere eventuali errori durante la
cucitura.
La settimana dopo il gobbo tornò alla bottega per misurare il
vestito e fece notare a Mastro Luigi che secondo lui il
vestito non gli calzava proprio a pennello. Questa storia si
ripetè per qualche settimana sino a quanto Mastro Luigi, ormai
esausto, alle ennessime rimostranze del gobbo, così sbottò:
“Uè! Féje me! Créste t’accése e je t’aja rcuncià'? “
(trad. Figlio mio, Cristo ti ha ucciso e io ti devo
riaggiustare?).
IL FUCILE DI MASTRO
LUIGI
Mastro Luigi era anche cacciatore.
Aveva un fucile con una sola canna.
A chi gli chiedeva il perché non si comprasse una doppietta,
rispondeva: ”
A lu cilluàtte se je cúje a prema bbótte è
bbéne, senná ci sprìche la cartìccie” (All’uccello se lo
colpisci al primo colpo è fatta, altrimenti ci sprechi solo la
cartuccia).
CI CHIPI ?
Negli anni sessanta l’amministrazione comunale democristiana,
in cui era assessore anche mio padre Evaristo Sparvieri,
decise di demolire un gruppo di case del centro storico per
allargare la piazza. Erano altri tempi e l’amministrazione
dell’epoca pensò che per abbellire il vecchio centro e
realizzare una piazza più grande, fosse necessario procedere
alla demolizione della “Porte de la Terre” e di altri edifici.
Tra questi edifici da demolire vi capitarono anche la casa e
la bottega di Mastro Luigi, ubicate in pieno centro, a fianco
della Chiesa.
Mastro Luigi fu costretto ad andarsene di casa in Via Madonna
delle Grazie, senza apparente clamore.
Ogni tanto, però, forse preso dalla nostalgia, se ne tornava
al centro, in prossimità del luogo ove un tempo sorgevano la
sua vecchia casa e la bottega.
Mi raccontò mio padre, che un pomeriggio d'estate, mentre si
stava recando al Comune per una seduta della Giunta
Municipale, vide in lontananza Mastro Luigi che se ne stava
solitario, con la schiena appoggiata al muro della casa
de
lu Capetane, in prossimità del luogo dove prima
sorgevano la sua casa e la sua bottega da sarto.
Quando mio padre, gli passò accanto, Mastro Luigi, gli disse:
“
Uè! Evarì! Ci chipi?” (trad. Uè! Evaristo! Ci capi?
Riesci finalmente a passare?).
LA CADUTA DI MASTRO
LUIGI
Mastro Luigi, dopo aver posseduto per anni la bicicletta, si
appassionò alle moto.
Ne ebbe diverse di cui la più famosa fu una Sertum 350,
marchio di una nota fabbrica motociclistica milanese.
Le strade erano brecciate, motivo per cui erano frequenti
anche le cadute.
Un giorno, per sua sfortuna, Mastro Luigi cadde dalla sua moto
a la curve de la Porte de la Terre (alla curva
dell'Arco della Terra), in pieno centro cittadino, riportanto
solo qualche piccola escoriazione.
La notizia si sparse in un baleno per tutto il paese e
cominciarono ad arrivare a frotte amici e curiosi alla sua
bottega, rivolgendogli tutti la stessa domanda: “
Mastre
Luè! E' lu vuare ca si cascate?” (trad. Mastro Luigi è
vero che sei caduto?).
Mastro Luigi, un pò imbarazzato, raccontava a tutti la
dinamica dell'incidente, cercando di trovare una spiegazione
plausibile alla sua caduta dalla moto.
La storia si protrasse anche nei giorni successivi e Mastro
Luigi, ormai infastidito da tanta gratuita notorietà, così se
ne uscì: “
Core de Sante Vetale! Casche tanta gente! La
caschenne de Mastre Luegge mo' rmane a la storie!”
(trad. Cuore di .... Cade tanta gente, la caduta di Mastro
Luigi rimarrà nella storia).
LA PIROTTI DI MAULUCCIE
Mastro Luigi, credendo di fare un affare, acquistò una moto di
seconda mano a
Maulúccie (diminuitivo di Mauro), di
marca Pirotti.
Gli diede 10.000 lire oltre alla sua bicicletta in permuta.
Dopo averla acquistata, si accorse che il motore faceva uno
strano rumore.
Insospettitto, mandò a chiamare
Maulúccie e gli disse:
"Sinte!
Sinte che remàure fa qua'" (Senti che strano rumore fa
il motore di questa moto).
E
Maulúccie, serio, senza scomporsi, gli rispose: “
Quasse
la da fa!” (trad. Questo rumore Lo deve fare, è di
fabbrica!).
Mauluccie gli aveva rifilato la classica fregatura
(come mi confermò lo stesso Mauro molti anni dopo).
PER NON RICEVERE IN...
Mastro Luigi era un bravo
sarto, ma un pessimo scrivano. Non so quale titolo di studio
avesse. Probabilmente, come tanti suoi coetanei aveva
frequentato le prime classi della scuola elementare.
Un giorno chiamò mio padre e gli chiese di scrivergli una
lettera ad una fabbrica di motociclette del nord perchè
doveva ordinare un pezzo di ricambio per la sua moto.
Mio padre prese carta e penna e glie la scrisse. Dopo
avergliela scritta, glie la rilesse. Mastro Luigi lo ascoltò
attentamente e gli disse di aggiungerci alla fine la seguente
frase, in italiano: "Pagherò quando mi arriva il pezzo per non
ricevere ingulature".
LA SERTUM CONFISCATA
La storia di Mastro Luigi con le moto fu alquanto travagliata
e finì per lui davvero male.
Restando in tema di cadute dalla moto, pare che cadesse
davvero spesso. Anche con le biciclette gli capitava spesso di
cadere. Partiva con una bicicletta e ne tornava a piedi con
due: nella caduta o gli si staccava qualche pezzo o glie se ne
usciva qualche ruota.
Nella sua ultima caduta con la moto, però, ebbe oltre al danno
la beffa.
Un giorno, durante la guerra, gli arrivò una lettera dal
Ministero della Guerra in cui gli veniva ordinato di recarsi a
Chieti al fine di verificare se la sua Sertum 350 era idonea
all'uso militare.
Altra lettera simile arrivò anche a Don Oreste Sabatini,
sansalvese benestante, vecchio ed esperto motociclista, il
quale, mi ha raccontato la storiella.
Partirono entrambi per Chieti, ognuno con la sua moto.
Per strada, Mastro Luigi, per far vedere la sua abilità di
motociclista, iniziò una sorta di tacita corsa motociclistica
con Don Oreste.
Don Oreste, accettò la sfida ed a una curva Mastro Luigi
cadde, escoriandosi un pò ovunque.
Giunti a Chieti, a Mastro Luigi gli confiscarono la moto. A
Don Oreste no.
Finita la guerra, dopo alcuni anni, gli arrivò una multa da
pagare: era una contravvenzione che riguardava un'infrazione
stradale commessa con la sua moto.
Non riuscì mai a sapere che fine avesse fatta la sua moto e
sopratutto chi se la godeva.
"
Puteve ma' vancie la 'uerre l'Italie?" (trad. Poteva
mai vincere la guerra l'Italia?), soleva ripetere tra il serio
ed il faceto quando raccontava questo fatto.
BREVI ANEDDOTI UN PO’
SCONCI
NON SI RATTIEN LO STRANO
QUANDO DALL’ARCO USCI’
Mastro Luigi da qualcuno aveva sentito la famosa frase di
Pietro Metastasio: “Non si trattien lo strale quando dall'arco
uscì” ed ogni tanto lo ripeteva, dicendo: “Non si rattien lo
strano quando dall’arco uscì”.
Un giorno gli chiesero: ”
Mastre Luè! Ma che segnefeche?”
trad. (Mastro Luigi! Ma cosa significa?)
“Lo strano”, spiegava, “
è lu struànze” (è lo stronzo).
Canda è sciute fóre ne l’arfécche chiu’ dàntre!” (trad.
Quando è uscito fuori non lo rificchi più dentro).
IL CARROZZINO
Mastro Luigi, come già detto, era un attento osservatore.
Un giorno vide passare dinanzi alla sua bottega una mamma che
portava il proprio bambino dentro il carrozzino (erano i primi
passeggini che si vedevano in giro per il paese).
Mastro Luigi, la seguì attentamente con lo sguardo e poi
rivolgendosi con ironia ai suoi amici così disse: “
Che te
fa lu cuazze, ah!!! A le fammene preme je fa sunuà lu
tuamirre e doppe je fa tirè la carrozze” (trad. cosa ti
combina il pene, eh!!! Alle donne fa prima suonare il tamburo,
nel senso che l'addome della donna incinta crescendo assume
l'aspetto di un tamburo, e poi le fa tirare la carrozza).
LU C... DE LUSSE
Per un certo periodo le
ragazze, figlie di contadini, preferivano fidanzarsi con
ragazzi artigiani, pensando, che sposandoli, avrebbero
evitato il duro lavoro dei campi. Mastro Luigi intuì
questa nuova scuola di pensiero femminile ed un giorno
così se ne uscì: “Li fammene de mo’, vanne truvuenne lu
cuazze de lusse.” (trad. le giovani di oggi cercano
il pene di lusso).
CHURCHILL IN VACANZA SUL
LAGO DI GARDA
Mastro Luigi d'estate, insieme ai suoi amici, quando poteva,
se ne andava anch'egli in bicicletta al mare.
La spiaggia, selvaggia e piena di dune, era un deserto.
I giovani, dopo aver fatto il bagno, spesso nudi, si
asciugavano al sole arrotolandosi sulla sabbia e lì restavano,
parlando e scherzando tra di loro.
Un giorno di questi, mio padre, mentre era sdraiato sulla
sabbia a fianco di Mastro Luigi, trovò per caso una pagina di
un giornale e si mise a leggerla.
Il giornale parlava del soggiorno di Winston Churchill nel
1949 sul lago di Garda e descriveva minuziosamente come si era
svolta la giornata del primo ministro inglese.
Per rendere partecipe della lettura Mastro Luigi, si mise a
leggere l'articolo ad alta voce: "Churchill alle ore 7:00 ha
fatto colazione; alle ore 7.30 è uscito dall'albergo ed ha
fatto una passeggiata in riva al lago; alle ore 8:30 ha fatto
un giro in barca, alle ore 10:00 è rientrato in albergo per
incontrare una delegazione del governo italiano, alle ore
12.30 ha pranzato al ristorante, alle ore ... Churchill è
andato a cacare ed ha fatto un bel stronzo.", aggiunse mio
padre per scherzare.
"
Core de Sante Vetale!", esclamò Mastro Luigi. "
Cànda
cáche je ne faccie 'na màte e ne j n'importe niente a
niscìune, e quesse 'nghe nu strànze ca fatte pare ca saccie
ca fatte!" (trad. Cuore di San ....! Quando vado io al
bagno ne faccio una quantità enorme, come una meta di paglia,
e non glie ne importa niente a nessuno, invece Churchill, per
uno stronzo che ha fatto, sembra che chissà che cosa
eccezionale abbia fatto).
Morale della favola: la stampa dà sempre risalto alle azioni
anche banali di personaggi famosi, disinteressandosi di cose
grandi che compie la gente comune.