Il maestro Evaristo
(Biografia scritta da suo figlio Fernando)
E' sempre difficile per un figlio
parlare del proprio padre.
Si rischia di incorrere in una sorta di esaltazione retorica
della figura paterna.
Posso però dire, con estremo orgoglio, di aver avuto un buon
padre, un genitore che insieme a mia mamma Lidia Napolitano,
ha saputo inculcare in me i valori veri della vita, quei
valori spirituali che lui prediligeva in senso assoluto e che
restano per me la vera eredità che mi ha lasciato.
Mio padre era una persona umile. Chi lo ha conosciuto
veramente, sa quant'egli fosse schivo e riluttante ai
personalismi ed ai clamori della mondanità.
Era nato a San Salvo il 14 Ottobre del 1921 da famiglia umile
artigiana (suo padre Amerigo Antonio era mastro falegname,
mentre sua mamma Giuseppina Sabatini era sarta), terzogenito
di 6 figli, "acciaccò" da giovane, come lui diceva, la fame.
Senza mezzi economici a disposizione intuì che la vera
ricchezza era il sapere, la cultura.
Di professione maestro elementare, educatore, amava
profondamente i bambini di cui riusciva, dopo molti anni di
esperienza, ad azzeccarne l'età solo guardandoli in faccia.
Riteneva che la scuola bisognasse farla a scuola e non a casa
(era contrario ai compiti in casa); assegnava pochissime
poesie da imparare a memoria, insegnava le tabelline in classe
all'ultima ora in una sorta di gioco fra gli alunni, quando i
bambini, diceva, "erano stanchi". Famosa è rimasta nei
ricordi dei suoi innumerevoli alunni "Za Catarine", la sua
"bacchetta", di cui, a detta dei suoi scolari, ne faceva un
uso simbolico "barzellettistico", dandole un'anima come al
pezzo di legno che capitò fra le mani di Mastro Geppetto nella
favola di Pinocchio.
Da giovane fu un vero
autodidatta, in tutti i campi. Studiò da solo divorando libri
di grammatica, di matematica, di filosofia, di pedagogia e
qualsiasi altro testo o lettura gli capitassero a tiro. Imparò
persino la musica diventando un ottimo mandolinista oltrechè
discreto suonatore di chitarra e di strumenti a tastiera.
Da ragazzo, dopo i primi studi, decise di frequentare
l''Istituto Nautico di Vasto che raggiungeva quotidianamente
in bicicletta, fermandosi spesso per la fame, come raccontava,
sotto un albero di "pirazze cirve, che faciavene arruvuè la
hanche arrete a la cudualle" (i frutti erano talmente acerbi
che la guancia gli arrivava sin dietro la nuca).
L'Istituto Nautico fu la sua prima vera fucina di formazione.
Ebbe in quell'istituto insegnanti illustri come il professore
di matematica Ing.Ernesto Cordella, di cui ne decantò
per tutta la vita la bravura, il prof. Nicola Smargiassi,
padre di Don Gino Smargiassi che fu parroco per molti anni
della Parrocchia di San Salvo Marina, esperto motorista.
Dopo aver preso il diploma nautico (non dimenticò mai i nodi
marinari, la navigazione costiera, quella stimata, le rotte,
la navigazione notturna ecc.), essendo amante delle materie
umanistiche decise di prendersi, sempre da autodidatta, il
diploma di maestro elementare: la sua vera ambizione. Molto
apprese da suo cugino l'ins. Ugo Marzocchetti, che aveva
studiato dai frati, e da sua moglie ins. Cristina
Napolitano, cugina di mia madre, con i quali parlava di
pedagogia e filosofia, apprendendo le prime erudizioni
di latino che amerà e non dimenticherà mai per tutta la vita.
Si diplomò all'Istituto Magistrale di Città Sant'Angelo,
coronando il suo sogno.

Era orgolioso di essere maestro, si definiva principalmente un
educatore. A qualcuno che lo apostrofava "professore"
rispondeva con una battuta: "Mi stai offendendo! Il maestro è
più del professore. Il professore insegna una sola materia, il
maestro invece tutte le materie". E poi aggiungeva: "
Una grande orchestra è formata da tanti professori
strumentisti, ma chi dirige è il maestro. Cristo non veniva
chiamato dai suoi discepoli professore, bensì maestro".
La prima sua fucina di insegnante iniziò nell'immediato
dopoguerra, quando insieme a mia madre Lidia Napolitano,
anch'ella maestra, insegnò alle scuole serali, riuscendo a far
prendere la licenza di V elementare ad una cinquantina di
ragazzi, i quali, durante il conflitto bellico e non solo,
erano stati impossibilitati ad andare a scuola.
La sua carriera scolastica, dopo aver vinto intorno agli anni
'50 il concorso magistrale, che lo immise in ruolo,
proseguì fra le tenui colline delle frazioni sopra il fiume il
Treste, (il Pantano, Casale Monaci), nelle quali si
recava quotidianamente in bicicletta, sfidando la pioggia e la
neve, guadando con gli stivali il fiume Treste. Per meglio
spostarsi si comprò un "Mosquito", un propulsore ausiliario
della Garelli, che ricordo applicò sulla sua bicicletta (una
vera novità per quei tempi). Prima di rientrare
definitivamente a San Salvo nel 1959 (per la cronaca negli
anni '50 e '60 la scuola elementare di San Salvo dipendeva
dalle Direzioni Didattiche dapprima di Monteodorisio e poi di
Vasto), fu maestro elementare ancora in C.da Fonte La Casa di
Palmoli (1956) e successivamente alla Guardiola di
Fresagrandinaria (1958).
Tutto il resto della sua carriera scolastica si svolse a San
Salvo, che vide crescere insieme ai suoi innumerevoli alunni.
Nel suo paese natio fu maestro responsabile del Patronato
Scolastico (che aveva lo scopo di aiutare gli scolari delle
famiglie povere; famosa era la refezione scolastica) e maestro
incaricato del Centro di Lettura, antica biblioteca
scolastica, divenuta comunale negli anni 80 e confluita nella
sede del Centro Culturale Aldo Moro. Con i nuovi programmi
didattici, inoltre, ebbe l'incarico di insegnare musica agli
scolari e successivamente, in età ormai matura (intorno
agli anni '80), venne incaricato di espletare le funzioni di
Direttore Didattico delegato, incarico conferitogli dal suo
grande amico di sempre, l'ex maestro Raffaele Artese, che si
era laureto ed aveva intrapreso da anni la carriera
dirigenziale dapprima in Montenero di Bisaccia, poi a Vasto
ed in quel periodo contestualmente nella sede vacante
anche di San Salvo.
Era e si sentiva principalmente un uomo di scuola.
Assessore all'Urbanistica al Comune di San Salvo dal
29/11/1964 al 27/6/1970, e Sindaco dal 28/6/1970 al
20/7/1972, carica che abbandonerà per incomprensioni con il
suo partito D.C. sulla gestione dell'urbanistica, senza mai
più dedicarsi alla politica, amava ricordare con orgolgio che
la sua più grande soddisfazione di amministratore fu quando
chiese ed ottenne dal Ministero della Pubblica Istruzione (per
il tramite del Provveditorato agli Studi ci Chieti), la
istituzione in San Salvo di un Istituto Tecnico Commerciale
per Ragionieri, la prima scuola superiore in loco, che
consentì, sopratutto a molte ragazze, di proseguire gli studi
dopo il diploma di scuola media.

Il 2
giugno 1987 con Decreto del Presidente della Repubblica
Francesco Cossiga, gli venne conferito il Diploma di
Benemerenza di 1^ classe con facoltà di fregiarsi della
medaglia d'oro per l'opera particolarmente zelante ed efficace
svolta a favore dell'istruzione elementare e della educazione
infantile, medaglia che Egli, dato il suo carattere molto
riservato, non mostrò mai nessuno e che oggi viene custodito
affettivamente dal suo nipote omonimo nella sua casa di
Bologna.
Se ne andò in pensione in età avanzatissima, raggiungendo il
massimo degli anni di servizio.
Dietro alla lavagna però,
sopratutto nel suo doposcuola, prese posto l'amore per l'arte.
Amante della musica, della poesia dialettale e della cultura
in vernacolo abruzzese, iniziò a dilettarsi, senza alcuna
pretesa, a comporre poesie e canzoni. Riteneva suo maestro di
vernacolo il poeta dialettale abruzzese Modesto della Porta,
natio di Guardiagrele, di professione sarto, di cui conosceva
a memoria molti suoi componimenti. Sosteneva che Modesto
nella sua famosa poesia dedicata alla mamma "A mamme",
avesse raggiunto il paradiso della "poesia".
Riteneva Modesto Della Porta un maestro di vita, un poeta
cronista che tramite i versi in rima era riuscito a
descrivere, come meglio non si poteva, le tradizioni, gli usi
e costumi del popolo abruzzese.
La morte di mio padre, avvenuta in San Salvo il 5 Novembre
2010, all'età di ottantanove anni, è inutile nasconderlo, mi
ha lasciato un gran vuoto dentro: mi mancano le sue battute,
le sue allegorie, i suoi sorrisi d'intesa, il suo modo di dare
il giusto peso alle cose.
I suoi amici mi hanno sempre detto: "Ma perché non pubblichi
un libro di tutti gli scritti di tuo padre?".
Lui mi aveva raccomandato di non farlo mai.
Egli, che nel corso della sua vita, aveva divorato centinaia
di libri di ogni genere e che era stato per lunghi anni
maestro responsabile del Centro di Lettura, conosceva molto
bene lo spessore dei libri e dei suoi autori. Per lui il
“libro” era una sorta di “icona sacra” da consacrare
all’altare della Sapienza e della Cultura e forse per questo
motivo è stato sempre restio a pubblicare i suoi scritti che
definiva “ fessàre' ” (fesserie).
“Il libro non vale niente, se il libro non rifà la gente“, mi
diceva facendo proprio il pensiero di uno dei grandi della
lettaratura italiana dell’800.
Un giorno mi disse in dialetto sansalvese: "Canda me more
je', acchiappe se carte e jttele a lu foche" (quando io
morirò prendi queste carte e buttale al fuoco).
Non ho bruciato le sue carte e, a modo mio, sto mantenendo
anche la promessa di non pubblicare nessun libro postumo.
Molti suoi alunni ed amici, dopo la sua morte, mi hanno
spronato con insistenza a pubblicare un libro di sue poesie,
canzoni folcloristiche e articoli vari che scriveva per
giornalini locali.
Ho detto a me stesso: prima o poi realizzerò un CD con le sue
"opere", da regalare ai suoi alunni e conoscenti, nel più
assoluto riserbo. Poi leggendo taluni suoi scritti su San
Salvo,ho ritenuto che non debbano morire nel silenzio di un
cassetto e divenire patrimonio di tutta la collettività.
Dal CD, realizzato in linguaggio HTML, al sito, il passo è
stato breve.
Ho realizzato in brevissimo tempo questo sito, avvalendomi
solo di me stesso e del materiale lasciatomi da mio padre al
suo computer, che alla veneranda età di ottantanove anni,
adoperava egregiamente.
Vorrei che questo sito divenisse la culla del dialetto
sansalvese. Sto preparando da tempo un vocabolario che io amo
chiamare "parolario" che conterrà "files" audio, in modo che
si possa sentire l'esatta pronuncia sopratutto dei termini
antichi dialettali, ormai in disuso.
Spero che questo mio impegno venga apprezzato sopratutto in
futuro dalle nuove generazioni, quando, prima o poi,
avvertiranno l'esigenza di scoprire "chi sono oggi" partendo
da ciò che eravamo.
Vi lascio con il titolo di un libro che scrisse mio nonno
Sebastiano Napolitano in tardissima età: "Chiedo scusa ai
letterati".
Fernando Sparvieri