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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Sotto la torre

(Sàtte a la tàrre)


I racconti della signora Annina



Chi sarà quell’uomo?

di Annina Fabrizio


Tutte le mattine alla stessa ora Eugenio il sacrestano suonava le campane, iniziava all’alba per la “mattutina” e dopo circa un’ora riprendeva a suonare per la “missitelle”, suonava per tre volte, a distanza di un quarto d’ora, concludendo con un accenno di campana per indicare che la messa stava per iniziare.

Le persone per capire se erano le ore dodici guardavano il sole, ma Eugenio puntuale alle ore dodici suonava “mezzogiorno”. Alle ore tre suonava “ventunora”, con trentatré rintocchi di campana, per indicare gli anni della morte di Gesù.

All’imbrunire suonava “l’Ave Maria”; si diceva: “ suona l’ora di notte” e si vedevano i contadini, che tornavano dalla campagna dopo una giornata di lavoro. La Domenica, i giorni di festa e per i matrimoni suonava a festa e per molto tempo per la “messa cantata”.

Quando il cielo era coperto da brutte nuvole si suonavano le campane per fare allontanare le nuvole, per scampare il pericolo della grandine, che poteva distruggere il raccolto; Eugenio era sempre pronto per suonare, ma se qualche volta non arrivava subito, veniva sostituito dalle persone che si trovavano lì, pronte a tirare la corda per farle suonare.

Abitando vicino alla chiesa, a quel suono delle campane per l’abitudine non ci facevo caso più, quasi non le sentivo più.

Quella mattina, il 16 settembre, il giorno prima della festa del Sacro Cuore di Gesù e San Rocco, le campane suonavano a festa e in piazza si sentivano tanti rumori, chiacchiere di persone e tanto fracasso.

Non resistevo e mi sono alzata dal letto e da dietro il vetro della finestra dalla parte della piazza vedevo tante persone, alcune stavano finendo di allestire la cassa armonica, per poter suonare la banda il giorno della festa.

C’erano poi altre persone con un carretto che scaricavano tanta roba, sacchi di noccioline, lupini, sciuscelle, bottiglie di gassosa, aranciata, vino, perfino una grande vasca con del ghiaccio dove andavano a mettere le bevande per farle rinfrescare, anche le famiglie compravano pezzi di ghiaccio per poter rinfrescare le bevande il giorno della festa.

Era arrivato anche un fotografo da Termoli, che stava allestendo la sua postazione per poter fare le foto il giorno della festa, perché tutti andavano a farsi fotografare in quel giorno in cui si trovavano vestiti a festa. Il fotografo aveva messo un telo appoggiato al muro con raffigurato un bel paesaggio, appoggiato per terra aveva messo un pezzo di una ringhiera di legno bianco e una bella poltroncina dorata. Con quel bell’allestimento poteva attirare tante persone a fare le foto, io ragazzina già pensavo di voler fare una foto il giorno della festa.

Era un via vai di persone, chi andava alla messa, chi osservava i preparativi della festa, i ragazzi che andavano a scuola, gran chiasso nella piazza, sembrava già il giorno della festa. Prima di scendere in cucina per fare colazione, diedi un ultimo sguardo dalla finestra che si affaccia di fianco alla chiesa e sono rimasta meravigliata perché da quella parte non si vedeva nessuno.

All’improvviso, dall’angolo sotto la chiesa vedo spuntare un uomo che si dirigeva verso la chiesa, dall’aspetto fisico mi sembrava molto anziano, era una persona mai vista prima di quella mattina. Vestiva con una camicia a quadri di flanella, pantaloni di velluto marroni, si intravedevano delle calze bianche di lana, un cappello di lana grigio, era alto e magro e aveva la barba lunga, sembrava un po’ trasandato.

Camminava lentamente senza alzare gli occhi, sembrava quasi che non vedeva, trascinava pure una gamba, nell’osservarlo vidi che aveva una corona tra le mani, ho pensato tra me, quest’uomo sta andando in chiesa oppure va a guardare i preparativi della festa.

Mi sono incuriosita nel vedere che dopo aver camminato per quattro o cinque metri è tornato indietro, forse perché si era dimenticato qualcosa, non ho più guardato e non ho visto più dove sia andato. Sono scesa in cucina, mamma si era alzata ben presto e aveva già pulito un bel pollo grande per cucinarlo ripieno al sugo, aveva già preparato la pasta in casa “le ndrocchie” e il giorno prima aveva preparato i “cilliripieni” e altri dolcetti per il giorno della festa.

Non tutti i giorni si poteva fare quei bei pranzetti,ma il giorno dopo era festa e si doveva preparare, come era usanza fare anche per la festa di San Vitale, protettore di San Salvo.

Quell’anno sarebbe arrivata anche la banda, che avrebbe suonato durante la processione e la sera in piazza. In quella banda suonavano anche dei cugini di mamma che erano stati invitati a pranzo a casa nostra, a noi faceva tanto piacere avere vicini questi parenti.

La mattina della festa non so se quell’uomo che avevo visto il giorno prima era passato, oppure non l’ho notato io perché ero impegnata a prepararmi per andare a messa, alla processione e poi a passeggiare con le amiche.

Erano passati diversi giorni da quando avevo visto quell’uomo, ma una mattina l’ho rivisto di nuovo. Ho visto che camminava di fianco alla chiesa, ma dopo quattro cinque metri girava e rigirava sotto e sopra lungo la strada accanto alla chiesa. La cosa che mi è sembrata più strana era che mentre camminava faceva la calza con i ferri, sempre con gli occhi bassi concentrati sul suo lavoro e, anche se incontrava qualche persona, non salutava e nessuno lo salutava.

Un giorno due ragazzi che stavano andando a scuola gli passarono accanto, forse lo hanno deriso e lui tutto arrabbiato si è messo a gridare rincorrendoli per prenderli e col bastone faceva segni per picchiarli.

Io non ho chiesto a nessuno chi fosse quell’uomo, non sapevo dove abitava e avevo paura se lo vedevo pure da lontano, per fortuna non l’ho mai incrociato.

Passarono diversi giorni, una mattina mentre andavo a casa dei nonni Valerio e Marietta, quel l’uomo era lì, io quasi non volevo entrare, però la nonna mi aveva vista, così sono stata costretta ad entrare.

Lui stava seduto vicino al tavolo, con un piatto davanti una fetta di formaggio , una fetta di pane e un bicchiere di vino e mangiava senza alzare gli occhi, non parlava e non guardava nessuno, si vedeva che era affamato.

Nonno Valerio stava aggiustando le briglie del cavallo che si erano rotte, la nonna Marietta era seduta vicino al caminetto, si sentiva un buon profumo di cucina, dato che stava preparando il sugo per il pranzo.

La nonna si era accorta che ero un po’ spaventata e sottovoce mi disse: “ Poveretto non ha nessuno, la moglie è morta,era giovanissima”.

Io non ho detto niente, ho salutato e  sono andata via, lui non ha nemmeno risposto.
Quando sono tornata a casa ho raccontato ai miei genitori tutto ciò che avevo visto dal primo giorno e mia madre e mi disse: “ E’ meglio che non le sai certe cose, tu sei una bambina” e io ho risposto: “Perché non posso sapere?” E allora mia madre iniziò a raccontare quello che sapeva di lui. “A quell’uomo è morta la moglie, era giovane, aveva sulla trentina d’anni” mamma non voleva continuare, ma io insistevo e lei continuò: “E’ caduta da un terrazzino, dicono che è stato lui a spingerla. Si diceva che lui aveva un’amante che picchiava la moglie, però io non ho visto niente”.

Poi aggiunse: “ Ha fatto trent’anni di carcere, ha scontato la pena e ora è uscito. Delle persone hanno visto che tutti i giorni porta un fiore dove è morta la moglie e piange. Sembra una brava persona, forse è innocente, oppure si è pentito”. Io le chiesi: “Perché fa pochi passi e si gira e si rigira?”. Lei mi rispose: “ Dicono che fa gli stessi passi che faceva nel cortile del carcere, che non misura più lungo di quattro o cinque metri.”

“Perché va a casa dei nonni?” chiesi e lei mi rispose: “ Lui ha fatto il militare con mio padre, perciò lo conosceva, non ha nemmeno un parente, oppure non lo vogliono frequentare, mio padre è troppo buono e gli fa pena, ogni tanto gli dà qualcosa da mangiare.”

Col passare dei mesi quell’uomo si vedeva sempre più spesso in giro, si avvicinava per parlare con qualche gruppetto di persone, andava nei negozi, era cambiato. Sembrava un po’ diverso anche nell’aspetto, aveva cominciato a vestirsi meglio, non aveva più la barba lunga e un po’ ringiovanito.

Aveva cominciato a frequentare la chiesa, si diceva che gironzolava in un quartiere dove abitava una bella signora di nome Diodata, lei aveva quasi la sua età. Diodata viveva in una piccola casa da sola, era poverissima e non si era mai sposata, ma aveva avuto tre figli che ancora neonati aveva lasciato in orfanatrofio per poi essere dati in adozione a qualche famiglia.

Quell’uomo e Diodata cominciarono a frequentarsi, lei andava a lavorare a giornata in campagna, a mietere il grano, vendemmiare, cogliere l’ulivo e tanti altri lavori , perfino andava a servizio domestico presso alcune famiglie, si adattava a fare tutti lavori. La sua famiglia l’aveva mandata via di casa, per il disonore che lei aveva procurato con il suo comportamento, Diodata apparteneva a una famiglia stimata e ben conosciuta in paese.

Un giorno quell’uomo andò a casa dei nonni e disse: “Valerio, ti voglio chiedere un consiglio” e un po’ timoroso continuò “ Ho passato i migliori anni della mia vita in carcere, ora ho conosciuto una donna e da un po’ di tempo ci frequentiamo, a me pare che ci comprendiamo”.Rimase zitto per un po’ poi continuò: “Lei si chiama Diodata, credo che tu la conosca, fra qualche mese vorremmo andare a vivere insieme, per poi sposarci, anche lei è d’accordo. Questi giorni che mi restano da vivere vorrei trascorrerli con tranquillità e in compagnia di una donna , perché la vita mia fino a oggi è stata un calvario.”

Nonno Valerio ascoltò tutto il discorso e, compreso ciò che l’amico gli aveva detto, gli disse: “Sai che ti dico, amico mio. Se tu sei convinto e contento di quello che mi dici devi fare quello che piace a te. Però, mi raccomando stai attento e comportati bene, altrimenti ricominci da capo.”

Gli offrì un bel bicchiere di vino, lui dopo aver bevuto, salutò ed uscì un po’ pensieroso. Marietta disse al marito: “Valerio, ma che consiglio gli hai dato? ! Tu sai che donna è Diodata, non vorrei, finisca di nuovo nei guai” Valerio le rispose: “Non hai capito che lui è già convinto di quello che vuole fare?”

Quell’uomo e Diodata si affittarono una casetta e cominciarono a vivere insieme, le entrate per pagare l’affitto e per vivere non erano sufficienti e lei continuava ad andare a lavorare in campagna per accumulare qualche soldo.

Un giorno Diodata era andata a vendemmiare alla campagna di Don Giovanni, mentre tornava a casa a piedi verso la strada di Buonanotte venne fermata da due signori, una bella ragazza sulla trentina d’anni e un signore un po’ anziano.

Venivano dalla stazione ferroviaria, erano scesi dal treno che veniva da Bologna, la ragazza vedendo quella signora si avvicinò e chiamò: “Signora! Signora! Signora!” Diodata l’aveva sentita, ma allungava di più i suoi passi, quasi avesse paura perché era sola e non si vedevano altre persone.

La ragazza insisteva, chiamandola di nuovo. “Signora, voglio chiederti solo un’informazione.” Diodata vedendo l’insistenza si fermò. La ragazza le disse: “Cerchiamo una donna di questo paese, non sappiamo se è sposata oppure no, mi hanno detto che è di San Salvo, non sappiamo se ora vive ancora qui.”

Diodata rimase in silenzio ad ascoltare e cominciò a preoccuparsi.

Quella ragazza continuò: ”Mi hanno detto che dovrebbe avere sulla settantina e si chiama Diodata.“ Poi aggiunse: “Ha avuto una figlia chiamata Giuditta e che appena nata è stata lasciata nell’orfanotrofio per essere adottata.

Diodata nel sentire queste parole si sentì mancare, abbracciò la giovane donna e le disse: “Figlia mia! figlia mia! Sono io la tua mamma.” Si abbracciarono di nuovo e piansero insieme per tanto tempo. Giuditta presentò alla mamma il padre che l’aveva adottata e disse: “Lui mi ha voluto bene più di un padre”.

Diodata le raccontò la sventura della sua vita, poi le disse che non era sposata, aveva avuto tre figli, un maschio e due femmine, che era stata cacciata dalla casa dei genitori perché aveva dato un disonore alla famiglia.

“Per me è stato un grande dolore abbandonare i miei figli ma l’ho fatto per il vostro bene, pensavo che qualche buona famiglia vi avrebbe preso in adozione, altrimenti saremmo morti di fame tutti”. La ragazza e il padre volevano andare in paese a vedere dove abitava la mamma, ma Diodata disse loro che si era sposata e il marito non sapeva della sua vita passata.

“Sono contenta che ci siamo riabbracciati, però ho paura parlarne con mio marito, può essere che lui mi lascia e io rimango ancora una volta sola e in mezzo a una strada, aspettiamo ancora un po’, gli racconterò la mia vita un po’ alla volta e sono certa che lui capirà, così ci possiamo rincontrare ancora con te e gli altri figli.”

Si abbracciarono forte, salutandosi con la speranza di rivedersi ancora, Giuditta e il padre ripresero la strada per la stazione per tornare a Bologna, Diodata tornò dal marito.

Dopo qualche giorno raccontò tutta la verità al marito.

Lui capì che a Diodata avrebbe fatto piacere riabbracciare i suoi figli e le disse: ”Non preoccuparti del tuo passato, cerchiamo di farti riabbracciare tutte tre i tuoi figli e io sarò contento di conoscerli”.

Quell’uomo era diventato bravo e rispettoso con tutti, però il suo destino si accaniva sempre di più contro di lui, perché Diodata dopo pochi mesi morì e lui rimase ancora una volta solo.

La mamma non ha potuto riabbracciare i suoi figli , ma quell’uomo un giorno disse all’amico Valerio: “ Io prima che me ne andrò per sempre, devo cercare i figli di Diodata”.

Col passare del tempo lui riuscì a incontrare tutti e tre i figli di Diodata.

Quell’uomo ha continuato a vivere ancora per diversi anni, ma è tornato a essere un uomo povero, solo e abbandonato da tutti.

Il suo destino si dice è stato proprio un calvario, ci auguriamo che possa aver trovato pace nell’aldilà.

Annina Fabrizio




I racconti
della signora Annina


Annina Fabrizio
in De Nicolis














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