Tutte le mattine alla stessa
ora Eugenio il sacrestano suonava le campane, iniziava
all’alba per la “mattutina” e dopo circa un’ora riprendeva
a suonare per la “missitelle”, suonava per tre volte, a
distanza di un quarto d’ora, concludendo con un accenno di
campana per indicare che la messa stava per iniziare.
Le persone per capire se erano le ore dodici guardavano il
sole, ma Eugenio puntuale alle ore dodici suonava
“mezzogiorno”. Alle ore tre suonava “ventunora”, con
trentatré rintocchi di campana, per indicare gli anni
della morte di Gesù.
All’imbrunire suonava “l’Ave Maria”; si diceva: “ suona
l’ora di notte” e si vedevano i contadini, che tornavano
dalla campagna dopo una giornata di lavoro. La Domenica, i
giorni di festa e per i matrimoni suonava a festa e per
molto tempo per la “messa cantata”.
Quando il cielo era coperto da brutte nuvole si suonavano
le campane per fare allontanare le nuvole, per scampare il
pericolo della grandine, che poteva distruggere il
raccolto; Eugenio era sempre pronto per suonare, ma se
qualche volta non arrivava subito, veniva sostituito dalle
persone che si trovavano lì, pronte a tirare la corda per
farle suonare.
Abitando vicino alla chiesa, a quel suono delle campane
per l’abitudine non ci facevo caso più, quasi non le
sentivo più.
Quella mattina, il 16 settembre, il giorno
prima della festa del Sacro Cuore di Gesù e San Rocco, le
campane suonavano a festa e in piazza si sentivano tanti
rumori, chiacchiere di persone e tanto fracasso.
Non resistevo e mi sono alzata dal letto e da dietro il
vetro della finestra dalla parte della piazza vedevo tante
persone, alcune stavano finendo di allestire la cassa
armonica, per poter suonare la banda il giorno della
festa.
C’erano poi altre persone con un carretto
che scaricavano tanta roba, sacchi di noccioline, lupini,
sciuscelle, bottiglie di gassosa, aranciata, vino, perfino
una grande vasca con del ghiaccio dove andavano a mettere
le bevande per farle rinfrescare, anche le famiglie
compravano pezzi di ghiaccio per poter rinfrescare le
bevande il giorno della festa.
Era arrivato anche un fotografo da Termoli, che stava
allestendo la sua postazione per poter fare le foto il
giorno della festa, perché tutti andavano a farsi
fotografare in quel giorno in cui si trovavano vestiti a
festa. Il fotografo aveva messo un telo appoggiato al muro
con raffigurato un bel paesaggio, appoggiato per terra
aveva messo un pezzo di una ringhiera di legno bianco e
una bella poltroncina dorata. Con quel bell’allestimento
poteva attirare tante persone a fare le foto, io ragazzina
già pensavo di voler fare una foto il giorno della festa.
Era un via vai di persone, chi andava alla messa, chi
osservava i preparativi della festa, i ragazzi che
andavano a scuola, gran chiasso nella piazza, sembrava già
il giorno della festa. Prima di scendere in cucina per
fare colazione, diedi un ultimo sguardo dalla finestra che
si affaccia di fianco alla chiesa e sono rimasta
meravigliata perché da quella parte non si vedeva nessuno.
All’improvviso, dall’angolo sotto la chiesa vedo spuntare
un uomo che si dirigeva verso la chiesa, dall’aspetto
fisico mi sembrava molto anziano, era una persona mai
vista prima di quella mattina. Vestiva con una camicia a
quadri di flanella, pantaloni di velluto marroni, si
intravedevano delle calze bianche di lana, un cappello di
lana grigio, era alto e magro e aveva la barba lunga,
sembrava un po’ trasandato.
Camminava lentamente senza alzare gli occhi, sembrava
quasi che non vedeva, trascinava pure una gamba,
nell’osservarlo vidi che aveva una corona tra le mani, ho
pensato tra me, quest’uomo sta andando in chiesa oppure va
a guardare i preparativi della festa.
Mi sono incuriosita nel vedere che dopo aver camminato per
quattro o cinque metri è tornato indietro, forse perché si
era dimenticato qualcosa, non ho più guardato e non ho
visto più dove sia andato. Sono scesa in cucina, mamma si
era alzata ben presto e aveva già pulito un bel pollo
grande per cucinarlo ripieno al sugo, aveva già preparato
la pasta in casa “le ndrocchie” e il giorno prima aveva
preparato i “cilliripieni” e altri dolcetti per il giorno
della festa.
Non tutti i giorni si poteva fare quei bei pranzetti,ma il
giorno dopo era festa e si doveva preparare, come era
usanza fare anche per la festa di San Vitale, protettore
di San Salvo.
Quell’anno sarebbe arrivata anche la banda, che avrebbe
suonato durante la processione e la sera in piazza. In
quella banda suonavano anche dei cugini di mamma che erano
stati invitati a pranzo a casa nostra, a noi faceva tanto
piacere avere vicini questi parenti.
La mattina della festa non so se quell’uomo che avevo
visto il giorno prima era passato, oppure non l’ho notato
io perché ero impegnata a prepararmi per andare a messa,
alla processione e poi a passeggiare con le amiche.
Erano passati diversi giorni da quando avevo visto
quell’uomo, ma una mattina l’ho rivisto di nuovo. Ho visto
che camminava di fianco alla chiesa, ma dopo quattro
cinque metri girava e rigirava sotto e sopra lungo la
strada accanto alla chiesa. La cosa che mi è sembrata più
strana era che mentre camminava faceva la calza con i
ferri, sempre con gli occhi bassi concentrati sul suo
lavoro e, anche se incontrava qualche persona, non
salutava e nessuno lo salutava.
Un giorno due ragazzi che stavano andando a scuola gli
passarono accanto, forse lo hanno deriso e lui tutto
arrabbiato si è messo a gridare rincorrendoli per
prenderli e col bastone faceva segni per picchiarli.
Io non ho chiesto a nessuno chi fosse quell’uomo, non
sapevo dove abitava e avevo paura se lo vedevo pure da
lontano, per fortuna non l’ho mai incrociato.
Passarono diversi giorni, una mattina mentre andavo a casa
dei nonni Valerio e Marietta, quel l’uomo era lì, io quasi
non volevo entrare, però la nonna mi aveva vista, così
sono stata costretta ad entrare.
Lui stava seduto vicino al tavolo, con un piatto davanti
una fetta di formaggio , una fetta di pane e un bicchiere
di vino e mangiava senza alzare gli occhi, non parlava e
non guardava nessuno, si vedeva che era affamato.
Nonno Valerio stava aggiustando le briglie del cavallo che
si erano rotte, la nonna Marietta era seduta vicino al
caminetto, si sentiva un buon profumo di cucina, dato che
stava preparando il sugo per il pranzo.
La nonna si era accorta che ero un po’ spaventata e
sottovoce mi disse: “ Poveretto non ha nessuno, la moglie
è morta,era giovanissima”.
Io non ho detto niente, ho salutato e sono andata
via, lui non ha nemmeno risposto.
Quando sono tornata a casa ho raccontato ai miei genitori
tutto ciò che avevo visto dal primo giorno e mia madre e
mi disse: “ E’ meglio che non le sai certe cose, tu sei
una bambina” e io ho risposto: “Perché non posso sapere?”
E allora mia madre iniziò a raccontare quello che sapeva
di lui. “A quell’uomo è morta la moglie, era giovane,
aveva sulla trentina d’anni” mamma non voleva continuare,
ma io insistevo e lei continuò: “E’ caduta da un
terrazzino, dicono che è stato lui a spingerla. Si diceva
che lui aveva un’amante che picchiava la moglie, però io
non ho visto niente”.
Poi aggiunse: “ Ha fatto trent’anni di carcere, ha
scontato la pena e ora è uscito. Delle persone hanno visto
che tutti i giorni porta un fiore dove è morta la moglie e
piange. Sembra una brava persona, forse è innocente,
oppure si è pentito”. Io le chiesi: “Perché fa pochi passi
e si gira e si rigira?”. Lei mi rispose: “ Dicono che fa
gli stessi passi che faceva nel cortile del carcere, che
non misura più lungo di quattro o cinque metri.”
“Perché va a casa dei nonni?” chiesi e lei mi rispose: “
Lui ha fatto il militare con mio padre, perciò lo
conosceva, non ha nemmeno un parente, oppure non lo
vogliono frequentare, mio padre è troppo buono e gli fa
pena, ogni tanto gli dà qualcosa da mangiare.”
Col passare dei mesi quell’uomo si vedeva sempre più
spesso in giro, si avvicinava per parlare con qualche
gruppetto di persone, andava nei negozi, era cambiato.
Sembrava un po’ diverso anche nell’aspetto, aveva
cominciato a vestirsi meglio, non aveva più la barba lunga
e un po’ ringiovanito.
Aveva cominciato a frequentare la chiesa, si diceva che
gironzolava in un quartiere dove abitava una bella signora
di nome Diodata, lei aveva quasi la sua età. Diodata
viveva in una piccola casa da sola, era poverissima e non
si era mai sposata, ma aveva avuto tre figli che ancora
neonati aveva lasciato in orfanatrofio per poi essere dati
in adozione a qualche famiglia.
Quell’uomo e Diodata cominciarono a frequentarsi, lei
andava a lavorare a giornata in campagna, a mietere il
grano, vendemmiare, cogliere l’ulivo e tanti altri lavori
, perfino andava a servizio domestico presso alcune
famiglie, si adattava a fare tutti lavori. La sua famiglia
l’aveva mandata via di casa, per il disonore che lei aveva
procurato con il suo comportamento, Diodata apparteneva a
una famiglia stimata e ben conosciuta in paese.
Un giorno quell’uomo andò a casa dei nonni e disse:
“Valerio, ti voglio chiedere un consiglio” e un po’
timoroso continuò “ Ho passato i migliori anni della mia
vita in carcere, ora ho conosciuto una donna e da un po’
di tempo ci frequentiamo, a me pare che ci
comprendiamo”.Rimase zitto per un po’ poi continuò: “Lei
si chiama Diodata, credo che tu la conosca, fra qualche
mese vorremmo andare a vivere insieme, per poi sposarci,
anche lei è d’accordo. Questi giorni che mi restano da
vivere vorrei trascorrerli con tranquillità e in compagnia
di una donna , perché la vita mia fino a oggi è stata un
calvario.”
Nonno Valerio ascoltò tutto il discorso e, compreso ciò
che l’amico gli aveva detto, gli disse: “Sai che ti dico,
amico mio. Se tu sei convinto e contento di quello che mi
dici devi fare quello che piace a te. Però, mi raccomando
stai attento e comportati bene, altrimenti ricominci da
capo.”
Gli offrì un bel bicchiere di vino, lui dopo aver bevuto,
salutò ed uscì un po’ pensieroso. Marietta disse al
marito: “Valerio, ma che consiglio gli hai dato? ! Tu sai
che donna è Diodata, non vorrei, finisca di nuovo nei
guai” Valerio le rispose: “Non hai capito che lui è già
convinto di quello che vuole fare?”
Quell’uomo e Diodata si affittarono una casetta e
cominciarono a vivere insieme, le entrate per pagare
l’affitto e per vivere non erano sufficienti e lei
continuava ad andare a lavorare in campagna per accumulare
qualche soldo.
Un giorno Diodata era andata a vendemmiare alla campagna
di Don Giovanni, mentre tornava a casa a piedi verso la
strada di Buonanotte venne fermata da due signori, una
bella ragazza sulla trentina d’anni e un signore un po’
anziano.
Venivano dalla stazione ferroviaria, erano scesi dal treno
che veniva da Bologna, la ragazza vedendo quella signora
si avvicinò e chiamò: “Signora! Signora! Signora!” Diodata
l’aveva sentita, ma allungava di più i suoi passi, quasi
avesse paura perché era sola e non si vedevano altre
persone.
La ragazza insisteva, chiamandola di nuovo. “Signora,
voglio chiederti solo un’informazione.” Diodata vedendo
l’insistenza si fermò. La ragazza le disse: “Cerchiamo una
donna di questo paese, non sappiamo se è sposata oppure
no, mi hanno detto che è di San Salvo, non sappiamo se ora
vive ancora qui.”
Diodata rimase in silenzio ad ascoltare e cominciò a
preoccuparsi.
Quella ragazza continuò: ”Mi hanno detto che dovrebbe
avere sulla settantina e si chiama Diodata.“ Poi aggiunse:
“Ha avuto una figlia chiamata Giuditta e che appena nata è
stata lasciata nell’orfanotrofio per essere adottata.
Diodata nel sentire queste parole si sentì mancare,
abbracciò la giovane donna e le disse: “Figlia mia! figlia
mia! Sono io la tua mamma.” Si abbracciarono di nuovo e
piansero insieme per tanto tempo. Giuditta presentò alla
mamma il padre che l’aveva adottata e disse: “Lui mi ha
voluto bene più di un padre”.
Diodata le raccontò la sventura della sua vita, poi le
disse che non era sposata, aveva avuto tre figli, un
maschio e due femmine, che era stata cacciata dalla casa
dei genitori perché aveva dato un disonore alla famiglia.
“Per me è stato un grande dolore abbandonare i miei figli
ma l’ho fatto per il vostro bene, pensavo che qualche
buona famiglia vi avrebbe preso in adozione, altrimenti
saremmo morti di fame tutti”. La ragazza e il padre
volevano andare in paese a vedere dove abitava la mamma,
ma Diodata disse loro che si era sposata e il marito non
sapeva della sua vita passata.
“Sono contenta che ci siamo riabbracciati, però ho paura
parlarne con mio marito, può essere che lui mi lascia e io
rimango ancora una volta sola e in mezzo a una strada,
aspettiamo ancora un po’, gli racconterò la mia vita un
po’ alla volta e sono certa che lui capirà, così ci
possiamo rincontrare ancora con te e gli altri figli.”
Si abbracciarono forte, salutandosi con la speranza di
rivedersi ancora, Giuditta e il padre ripresero la strada
per la stazione per tornare a Bologna, Diodata tornò dal
marito.
Dopo qualche giorno raccontò tutta la verità al marito.
Lui capì che a Diodata avrebbe fatto piacere riabbracciare
i suoi figli e le disse: ”Non preoccuparti del tuo
passato, cerchiamo di farti riabbracciare tutte tre i tuoi
figli e io sarò contento di conoscerli”.
Quell’uomo era diventato bravo e rispettoso con tutti,
però il suo destino si accaniva sempre di più contro di
lui, perché Diodata dopo pochi mesi morì e lui rimase
ancora una volta solo.
La mamma non ha potuto riabbracciare i suoi figli , ma
quell’uomo un giorno disse all’amico Valerio: “ Io prima
che me ne andrò per sempre, devo cercare i figli di
Diodata”.
Col passare del tempo lui riuscì a incontrare tutti e tre
i figli di Diodata.
Quell’uomo ha continuato a vivere ancora per diversi anni,
ma è tornato a essere un uomo povero, solo e abbandonato
da tutti.
Il suo destino si dice è stato proprio un calvario, ci
auguriamo che possa aver trovato pace nell’aldilà.
Annina Fabrizio