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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Gente del mio paese




di Michele Molino




I mastri muratori salvanesi

Berretto di carta e la “parlatura furbesca”

di Michele Molino

Augusto Iezzi il 2° a sinistra ed Ennio Di Pierro alla sua sinistra, muratori in Francia


San Salvo va orgogliosa di aver avuto dal 1930 a metà degli anni ’60, mastri muratori di indiscussa bravura. Non sapevano né leggere né scrivere, tuttavia erano svelti nel calcolo aritmetico, rapidi nella “lettura” dei disegni planimetrici, veloci nella valutazione numerica della grandezza delle figure geometriche, inimitabili nella tecnica costruttiva, eccezionali nell’arte dello scalpello.

Si vestivano con larghi pantaloni di fustagno, camicie a quadri, maniche rimboccate fino ai gomiti, berretti confezionati con la carta ritagliata dai sacchi di cemento.

Per evidenziare la loro autorità nei confronti dei manovali appoggiavano la matita dietro il lobo dell’orecchio e mettevano il metro snodabile nella tasca posteriore dei calzoni. Lavoravano come bestie dall’alba al tramonto; le mani lacerate dalla calce, dalla polvere dei mattoni e dalle schegge delle pietre. Per la disinfezione delle ferite facevano ricorso all’urina.

Sui tavoli delle famiglie salvanesi non è mai mancato un boccale di vino, perciò, i muratori, specialmente quando avevano le gole arse, non si facevano “tirare troppo la giacca”, al cospetto di bicchieri dal soave profumo d’ ambrosia e dal colore rosso rubino.

In prossimità del Natale, del Capodanno, della Pasqua, di San Vitale e San Rocco si davano appuntamento nelle case e, tra libagioni e canti, attendevano l’alba.

Nella vigilia della festa di San Sebastiano, patrono dei muratori, si fermavano nelle viuzze e nelle piazze, cantando “Lu sansabbastiàne”: “ San Sebastiano giovanotto, per la fede lui è morto, vicino ad una quercia l’ hanno legato, cinque frecce gli hanno tirato/ Noi veniamo con il suono e il canto per l’onore di quel gran Santo”.

Riuscivano perfino ad improvvisare stornellate: ”Puzze cascà da na scàle di sissànda pìre e vulesse che la mia bbelle m’ ariccùiesse”. (Possa io cadere da una scala con 60 piuoli e mi piacerebbe che ad accogliermi in braccio fosse la mia ragazza innamorata).

Si esprimevano con un linguaggio particolare e indecifrabile quando non volevano far capire all’esterno le loro conversazioni segrete. Ecco alcune espressioni: Miggische, la chiospe, la vuornilla fudaràte, lu sguabbie, lu buerr scupp, lu buerr unnause, lu squardapaije, a cupuiè, la sgraffagne, lu cupiataure, z’è ‘nburracciàte, tiggiuvanne, tiggische, lu stresch.

Questi i capimastri che si sono maggiormente distinti: Virgilio Di Pierro, Ercolino Della Penna, Antonio Del Villano, Espedito Malatesta, Paolo Malatesta, Antonio De Filippis, Nicola De Filippis, Umberto De Filippis, Giovanni Miscione (chiediamo scusa se ci è sfuggito qualcuno).

Per diventare muratore, a quei tempi, occorreva svolgere un duro e lungo periodo di tirocinio da mannébbìle (manovale) senza nessuno contratto di lavoro. I figli, in genere, all’epoca, seguivano “le orme” dei padri, e anche i figli dei mastri muratori intrapresero la stessa “strada”, diventando affermati imprenditori: Andrea Del Villano, Ennio Di Pierro, e provetti muratori: Ferdinando Malatesta, Valdo, Roberto e Romeo Della Penna, Roberto Del Villano, Gino De Filippis, Luigi De Filippis, Rolando De Filippis.

Altri sansalvesi “purosangue” si sono distinti nel campo dell’edilizia, affermandosi, ai giorni nostri, come grandi imprenditori: Gino Raspa presidente dell’ Icea, Mario Ialacci e fratelli, Gino Del Casale, Augusto Iezzi, Lido Ialacci e fratelli, Vitale Di Casoli, Tonino Spenza.

I giovani muratori d’oggi hanno perso i legami con le tradizioni.

Sentiremo ancora echeggiare le armoniose note del“San Sebastiano” per le strade di San Salvo? Ce lo auguriamo.

Michele Molino






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