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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Gente del mio paese




di Michele Molino




Rocco Martelli

lascia ogni cosa e torna a lavorare i campi. È stato un intimo amico di Claudio Villa. «Vujie arimanà a sta cambàgne bbelle»

Rocco Martelli


Rocco Martelli ha due figli e cinque nipoti. Conserva ancora tanta energia, sebbene le sue ginocchia diano preoccupanti segnali di usura e sia costretto a misurarsi con le conseguenze di un difficile intervento chirurgico. Cattolico, devoto a San Nicola di Bari. Ha sempre avuto una straordinaria passione per il canto.

Rocco nasce da una famiglia contadina; a sei anni inizia a frequentare la scuola elementare.
 
Non ha una grande passione per lo studio, ma mostra una straordinaria abilità nel gioco delle biglie, al quale si dedica anche durante le lezioni. Per questo motivo la maestra, una mattina, lo costringe a restare per mezz’ ora con le ginocchia sulle biglie e a recitare cento volte il “ Pater noster”.

Qualche tempo dopo, alla fiera del 25 aprile, il padre compra due mucche, alle quali dà i nomi di Caggiane e Signurelle e le affida al piccolo Rocco.

Scoppia la guerra, Rocco non può più’ andare a scuola. Trascorre le giornate vagando lungo i sentieri minati. Un giorno, mentre tenta di estrarre pezzi dal motore di un carro armato tedesco, perde l’equilibrio e cade rovinosamente a terra, riportando un lungo taglio sulla gamba sinistra. I medici, onde evitare l’estendersi dell’infezione agli altri organi, decidono di procedere all’amputazione dell’arto, ma con una cura speciale di un infermiere di San Salvo Marina riesce a scongiurare l’intervento operatorio.

La guerra continua. La popolazione è provata dagli stenti e dalla sofferenza.

Rocco, a causa delle ristrettezze economiche della sua famiglia, è costretto a camminare su una coltre gelida di neve con le scarpe piene di fori. Cerca di saccheggiare un camion carico di stivali, ma i militari tedeschi cominciano immediatamente a sparare, egli balza giu’ dal furgone e scompare tra i pampini delle vigne. La mattina dopo viene arrestato e condotto nella piazza del paese a sbucciare patate. Un signore gli si avvicina e lo supplica di slegare il suo cavallo rinchiuso dai tedeschi nel recinto poco distante. Rocco, incurante del pericolo, penetra nella staccionata e libera il cavallo. L’uomo salta sulla groppa dell’animale, lo ringrazia e si dilegua.

Diventa grandicello e comincia a fumare. Una mattina sottrae a un cuoco tedesco un pacco di sigari. Un militare osserva la scena in silenzio, ma poi afferra Rocco per il collo e dopo averlo massacrato di botte, lo stende a terra con calci allo stomaco.

Corre voce che un treno è fermo alla Stazione di San Salvo con un carico di farina, zucchero e cemento. Accorrono in molti da San Salvo e dai paesi vicini con carretti oppure a piedi; Rocco non può mancare, e per fortuna è una delle ultime volte che rischia la vita per procurarsi il cibo, perché la guerra volge al termine. Suo padre Nicola stipula un contratto di mezzadria con Amedeo Artese, retto, equanime, esperto in agricoltura; seguendo i consigli del suo datore di lavoro è il primo a realizzare a San Salvo un pescheto.

Nel giovane Rocco nasce una grande passione per la campagna, dove si reca con grande entusiasmo, facendo “risonare” nei vicini campi la sua potente voce baritonale.

La sua passione per il canto aumenta di giorno in giorno e, spinto anche dai consigli degli amici, dopo qualche anno, con la speranza di fare successo, si reca a Roma, dove conosce Claudio Villa, Gino Latilla e Carla Boni.

A Roma, purtroppo, la vita costa molto e, dopo tanti sacrifici, è costretto a tornare nel suo paesino con il cuore in frantumi.

A San Salvo è assunto dalla ditta Di Vaira per la realizzazione di una diga lungo il fiume Trigno. Arriva l’inverno. Dopo una settimana di “diluvio universale”, l’acqua del fiume travolge gli argini e precipita a valle provocando l’alluvione dei terreni. Rocco e i suoi compagni di lavoro sono costretti a rimanere in una casupola, riuscendo a sopravvivere con un mestolo di fagioli al giorno e bevendo acqua putrida.

Acquista una levigatrice per il marmo e diventa un levigatore.

Dopo venticinque anni, stanco di quel lavoro, apre una trattoria in via Stingi.

Nelle sue vene, però, scorre il sangue contadino. Sente il richiamo della campagna, come il lupo del bosco. Da sempre ha amato i fiori, gli alberi, gli animali, l’erba e la terra. La campagna gli ha insegnato a vivere. Solo tra gli alberi, può ritrovare le cose più belle della vita: la pace e la serenità.

Così un giorno, all’improvviso, decide di abbandonare tutto e tornare a lavorare la terra.

Oggi Rocco è un uomo felice. Nel silenzio della campagna ha riacquistato la sua autentica personalità. Ha ritrovato la verve canterina, come gli uccelli durante la primavera.

La sua possente voce, sospinta dal vento, sfiora le zolle e si effonde tra i peschi in fiore.

“Vujie arimanà a la cambàgne bbelle”.

Michele Molino






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