Fanno un lavoro antico quanto
il mondo, hanno una vitalità prodigiosa, sfidano la forza
del mare, usano tecniche antiche e nuove, hanno il viso
sempre abbronzato, dalla 'lampada' del sole e dell’acqua di
mare che lo riflette, conoscono il mare, le sue forze, le
sue tempeste e le sue bonacce, sfidano la vita e, la vita
sfida loro... ogni giorno.
I pescatori sono uomini con una marcia in più, bisogna
riconoscerlo! Si svegliano prestissimo - le quattro del
mattino - in qualsiasi stagione e con qualsiasi tempo, un
modo duro per guadagnarsi da vivere: procurare alle nostre
mense il celebre quanto saporito 'pescato dell’Adriatico'.
Sarà zuppa, frittura, arrosto o frutti di mare? Nessuno può
dirlo se non la rete che risale dal profondo. La flottiglia
del nostro porticciolo è piccola, solo cinque motobarche: La
Scogliera - la Tina 65 – La Paranza – Italia 1 - e la - TM
207, ma sempre viva ed efficiente. Quando a metà mattinata i
pescatori attraccano, ci si avvicina a loro quasi con timore
reverenziale, si scrutano le loro manovre, i loro gesti, le
reti e soprattutto... il raccolto.
Nei loro secchi, il pesce azzurro sembra essere quello più
abbondante: cefali, orate, sgombri, ma non mancano
bellissimi esemplari di razze, polipi, dentici e altro. Come
non mancano i fedelissimi acquirenti, già consapevoli che al
momento buono la merce c’è ed è eccellente e sono felici di
poter trovare ancora disponibile anche un solo cefalo.
L’importante, però, è acquistarne uno che profumi di
freschezza, la specie, poi, suggerirà alla cuoca la ricetta
giusta.
Il primo incontro è stato quello con Pietro De Vitis, un ex
ristoratore che praticava pesca sportiva per hobby, che la
crisi ha costretto – senza troppi rimpianti per fortuna – a
tornare a esercitarla per vivere.
Egli da tempo amava il mare e possedeva una barca con la
quale procurava materia prima di prim’ordine ai suoi
clienti. La chiusura forzata del ristorante ha fatto della
pesca il suo personale piano B per vivere.
Pietro già! Come Simone, il primo discepolo che Gesù chiamò
a se e lo chiamò con il nome che Lui stesso gli scelse.
Pietro: sì, il pescatore del lago di Galilea al quale il
Maestro consegnò le Sue deleghe. Quando Gesù lo chiamò
insieme a suo fratello Andrea, essi stavano gettando le reti
(Marco, c.1, vv. 14-20). Sembra un casualità, ma il nome,
unito ai tanti racconti del Vangelo, rimettono a fuoco
ricordi imperiosi di luoghi amati e conosciuti e gli
infiniti e luminosi percorsi del cristianesimo,
riattualizzandone il Messaggio.
Osvaldo Bologna è il pescatore più 'navigato' della
'famigliola' del nostro porto, che è composta come segue:
Osvaldo Bologna, Pietro De Vitis, Rocco e Simone Di Pietro,
Nicola Di Matteo, Vlash Shestani, Romolo Daraban, Raffaele
De Sanctis e la signora Concetta). Osvaldo è il veterano
perché nipote e figlio - con il fratello Fausto - di un
nonno e un papà pescatori - che iniziarono l’attività la
prima metà del secolo scorso. Come il papà Giulio Bologna,
egli ha avuto per 'culla' la barca ninnata dal mare. Alla
domanda se aveva una risposta del perché Gesù chiama a se i
pescatori, così risponde: «Si, Gesù, sceglie come amici e
primi collaboratori dei pescatori, perché Egli, sapeva bene
che erano persone capaci di fronteggiare qualsiasi
avversità». Questa sua personale interpretazione è
bellissima, oltre che verosimile e, arricchisce chi lo sta
ascoltando di una 'meraviglia' in più, che va a
tesaurizzarsi nel profondo del suo spirito.
Alla fine degli anni ’60, il papà di Osvaldo, per un
permesso negato dalle autorità civili di costruirsi una casa
nel suo paese d’origine, si spostò e acquistò casa a San
Salvo. Dalle acque della vicina Casalbordino Lido a San
Salvo Marina, un pescatore sposta in fretta la sua barca e
la sua famiglia. Il mare poi non cambiava!
Giulio, non era uomo da fermarsi di fronte alle difficoltà,
con i figli, e altri collaboratori, infatti, aveva fatto dei
percorsi incredibili con la barca a remi navigando
sottocosta. Da Casalbordino Lido, si erano spinti - facendo
varie tappe - in direzione nord addirittura fino a Rimini e,
in direzione sud, fino a Barletta. Con una barca più grande
poi, traversarono il canale d’Otranto, per pescare nelle
isole Ioniche: Corfù, Itaca, Zante fino all’anno 2003.
Quando si chiede a Osvaldo qual è il ricordo più bello della
sua vita da pescatore, risponde senza esitazione: «Il
sorriso di papà quando, a sera, stanco, ma felice, guardava
l’abbondanza del pescato». Mentre egli racconta, la memoria
di chi ascolta, si affolla di ricordi letterari e viaggi e
si 'pesca' nel mare della memoria: Corfù e l’Achilleion
della principessa Sissi, e ancora - Omero con l’Odissea -
Zante/Zacinto con il suo 'fanciulletto'/Foscolo: l’isola da
cui «... vergine nacque Venere». I motivi degli approdi a
queste isole della famiglia Bologna però, erano per lavoro,
dunque, molto più nobili.
Per viaggi così lunghi la loro barca a remi cedette il posto
a pescherecci più moderni, grandi e attrezzati. Osvaldo ne
cita a memoria tutti i nomi e per ognuno di essi i suoi
occhi si accendono di una luce diversa: la Tiziana, la
Columbia, l’Impetuoso e la Sonia (la quaterna di Vongolare)
e i pescherecci: Zeffiro, Santa Rosa (Rosa era il nome della
mamma) Padre Pio e, l’ultima con la quale lavora
attualmente: la TM 207. Nomi che conducono su percorsi di
vita, fede e affetti, venti e..coraggio intrepido. Una
stupenda storia d’amore!
La crisi della ristorazione ha toccato anche Osvaldo e tutti
gli altri pescatori che ora vendono il pescato al
porticciolo in negozietti o nei chioschi preposti. Il mal di
pesca però, proviene anche da altri fattori, soprattutto da
quel 'modernismo tecnico' che danneggia fortemente sia la
riproduzione dei pesci che i pescatori che usano ancora
barche tradizionali. Egli si riferisce a quelle con reti a
strascico e, ancor più, alle barche con le cosiddette reti
volanti. A suo avviso, due dannosissimi tipi di pesca. La
prima, perché 'pettina' i fondali in modo da impedire non
solo la riproduzione ittica ma, anche il suo humus biologico
più profondo che è la vita stessa del mare, la seconda,
invece, per l’enorme capacità di raccolta che riescono a
fare due barche che navigano distanti e parallele spingendo
un’unica rete a sacco. Un sistema che imbriglia un
quantitativo enormi di pesci grandi e piccoli, quest’ultimi
vengono sì, rigettati in mare secondo la Legge, ma non
sopravvivono. Un sistema, secondo lui, assolutamente non
ecosostenibile, che porterà all’estinzione di molte specie.
È la cosiddetta pesca da sforzo.
Osvaldo conosce tutti i sistemi moderni di navigazione,
possiede il GPS, il plotter, la bussola, ma spesso ama
affidarsi come gli antichi navigatori vichinghi e
polinesiani alle stelle, a certe coordinate terrestri e ai
venti.
Mentre parla, dal suo racconto, emerge spesso un nome:
Luciano Ortolano, un amico fraterno che, nell’anno 2000, il
6 novembre - nelle acque della vicina Marina di Montenero di
Bisaccia - nel corso di una tempesta che inclinò la barca
'consegnò' al mare - a poche centinaia di metri dalla
spiaggia - la sua giovane vita. Tutti abbiamo un defunto
precocemente scomparso da piangere ma, i Veri marinai, ne
portano il segno per la vita. Vincere le tante sfide
quotidiane del mare gomito a gomito, condividere pericoli,
stanchezza, burrasche, un pezzo di pane vincola in un modo
che noi, 'laici' di terra, non possiamo capire.
Trovarsi nella situazione di fare anche l’impossibile per
tanti e, non poter salvare un fratello, fa sentire un uomo
di mare perdente, fragile, impotente. Eppure, ogni mattina
egli è lì, anzi, sono lì, e non è solo per guadagnare con
fatica il proprio pane, ma, come dice Osvaldo: «perché nelle
vene di un pescatore scorre acqua di mare!».
Le speranze di Futuro della nostra piccola/grande pesca, a
tutt’oggi si chiamano: Rocco e Simone Di Pietro (due
giovanissimi poco più che ventenni), un giovane immigrato di
nome Vlash Shestani, in italiano Biagio (un albanese
arrivato da noi 17 anni fa e che, già nel suo paese era un
pescatore). Egli ha dovuto attendere molto per poter
'incanalarsi' in questo lavoro e, al momento, fa il suo
apprendistato con Osvaldo per mettersi in proprio non appena
la Legge italiana glielo consentirà. La sua agilità, le sue
capacità di navigante e pescatore, come quella dei fratelli
Rocco e Simone, donano ancora concrete speranze a questa
attività che fa più ricco e bello il nostro mare e gustose
le nostre mense.
Una simpatica e innovativa iniziativa, invece, l’ha fatta
decollare da poco Raffaele De Sanctis, un ex operaio della
Cosmos, un’azienda che ha chiuso i battenti per la crisi.
Egli, in collaborazione con la moglieConcetta, ha proposto
ai turisti estivi un'attività ben accolta e affermata anche
in altre località di mare italiane: il pescaturismo,
ovverosia, la gioia di chi vuole condividere - per una o più
volte - l’emozione di essere un pescatore vero con tanto di
barca, mezzi e prodotto pescato. Raffaele offre questa
possibilità in cambio di una modica cifra, oltre,
naturalmente, alla sua indispensabile assistenza.
Il mare è un elemento primordiale di cui tutti sentiamo il
fascino e il richiamo. La letteratura tutta, da Omero a
Verga, da D’annunzio a Montale finendo – si fa per dire! –
con la Morante ed Hemingway, ha 'raccontato' il mare e la
sua gente con alti accenti lirici. Le note musicali di canti
e melodie dedicate al mare e alla sua gente, poi, sono
anch’esse infinite. Se ne cita una per tutte: Il Pescatore
dell’ultimo sole di Fabrizio De Andrè.
Una poesia che è diventata musica e messaggio allo stesso
tempo, ed è stata una delle 'colonne sonore' dei nostri
meravigliosi anni verdi. La mia generazione poi, non credo
potrà mai dimenticare il grande Spencer Tracy che, nel film
dai tanti Oscar Capitani coraggiosi, trasforma un ragazzino
viziato e arrogante in un Vero uomo, sulle 'vie' dure,
faticose e coraggiose della pesca, del..mare e della gente
del mare.
Ines Montanaro
Nota Bene: si ringraziano i pescatori tutti citati per il
generoso contributo di notizie e conoscenze del loro lavoro
e il signor Osvaldo Bologna, anche per la foto storica del
papà Giulio e quella del motopeschereccio Zeffiro di loro
proprietà. I signori Nicola Pagano e Angelo Di Pierro per le
preziose indicazioni su persone da contattare e, in
particolare, si ringrazia il signor Umberto Di Biase, amico
fraterno e inseparabile di mare e di terra di Luciano
Ortolano, di cui custodisce gelosamente la memoria. Egli
racconta con accenti struggenti, quella che fu la vita di
uomo 'del' mare dell’ amico, e della sua generosa e
sconfinata umanità. Sembra di leggere nel suo racconto, la
biblica elegia di Davide che piange l’amico Gìonata perito
in battaglia:
«Come sono caduti gli eroi in mezzo alla battaglia? Gìonata
sulle tue alture trafitto! Una grande pena ho per te,
fratello mio, Gìonata! Tu mi eri molto caro, la tua amicizia
era per me preziosa più che amore di donna». (Cfr 2 Sam, 1,
25- 26).
Ines Montanaro
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