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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










Mazzoline
(Lu cavalle de Valerie)

di Fernando Sparvieri



Mazzolino - lu cavalle de Valerie


Mazzoline
(Lu cavalle de Valerie)

di Fernando Sparvieri

Ma quesse chi è lu cavalle de Valérie? (trad. Ma questo chi si crede d’essere, il cavallo di Valerio?).

Questa esclamazione veniva usata, o meglio sorgeva spontanea, ogni qualvolta qualche 'mpustelàzze (persona che si vanta), osannava in pubblico la sua virilità, vantandosi delle sue super prestazioni sessuali.

Per similitudine lu ‘mpustelàzze , veniva equiparato a “lu cavalle de Valérie” che era l’unico stallone del paese.

Lo stallone in questione, vissuto a “cavallo”, nel vero senso della parola, tra la prima e seconda metà del secolo scorso, tutt’oggi ricordato dagli anziani con molto affetto, nostalgia ed anche con un pizzico di ironica invidia, si chiamava “Mazzolino”, ma da tutti era chiamato “lu cavalle de Valérie”, in quanto era di proprietà della famiglia di Valerio Torricella, figlio di Zi’ Vitalúccie, detta “chélle di Valerie”, che non era un soprannome, bensì il nome di intere generazioni di antenati, “arnuvuìti”, cioè rinnovati nel nome, sino ai nostri giorni, in un alternanza di nomi di Vitale e Valerio.

Chelle di Valérie”, per la cronaca, oltre a possedere uno stallone da monta per la riproduzione degli equini (se ne ricordano due in particolare: Mazzolino ed il suo successore Lucifero, ultimo stallone posseduto), svolgevano soprattutto l’attività primaria di “trainíre”, cioè possedevano carri per il trasporto di merci, prodotti agricoli ed altro (trasportavano ad es. “le manúppele” (i covoni), le pietre del fiume, la dote della sposa), ed erano anche “caréja murte”, cioè erano gli unici che avevano un carro funebre, di cui si servivano solo talune famiglie benestanti, in quanto la gran parte dei defunti veniva portata a spalla in chiesa e poi al cimitero. (Corsi e ricorsi storici: Angelo Preta, che ha oggi un’impresa di pompe funebri, ha sposato Valeria, ultimogenita di Vitale, figlio di Valerio) .

Tornando al nostro Mazzolino, nel mondo agreste di quel tempo, era un vero mito. Non c’erano automobili, né trattori. Il mezzo di locomozione più veloce ed affidabile era il cavallo e quindi, possederne uno, bello e robusto, era non solo una necessità, ma addirittura una specie di status simbol. I giovani lo tiravano a lucido spazzolandogli il pelo, ripulendogli gli zoccoli e sopratutto nei giorni di festa facevano sfoggio delle loro abilità di fantini, cavalcandolo sotto la finestra di qualche bella ragazza, per fare colpo su di essa, come spesso molti giovani fanno tuttoggi mostrando motociclette o fuoriserie all’ultima moda del loro papà.

Quindi, la stalla di Valerio, a quei tempi, era come una concessionaria, non di automobili, che non si contavano neppure nel palmo di una mano, ma di equini. Tutta la qualità del prodotto era affidata a Mazzolino e naturalmente alla giumenta.

L’agenda di Valerio era piena zeppa di appuntamenti. Venivano un po’ da ogni luogo, dal retroterra e dal vicino Molise.

In pratica quando qualcuno temeva che la propria giumenta, di lì a poco, a causa dell’età, potesse incominciare a dare segni improvvisi di cedimento, pensava di cautelarsi rifacendosi un bel cavallo nuovo, e l’unico modo per poterlo ottenere in modo economico e naturale era quello di farla accoppiare con il rinomato stallone.

Certamente si poteva acquistare un puledro o un cavallo da un privato o alle fiere boarie, ma il prezzo per molti era decisamente proibitivo per cui la strada della riproduzione della propria giumenta era la più percorribile, non solo per una questione economica, ma sopratutto affettiva (una sorta di prosecuzione della razza del cavallo di famiglia). Altre volte, invece, qualcuno faceva accoppiare la propria giumenta proprio per vendere il puledro, ricavandone, in un’economia prettamente agricola, un bel gruzzoletto che faceva sempre comodo.

Insomma il cavallo, ma anche l’asino ed il mulo, oltre che un animale da lavoro, era un capitale. Erano i tempi in cui la morte improvvisa di un equino era una tragedia familiare. La gente piangeva quando dipartiva uno di essi, non solo perché si restava a piedi, ma sopratutto perché l’intera famiglia subiva un danno economico. Il vicinato, gli amici e parenti, si recavano a casa del defunto animale e porgevano ai proprietari le proprie “condoglianze” ed erano frequenti i casi, sopratutto se la famiglia del defunto non era agiata, in cui sorgevano spontanee collette di solidarietà al fine di consentire ai malcapitati l’acquisto di un nuovo animale.

Se z'ha da mure’ l’asene è meje ca zi more lu ruà ( se deve morire l’asino e meglio se muore il re), era un modo di dire scherzoso di quei tempi, che sottolinea da un lato quanta importanza avessero quegli animali per l’economia familiare, addirittura più dello stesso re, e nel contempo anche quanto fosse distante lo Stato dalla realtà locale.

Il detto, che assomiglia più ad una barzelletta, finiva poi in questo modo:

Se z'ha da mure’ màjeme è meje ca zi more l’asene ( se deve morire mia moglie e meglio se muore l’asino).

Se m'aja mure’ je’ è meje ca zi more màjeme (se devo morire io è meglio se muore mia moglie)

Scherzi a parte, tornando al nostro Mazzolino, la sua funzione era quindi vitale.

Dinanzi alla sua stalla, che si trovava nella casa all’angolo tra 7° Vico Garibaldi e C.da Savoia, vi era un via vai di giumente in calore, ma anche di asine, di cui parleremo in seguito. Legate a delle catenelle conficcate al muro, attendevano il loro turno per entrare. Spesso il fetore, lì dinanzi, era insopportabile. Gli animali facevano i loro cosidetti bisogni corporei irrimandabili, inzuppando la strada in terra battuta che diventava melma maleodorante.

All’interno della stalla, con la complicità dell’iniziale presenza umana, Mazzolino svolgeva le sue celebri mansioni di benefattore.

La stalla era divisa in due camere adiacenti intercomunicanti. Nella prima veniva collocata la giumenta in attesa; nella seconda invece, dotata di una porta con finestrella che si affacciava sull'altra stanza, dov'era la giumenta, si trovava Mazzolino.

La tecnica adottata per favorire l’accoppiamento era la seguente: ad un certo momento veniva aperta la finestrella della porta che separava le due stanze e Mazzolino, che aveva avvertito già dagli odori la presenza della giumenta in calore, vi si affacciava. Se la giumenta era di suo gradimento rizzava le orecchie e non solo. A quel punto aprivano la porta e ALE’!!!

In caso contrario, invece, bisognava inventarsi qualcos'altro.

Generalmente il rifiuto avveniva raramente, ma spesso capitava, sopratutto quando in giornata Mazzolino aveva già fatto più del suo dovere. Allora, di comune accordo con il proprietario della giumenta, scattava il piano B, che sarebbe meglio definire piano G, che non è la lettera iniziale di gigolò.

Il piano G, consisteva nel far intervenire Giorgio, altro cavallo maschio della stessa famiglia, che era un po' “svarlesáte”, cioè aveva qualche ferita che si era procurata lavorando ed anche un po’ zoppo, handicap che non gli impediva tuttavia di fare il grande salto di equinità, anzi per la circostanza saltava come un grillo, non credendo a siffatta evenienza improvvisa.

Il servizio di Giorgio, che costava anche meno, veniva reso in gran segreto (musche Tumuasse lu contrabbande), in quanto, dovendo essere rilasciato per legge una specie di attestato di omologazione dell’accoppiamento con lo stallone autorizzato, che serviva anche per una futura vendita del puledro, la reale paternità non si doveva sapere in giro, stante innanzitutto il mancato rispetto della norma, punibile ai sensi di legge, e sopratutto per salvaguardare l’onore di Mazzolino, che in questo caso diveniva legalmente padre legittimo di un figlio non suo, ma di Giorgio, e quindi avrebbe fatto la figura del toro, che ha le corna, per non dire dell’asino (forse proprio da Giorgio deriva il detto:" Esse! E' 'rruvuete Giorgie!" (Ecco è arrivato Giorgio).

Ed a proposito di asini, tra le clienti di Mazzolino vi erano anche le asine. Ciò avveniva quando qualcuno aveva in mente di farsi un bel bardotto, che nasce dall’incrocio tra un cavallo ed una femmina di asino domestico, mentre il mulo è l’incrocio tra un asino ed una giumenta, animali che non hanno capacità riproduttive.

Ed era qui che cascava, non l’asino, ma il cavallo, cioè lo stallone.

Al nostro super eroe gli cascavano letteralmente le zampe per terra. Poverino! Si affacciava alle finestrella ed haimè... l’asina non gli faceva né caldo e né freddo.

A questo punto entrava in azione la” ruffiana”.

La ruffiana era una giumenta che veniva accostata all’asina e fatta vedere allo stallone dalla finestrella al fine di eccitarlo. Alla vista della giumenta, allo stallone gli tornavano “li sintimìnti” (i bollenti ardori) e come un fesso “calave a lu bagnatiure”, cioè veniva imbrogliato. La tecnica era quella di sottrarre all’ultimo momento la “ruffiana” e far trovare al suo posto l’asina. Lo stallone in quel momento scambiava “asine pe’ fighìure e... ALE’!!!”.

Non so se ancora oggi vengono usate le stesse tecniche di riproduzione. Si parla di inseminazioni artificiali in cui le femmine di molti animali si ritrovano incinte ad opera dello spirito non santo e senza "sapà né legge e né screve" (quando una ragazza aveva avuto già varie esperienze amorose si diceva in sansalvese: "Càsse sa légge e scréve", cioè colei sa leggere e scrivere).

Mua!!”, forse oggi pensa dubbiosa una giumenta moderna, quando si accorge di essere gravida: “Ne m’aje vulute fa li chézza mi?” (Non mi sarò fatta i cavoli miei).

E' la scienza che avanza.

Il tempo passa e le pecore si chiamano Dolly, che in inglese non significa nata senza doglie, ma tutt’altro. Gli studi per la clonazione degli animali hanno registrato notevoli progressi e qualcuno da tempo sostiene che è possibile clonare anche l’uomo.

Sarà un bene. Chissa!

Parafrasando una frase di Mastro Luigi Di Iorio, il sarto, io credo che il sistema migliore resti sempre quello “c’ha ‘mmentate Créste” (che ha inventato il Padreterno).

O no!

Fernando Sparvieri

15 Ottobre 2014

NOTA:

Se l’argomento è stato di vostro gradimento e volete conoscere Cannone, l’asene de Dichidore (l’asino di Teodoro), altro campione, vi consiglio di vedervi le due interviste-video realizzate sull’argomento con Sebastiano Valentini, sansalvese verace, il quale mi ha erudito in materia.








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(Emilio Del Villano)















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