Leone Balduzzi fotografato
nello spiazzetto privato ubicato nella parte retrostante
del suo bar in C.soUmberto I.
Quando Balduzzi aprì il primo vero bar sansalvese,
nell'immediato dopoguerra, nella sua casa in C.so Umberto I,
pensò bene di sfruttare, nella parte posteriore del
fabbricato,
'na renzácche, cioè una rientranza al
muro perimetrale dell'edificio, che dava luogo ad uno
spiazzetto privato, in cui d'estate metteva sedie e tavolini
per far giocare a carte, all'aperto, i suoi clienti.
Uno di questi clienti era
do' Uréste Sabbaténe (don
Oreste Sabatini), scapolo benestante, come i suoi tre
fratelli
Peppine, Harebbalde e Virginio, che
abitavano tutti in C.so Umberto I, dirimpetto alla Porta
della Terra, qualche casa prima del bar, nella palazzina dei
Sabatini.
Da sin. Roberto Pascale, Do'
Robberte, Don Gustavo Cirese, medico chirugo, Don
Oreste Sabatini, commerciante e Do' Rolande la
poste (Rolando Cirese), direttore dell'Ufficio
Postale.
Era un signore d'altri tempi
Do' Uréste. Non molto
alto di statura, con i capelli bianchissimi, lievemente
ingialliti dal fumo della sigaretta sempre fra le dita, la
erre moscia su un bel vocione da maschio vero, sempre
elegante con giacca, gilet e orologio con la catenella nel
taschino, aveva un carattere franco e diretto, che lo
rendeva un personaggio molto rispettato dalla gente. Come si
suol dire in dialetto sansalvese in talune discussioni non
esitava
a stuccua' adderette (diceva quel che
pensava), senza peli sulla lingua, dicendo pane al pane e
vino al vino e per questo incuteva in molti anche un certo
timore reverenziale.
Il fatto, poi, che fosse proprietario di una cantina
vinicola in Via Trav. Interna (Attuale Viale Duca degli
Abruzzi), in prossimità della strada per il cimitero, e che
lì, sul terreno di proprietà avesse decine e decine di
alveari, essendo anche esperto apicultore, e che si muovesse
a bordo di una motocicletta, con la quale ci andava anche a
Chieti, lo rendevano, agli occhi della gente, un personaggio
all'avanguardia per quei tempi, stimato e riverito, in una
società dedita principalmente all'agricoltura.
Aveva anche un bel pavone (
lu pàvàune de Sabbaténe),
che teneva, libero di muoversi, dentro al giardino dietro la
sua casa in C.so Umberto I.
Non so se anche i pavoni, si affezionini come i cani al
padrone, fatto sta, che quando Don Oreste giocava con gli
amici a carte in quel piccolo largo all'aperto del bar
Balduzzi, il suo pavone, camminando di tetto in tetto,
partendo da quello della casa dei Sabatini, passando su
quello di
Nine lu Napuletane (Nino Iannace),
arrivava a ridosso dello spiazzetto del bar e, dall'alto, si
affacciava con la testa, sbirciando all'ingiù. Dopo faceva
marcia indietro ritornandose al giardino dei Sabatini.
Lo aveva fatto tante volte quel tragitto quel pavone, che
oramai lo conoscevano tutti al bar. Lo chiamavano
lu
pahàune de Sabatténe.
Senonché un pomeriggio d'estate, mentre
Do' Uréste
stava giocando a carte, capitò al bar Balduzzi un ragazzo
che chiamavano
Robbérte bábbe, "babbo" era il suo
soprannome. Era abilissimo
nghe la fràzze (con la
fionda), capace di colpire un uccellino in volo a cento
metri di distanza.
Ed ecco affacciarsi sul tetto di Balduzzi
lu pahàune de
Sabbaténe.
Fu un attimo.
Bammt una fiondata lo colpì alla gola.
"Lu pahàune me!!!" (Il mio pavone)
, esclamò
Sabbaténe, quando se lo vide piombare sul
tavolino.
Z'ave' morte (Era morto)
.
Diagnosi di morte:
"Ha 'viute 'na pàrálese (Ha
avuto una paralisi), disse con la sua erre moscia
Do'
Uréste.