di Enrico Ciavatta
C'era una volta, circa 80 anni fa, un contadino di nome
Agostino.
Erano gli anni tra le due guerre mondiali, gli anni
dell'Asse Roma-Berlino, delle leggi razziali, della
Costituzione di Stalin e relativa dittatura. Ed erano gli
anni del New Deal in America. Ma di tutto questo in paese,
San Salvo, arrivavano solo echi ed effetti: migrazioni in
America e Australia, tassa del macinato e lavoro durissimo
per riuscire a superare le code degli inverni aspettando i
primi raccolti ("il colle di maggio").
Ad Agostino fu data in moglie una bellissima ragazza,
Berenice, procace e, stante i tempi di allora, molto in
salute. Quella che da queste parti si usa definire
'na
tosta cafunatt'. "Fu data" sta a significare che in
quegli anni e da queste parti, come tutti sanno, i
matrimoni erano "combinati" dalle reti di parentele e
comparanze. In più, per altri aspetti, la semplicità e la
timidezza di Agostino difficilmente sarebbero bastati a
procurargli una moglie.
Agostino e Berenice abitavano in una bella masseria
situata ai margini del paese con circa due ettari di
terreno. Berenice era felice. Aveva una casa tutta sua.
Non si sentiva più un peso per la sua famiglia di origine.
Ora poteva parlare. Non era "assoggettata" più a ordini e
controlli dei genitori e dei fratelli. Vedendo la gioia di
Agostino per averla in moglie, l'amore e le attenzioni che
le riservava, si sentiva finalmente realizzata, padrona in
casa sua.
Eufemio, signorotto benestante (aveva "perfino" il fucile
da caccia) era confinante di Agostino. Eufemio aveva un
fascino particolare: oltre ad essere magro come tutta la
gioventù di quegli anni era anche muscoloso e
particolarmente bello, aveva studiato (aveva finito le
elementari), era ritenuto furbo anche da chi non lo
considerava intelligentissimo e poteva limitarsi a
lavorare solo la sua terra perché "stava bene".
Agostino, invece, come la maggior parte dei contadini di
allora, spesso impegnava le sue giornate di lavoro presso
altri contadini secondo le esigenze e usanze di allora del
mutuo scambio di lavoro: l'aiuto per aiuto. Nelle lunghe
giornate primaverili ed estive nelle quali Berenice si
trovava nei campi da sola non fu difficile per Eufemio
aprire una grossa breccia nel suo cuore. Un apprezzamento
sulla sua bellezza un giorno, un sorriso in un altro, una
colazione condivisa ancora in un altro e non fu difficile
ritrovarsi l'uno tra le gambe dell'altra.
Ne passò di tempo prima che qualche dubbio sulla fedeltà
di Berenice cominciasse ad assalire Agostino. Ne passò
tanto da portare un figlio quasi alla maggiore età.
Nonostante il paese fosse piccolo (meno di tremila
abitanti) la voce sulla relazione della moglie tardò a
trasformarsi in una pulce che qualcuno infilò nel suo
orecchio. Di solito le persone semplici sono tali anche
nella gestione delle loro emozioni e passioni.
Sono diverse le versioni che si raccontano di come il
fattaccio che seguì sarebbe poi avvenuto. Alcuni
sostennero che tornato anzitempo a casa per essersi
procurato una ferita lavorando, non trovando la moglie in
casa si recò nei campi. La trovò dentro un vecchio
pagliaio in compagnia di Eufemio in condizioni di
beatitudine che lui non aveva mai neanche immaginato si
potesse provare. Altri asserirono che tornò a casa a
seguito di una spiata di un parente e li trovò in casa.
Altri ancora riferirono che decise di verificare cosa ci
fosse di vero dietro le battutine, i sorrisetti e gli
ammiccamenti degli amici quando si parlava di donne e
corna.
Una cosa è certa. Agostino non rientrò mai più in casa coi
suoi piedi. Fu trovato dai carabinieri una decina di metri
fuori dal pagliaio, dissanguato, e con due pallottole di
fucile in petto.
La cosa che fece enorme scalpore e che nessuno riuscì mai
a capire fu come Eufemio riuscì a convincere, se lo fece
lui come dissero alcuni, il figlio di Berenice ad
accusarsi dell'omicidio del padre. Quali minacce,
promesse, o misteriose ragioni riuscì ad utilizzare per
tirarsi fuori da sospetti, indagini e quasi sicura
imputazione, rimase un mistero.
Come finì la storia? Come normalmente finiscono tutte le
storie: diversamente da come di solito finiscono le
favole. Berenice, rimasta sola, non avendo la possibilità
di pagare i costi del processo e non avendo più uomini in
casa che lavorassero la terra concordò col giudice la
vendita all'asta della masseria. Un suo fratello le
concesse di utilizzare come abitazione una propria
casupola (forse sarebbe più corretto definirla stalla).
Riuscì a sostenersi con quello che le restava dal ricavato
della vendita della masseria al netto delle spese
processuali e della parcella dell'avvocato. Fu costretta
anche a lavorare "a giornata" di quando in quando nei
campi di altri contadini. Le voci su di lei, maligne o
pietose, pian piano scemarono. La sua pesante condizione
esistenziale per la "perdita della faccia" si andò
attenuando col progressivo disinteresse dei paesani nei
suoi confronti e del conseguente oblio di lei e delle sue
vicende.
E la masseria? Non ci furono parenti o amici che tentarono
di rilevare la proprietà nonostante il basso prezzo
dell'asta per tentare di conservarla per Berenice. Sia per
le miserie del tempo ma ancor più perché essendovi
avvenuto un omicidio le credenze la facevano ritenere una
proprietà maledetta da cui stare alla larga. Ci fu solo un
uomo, laicamente coraggioso e con famiglia numerosa, una
volta accertatosi che la famiglia di Berenice non avrebbe
rilevata la proprietà, si affrettò a vendere la casa dove
viveva con moglie e cinque figli in paese e rispose
all'asta aggiudicandosela. Il suo nome era Eugenio.
Quell'acquisto cambiò non poco la vita di Eugenio e della
sua famiglia. Ma questa è un'altra storia.
Anzi, altre storie.
(Enrico Ciavatta)